Fino alla croce: la sofferenza e la purificazione
Fino alla croce: la sofferenza e la purificazione
San Paolo dice a Timoteo: "Tu invece mi hai seguito da vicino nell'insegnamento, nella condotta,
nei propositi, nella fede, nella magnanimità, nell'amore del prossimo, nella
pazienza, nelle persecuzioni, nelle sofferenze, come quelle che incontrai ad
Antiochia, a Icònio e a Listri. Tu sai bene quali persecuzioni ho sofferto.
Eppure il Signore mi ha liberato da tutte. Del resto, tutti quelli che vogliono
vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati. Ma i malvagi e gli
impostori andranno sempre di male in peggio, ingannatori e ingannati nello
stesso tempo." (2 Tim 3: 10-13).
Durante la settimana santa riflettiamo sul mistero della
sofferenza e della morte di Cristo. Dobbiamo avere chiaro in testa che la morte
di Cristo sulla croce non è stato un incidente o un errore. Gesù avrebbe potuto
scegliere una strada di gloria e successo, invece decise di scegliere la
condizione dei più poveri, dei perseguitati, e visse e morì come loro. Questa
scelta non solo ha dato speranza a tutti coloro che soffrono, ma ha dato valore
alla sofferenza stessa. Al capitolo 5 di Matteo, abbiamo due Beatitudini che
parlano più direttamente di questo: “Beati quelli che piangono” (5: 4);
“Beati coloro che sono perseguitati per la giustizia” (5:10).
Naturalmente c'è anche la conclusione delle beatitudini che, parlando più
direttamente, dice: "beati voi
quando vi perseguiteranno, ecc." (5:11) Nella prima c'è
l'affermazione: "perché Dio li consolerà". Questo dà la
speranza per la soluzione dei problemi. La seconda, invece, non dice che Dio
risolverà il problema, o impedirà alle persone di ferirli o ucciderli, e non
dice che li vendicherà. La beatitudine è nella sofferenza stessa perché diventa
il modo per assicurare il regno dei cieli. Come Lui ha salvato il mondo
attraverso la sua sofferenza, così la nostra sofferenza, in molte occasioni,
può contribuire alla salvezza del mondo e, naturalmente, alla nostra.
La parola "pianto" nella beatitudine non
dovrebbe essere fraintesa come “lamentarsi” o come qualcosa di passivo,
qualcosa che ci impedisce di agire. Il significato della Bibbia è in realtà il
contrario. La Bibbia è piena di persone in pianto. In Ezechiele 27 tutti
piangono perché la città è piena di cattive persone, ma questi che soffrono
fanno penitenza e digiuno e saranno le sole salvate. Maria ai piedi della croce
soffre e la sua sofferenza si trasforma in com-passione e così la unisce a Dio
nel suo piano di salvezza. Quindi questo soffrire deve essere interpretato come
comunione con coloro che soffrono ingiustamente. Dobbiamo unire questa
beatitudine all'ottava: “beati quelli che
sono perseguitati per la giustizia”. Abbiamo bisogno di una sofferenza
attiva che non si conformi al male. Il mondo vorrebbe una tristezza che intorpidisce
la nostra coscienza, e se reagiamo ci perseguitano. Prendere la posizione dei
poveri e degli emarginati è prendere
posizione contro le strutture del peccato che hanno creato quella povertà e
quel rifiuto.
Abbiamo parlato molto dell'apostolato e del modo di
farlo con umiltà. Ora voglio concentrarmi un po' di più sulla sofferenza.
Vi sono diversi tipi di sofferenza: alcune sono fisiche,
altre sono psicologiche, emotive o morali. Alcune sono dovute ai nostri errori,
alcune al fare sbagliato di qualcun altro senza alcuna partecipazione dei
nostri. Alcune possono essere evitate, altre no. Alcune sembrano utili come
quando lavoriamo sodo per raggiungere un obiettivo, altre inutili come quando
abbiamo mal di testa. Alcune hanno una speranza, altre sono senza speranza come
una malattia incurabile. Poiché sono diverse, avranno un impatto diverso su di
noi, ma ciò che fa davvero la differenza è il nostro atteggiamento nei loro
confronti.
