L'esperienza di Giona


L'esperienza di Giona (Giona 3-4: Mt 9: 9-13)


Per l'inizio del nostro ritiro ho scelto di presentarvi il profeta Giona come simbolo, perché nel suo libro troviamo da un lato il profeta, il prescelto di Dio che porta avanti con successo la sua missione nonostante tutte le sue fragilità umane e le mancanze che lo accompagnano dall'inizio alla fine; dall'altra parte abbiamo Ninive, una città di grandi peccatori, una che merita lo stesso destino di Sodoma e Gomorra ma che si salva perché ascolta il messaggio del profeta poco convinto.
Giona è la rappresentazione dell'umanità. Ha una vocazione ma vuole fuggire dalle sue responsabilità, una missione da compiere, ma preferisce seguire il suo desiderio di una vita semplice e tranquilla. Dio è insistente, e lui fugge, non vuole cambiare. La sua testardaggine causa un disastro per coloro che sono con lui, fino a quando non ammette le sue colpe e chiede di essere gettato in mare per salvare gli altri (morte di Cristo). Attraversa un periodo di purificazione (nel ventre della balena che rappresenta la morte di Cristo), quindi può iniziare il suo apostolato. Diventa un messaggero di misericordia, lo fa bene ma il suo lato umano è ancora forte. Si sente geloso, rimane orgoglioso ed egoista, vuole vedere la punizione di Ninive; non può accettare che Dio sia misericordioso con gli altri.
Giona è un paradigma della nostra vita. Ci alziamo presto al mattino, andiamo a pregare e offriamo tutto al Signore, poi iniziamo a lavorare, sperando che non ci saranno problemi, incontriamo problemi, ci arrabbiamo, troviamo soluzioni spesso non capite da chi ci circonda. Alla sera torniamo a casa sfiniti e la troviamo vuota; non vuota di persone, ma vuota di sentimenti, vorremmo che la gente ci chiedesse com'era la nostra giornata ma nessuno lo fa, vengono e invece ci caricano di altri pesi. Siamo stanchi eppure ci sono tante cose da fare come la preghiera e le riunioni. I superiori ci chiedono nuove responsabilità e non ci sentiamo in grado di farcela, non vediamo ragioni per cambiare, per fare qualcosa di nuovo. Ora ricordiamo che al mattino avevamo promesso di fare tutto per Lui, ma durante il giorno Lui è stato l'assente; non lo abbiamo visto né sentito, il peso era solo su di noi e tutti i buoni risultati raggiunti sono stati frutto del nostro duro lavoro. Un giorno ci ammaliamo, vecchi, non possiamo più lavorare e ci chiediamo: e adesso? Colui che viene dopo di me sta rovinando tutto il mio lavoro perché ha idee completamente diverse, un modo diverso di fare le cose e questo ci brucia dentro, come se gli anni in cui abbiamo lavorato fossero stati sbagliati o inutili.
Questo ci fa riflettere su due punti: prima di tutto la nostra vocazione. La vocazione non sempre va d'accordo con ciò che ci piace, ciò che sentiamo o vogliamo. Ovviamente siamo fondamentalmente felici di essere sacerdoti, religiosi, missionari, ma ci sono tanti aspetti di questa vita di cui faremmo volentieri a meno, e così cediamo facilmente a compromessi: questo lo faccio, questo no. Noi siamo i chiamati, non il chiamante, quindi non possiamo dettare regole o condizioni. E siamo chiamati per uno scopo, che è importante. Dio ha grandi progetti per noi.
Il secondo punto è la nostra umanità. È stato il punto di partenza per la riflessione del nostro recente capitolo Generale. È anche un tema molto importante in ogni meditazione che Papa Francesco ha fatto sulla vita dei religiosi, dei sacerdoti e dei vescovi. Secondo lui la maggior parte dei problemi nella Chiesa odierna e persino nella società nascono da quella che lui chiama "auto-referenzialità", cioè mettere sé stessi al centro delle nostre preoccupazioni. L’unica soluzione per i problemi è entrare in comunione con Cristo che prende la nostra croce.
Se Giona fosse entrato nei nostri seminari, lo avremmo mandato via per mancanza di coraggio, mancanza di iniziativa.
L'aspetto più sconvolgente della storia di Giona è il fatto che lui non prova alcuna pietà per il popolo di Ninive. Invece di essere felice che la sua missione abbia avuto successo, si sente arrabbiato perché non ha visto la punizione del Signore. Potrebbe chiamarla giustizia. Ha fatto tutto quel viaggio e quel lavoro e tutto finisce in uno spettacolo di debolezza, di follia. Nel cuore di Giona non c'è spazio per la pietà perché non c'è un vero amore per la sua vocazione. È attaccato al suo dovere ma non a Dio. Il Vangelo ci presenta la chiamata di Levi, esattore delle tasse, un peccatore che fu guardato dal Signore con misericordia e divenne un apostolo. La frase usata per descrivere la sua chiamata è diventata il motto di Papa Francesco.
Durante questi 5 giorni di ritiro vedremo le diverse aree che costituiscono la nostra vita religiosa e la nostra vocazione; non ci chiederemo se facciamo bene il nostro lavoro, ma se siamo veritieri nella nostra chiamata, se siamo servitori di Dio o di qualche calcolo umano.

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