C'è un bel film che può mostrarci cosa intendo: il
titolo è “Uomini di Dio”. Parla della vita di un gruppo di monaci trappisti che
vivevano in un villaggio musulmano in Algeria. Erano ben amati e rispettati
dalla popolazione locale, ma nel paese i fondamentalisti cominciarono a
uccidere i cristiani stranieri e bruciare le loro chiese e così questi monaci,
che erano tutti francesi, divennero un possibile bersaglio. Dopo una prima
visita minacciosa al monastero da parte dei terroristi, la comunità ha dovuto
decidere se andarsene e tornare in Francia al sicuro o rimanere lì di fronte
alla possibilità sempre più crescente di morte. Ovviamente la gente del posto
voleva che restassero. Dopo molte preghiere e discernimento essi decisero di
rimanere. Il superiore diede questa bellissima spiegazione: "Continuiamo
la nostra attività qui tra questo popolo, non cerchiamo la morte, e per quanto
possibile cercheremo di evitarla, ma se arriverà la accetteremo nel nome del
Signore". Alla fine i terroristi li hanno presi tutti come ostaggi e li
hanno uccisi. Ciò che cerchiamo nel nostro apostolato non è la sofferenza o la
persecuzione, ma la coerenza della nostra vita e della nostra testimonianza.
Ciò richiederà sofferenza, e quindi la accettiamo, proviamo a risolvere ciò che
è possibile, offriamo con fede ciò che è impossibile.
Cosa ci fa la sofferenza?
1. Ci insegna fede e fiducia nella Provvidenza: Dio non
ci abbandonerà. Pensate ancora una volta all'efficienza. Tutto dovrebbe essere
ok, perfettamente funzionante, dando buoni risultati. Una sconfitta o una
situazione in cui non siamo in grado di farcela, ci ricorderà lo scopo per cui
siamo qui e anche il fatto che lui è l'unico Salvatore e noi siamo qui per lui,
e le sue vie non sono come le nostre vie.
2. Ci fa capire meglio il mistero di Cristo e il suo
amore per l'umanità; di Gesù stesso la lettera agli Ebrei dice: "pur essendo Figlio, imparò tuttavia
l'obbedienza dalle cose che patì" (Ebr. 5: 8). La maggior parte dei
fondatori ha avuto una grande devozione per la spiritualità della croce. Nella
società di oggi, specialmente nella società occidentale, c'è un forte movimento
di persone che vogliono liberarsi di essa. Non vogliono nessuna croce nelle
scuole o nei luoghi pubblici. Dicono che ciò è nel nome della libertà di
coscienza e di religione, e nel rispetto per coloro che non credono. Ma non è
così, c'è molto di più. Io sono vissuto vicino a un tempio indù molto rumoroso,
ma questo non mi ha mai tolto la libertà. Se applichiamo questa regola alla
religione, dovremmo applicarla a qualsiasi prodotto che potrebbe non piacerci.
È un fatto che la croce ricorda loro la debolezza, la sconfitta, la morte. La
società moderna è una società di successo, vittoria, potere, autoaffermazione,
l'opposto di ciò che predica la croce di Gesù.
3. Ci fa capire meglio la sofferenza delle altre persone
e così ci insegna la compassione. Spesso quando una persona povera bussa alla
nostra porta, ci sentiamo disturbati, interiormente lo critichiamo perché non
lavora, perché beve, perché è sporco e non ha cura di se stesso, perché è
maleducato o bugiardo. Sono tutti modi per giustificare il nostro malanimo e il
fatto che non vogliamo aiutare. Quando ci troviamo in situazioni di bisogno,
iniziamo a vedere le cose in un modo diverso, da un punto di vista diverso e
diventiamo meno critici, più comprensivi.
4. La sofferenza è necessaria per rafforzarci. Non c'è
niente nella vita che costa poco. Qualunque cosa sia preziosa richiede un duro
lavoro per raggiungerla e il duro lavoro porta con sé dolore fisico e il dolore
di dover rinunciare ad altre cose. C'era una volta un ragazzo che osservava un
bozzolo che si spezzava e la giovane farfalla che ne usciva. Stava lottando
spingendo con le spalle per rompere il bozzolo e farsi spazio per uscire. Il
ragazzo provò pietà e aiutò la farfalla a rompere il bozzolo, così la farfalla
uscì facilmente. Poco dopo, le altre farfalle iniziarono a volare, ma questa
non poteva. Il ragazzo fu triste. Quello che era successo è che la lo sforzo
per rompere il bozzolo con le spalle non è solo per poter uscire, ma è un primo
esercizio che rafforza le spalle in modo che quando si inizia a volare possano
sopportare lo sforzo delle ali che sbattono. Quella particolare farfalla
mancava di quella forza. Chi ha tutto facile nella vita cadrà alla prima
piccola difficoltà. Le persone che non sono mai state ammalate nella vita non
necessariamente vivono più a lungo; a volte una semplice influenza può
ucciderli perché non hanno mai costruito gli anticorpi.
5. Ci aiuta ad apprezzare molte cose nella nostra vita,
che altrimenti diamo per scontate, e essere grati per esse. Pensate alla vita,
alla salute, a una buona casa, alla possibilità di studiare, all'amicizia, ecc.
Sono davvero grandi tesori, ma spesso arriviamo a riconoscerlo solo quando non
ci sono più.
6. Una volta accettata in modo positivo, la sofferenza
ci fa scoprire tante qualità e potenzialità che abbiamo dentro e di cui non
eravamo a conoscenza. A volte mi è capitato di visitare case per ragazzi di
strada: è incredibile vedere quanto siano abili, quanto intelligenti, furbi e
in grado di gestire ogni situazione. A volte i nostri seminaristi, che sono ben
protetti e per i quali tutto è pronto, non sanno come portare a termine il
compito più semplice che affidiamo loro, senza venire e chiedere spiegazioni
dieci volte. Un fatto interessante è che all'inizio i cristiani stavano solo
tra gli Ebrei. È stato a causa delle persecuzioni che hanno avuto il bisogno di
fuggire da Israele e di andare in tutto il mondo, portando con sé anche la
"Parola". Ora Israele sta facendo fatica ad accettare Cristo, ma
tutto il mondo lo ha invece accettato, e questo a causa delle persecuzioni, non
a causa del potere.
7. È necessaria per mantenerci umili: quando ci sentiamo
deboli o in pericolo apprendiamo che abbiamo bisogno dell'aiuto di qualcun
altro. Sappiamo che l'orgoglio è uno dei più grandi nemici della nostra vita e
anche della vita della comunità. È bene che a volte siamo costretti a chiedere
l'aiuto degli altri. Gesù, mentre porta la croce al Calvario, cade e deve
permettere a qualcun altro di aiutarlo. Deve essersi sentito umiliato, con la
vergogna di aver costretto il povero Simone a subire tale fatica. Mia madre non
è una persona orgogliosa, ma nella sua vita ha sempre lavorato senza sosta, e
lo fa ancora. Ha gestito una famiglia grande e ha comunque sempre trovato il tempo
per aiutare gli altri. L'unico suo problema è che non ha mai dovuto chiedere
aiuto a nessuno perché è capace a fare di tutto. Ora ha 84 anni ed è sempre in
movimento dalla mattina alle 5 fino alla sera. Qualche anno fa cadde e si ruppe
la caviglia. I medici hanno dovuto applicarle il gesso e le hanno detto di non
mettere giù la gamba per quaranta giorni. Non si è mai lamentata per il dolore,
ma la cosa che trovava molto difficile da accettare era di dover dipendere da
qualcun altro, o come diceva "essere servita". È stata un'esperienza
necessaria e utile.
8. Ci rende modelli per molti cristiani che si
avvicinano a noi. In ogni nazione, all'inizio del cristianesimo ci sono martiri
che sono onorati e sono le basi solide di quelle chiese.
La sofferenza è un modo di purificazione. Abbiamo
promesso tutta la nostra vita al Signore, ma ci sono in noi tante parti che non
vogliamo consegnargli.
Vorrei presentare una purificazione a quattro livelli
che a volte il Signore ci impone attraverso il nostro apostolato.
1- Purificazione dall'attaccamento alle cose materiali:
quando perdiamo qualcosa, impariamo come lasciare andare le cose che non sono
veramente importanti e a concentrarci su quelle che sono essenziali. Questo è
più o meno quello che abbiamo detto fino ad ora. Facciamo apostolato, ma non ci
sentiamo in grado di realizzare molte delle cose che abbiamo programmato.
2- Un secondo livello di purificazione arriva quando nel
nostro apostolato lavoriamo duramente per aiutare qualcuno e questi non
apprezzano ciò che facciamo, non sono grati, fingono sempre di più, rovinano
ciò che facciamo per loro. Il Signore forse ci sta chiedendo: per chi stai
lavorando: per me o per te stesso? Per il mio regno o per la tua
gratificazione?
3- Un terzo livello, più alto, arriva quando la mancanza
di comprensione e apprezzamento non è in coloro che aiutiamo, che dopo tutto
non sono persone istruite, ma quando è nei nostri confratelli o superiori. Almeno loro dovrebbero sapere cos'è
l'apostolato e invece di sostenermi mi criticano perché sono in ritardo nei
momenti di comunità, perché spendo soldi, perché faccio troppo; dicono che
lavoro per orgoglio, ecc. Sto parlando di situazioni in cui sono nel giusto
e sono criticato ingiustamente. Il Signore
può insegnarci: stai lavorando sulla mia strada o sulla tua strada?
4- Finalmente il più alto livello di purificazione si ha
quando sento che Dio stesso non mi apprezza, non ascolta le mie richieste che
non sono fatte per me stesso ma per il bene di coloro per cui lavoro. La
preghiera è fredda e Dio è distante nonostante che io faccia tutto per lui.
Ricordate che Marta fu rimproverata da Gesù dopo tutto il lavoro svolto per
preparargli la cena e la preferenza data alla pigra Maria? È il momento della
resa totale. Marta sembra aver imparato bene e lo mostra al momento della morte
di Lazzaro, nella risposta di fede che dà a Gesù. Su questo livello potremmo
mettere anche l'ultimo grido di Gesù sulla croce: "Dio mio, Dio mio,
perché mi hai abbandonato?", seguito da: "Nelle tue mani,
Signore, consegno il mio spirito".
Dio non vuole che lavoriamo per lui, nemmeno per fare il
suo lavoro, ma per permettergli di fare il suo lavoro in noi. "Non sono
più io che vivo, ma Cristo che vive in me". "È nella tua
debolezza che posso mostrare le mie forze".
Ricordiamoci:
- La sofferenza non è mai lo stadio finale, ma una
preparazione ad una gioia più elevata, che spesso ci impone di essere
purificati. Non è mai una stanza chiusa senza uscita, ma una porta da aprire
per entrare nella gloria.
- Nella sofferenza non siamo mai soli, Gesù ci sta
accompagnando dalla croce.
- Se desideriamo unirci a lui sulla croce, Egli ci
prende sul serio e realizza il nostro desiderio.
- Qualunque sofferenza che siamo in grado di sopportare
e offrire a lui è immediatamente trasformata in grazia per il mondo intero.
- Quelli che hanno meno sofferenza, non sono
necessariamente i più santi. Potrebbe essere che il Signore sappia quanto sono
deboli, non sono ancora pronti e cadrebbero presto.
- La gioia non viene sempre dalla fine del problema, ma
è una gioia interiore, un dono dello Spirito che viene dalla comprensione del
valore di quei momenti.
- In quale area temo di soffrire? (Fisico, essere
respinto, essere giudicato, ecc.)
- Come reagisco quando affronto un problema?
- Come reagisco quando sono corretto, incompreso, ecc.
- Mentre guardo Gesù sulla Croce ho mai avuto il
desiderio di essere più unito a Lui?