I talenti, cosa sono, a cosa servono



Mt 25, 14-30 I talenti
Nel vangelo di oggi, più che mai, bisogna fare attenzione a quello che è il linguaggio proprio delle parabole. Gesù si serve di queste storielle semplici e rappresentanti situazioni molto umane per mandare un messaggio su qualcosa di divino. Quindi la logica non va cercata nel racconto in sé ma c’è da capire a cosa Gesù vuole dire e questo dà senso al tutto. Faccio un esempio partendo dalla parabola di domenica scorsa, quella delle dieci vergini, parabola che è legata a questa di oggi sia per il tema che per il significato. Un lettore esterno che legge la storia in sé potrebbe commentare: ma perché le 5 ragazze sagge si sono rifiutate di condividere l’olio con le stolte, e poi perché lo sposo una volta entrato chiude la porta e lascia fuori le altre cinque? Dopo tutto è stato lui ad arrivare in ritardo, è colpa sua. Se non si capisce che il banchetto di nozze è la vita eterna, che l’olio è l’amore che fa ardere tutta la vita si deve dare ragione al commentatore esterno.
Qui abbiamo un’altra parabola famosa, quella dei talenti, tanto famosa che la parola talento che rappresentava una misura di peso per stabilire la quantità di rame, argento o oro che una persona possedeva, ora nel nostro linguaggio ha preso il significato di capacità, dono che una persona ha. A quei tempi, un talento corrispondeva ad una cifra enorme. Ebbene abbiamo un re che dovendo allontanarsi affida ai suoi servi una somma da gestire in sua mancanza per continuare a far funzionare la sua proprietà. Ora cerchiamo di capire bene: non è che sta facendo un regalo perché ognuno faccia ciò che vuole ma sta consegnando loro i suoi beni perché se ne prendano cura. Non ha importanza se a uno da 5 o 3 o 1, importante è che ciascuno ha ricevuto una somma sufficiente per portare avanti il suo compito e di quella somma lui si deve preoccupare. Il regno è il regno di Dio, è il mondo in cui, spesso abbiamo la sensazione che Dio sia assente, come se fosse andato in un viaggio all’estero: tocca a noi prenderci cura di questo mondo, ognuno secondo la sua posizione, nel grande o nel piccolo, a livello mondiale o semplicemente nel suo villaggio di montagna o nella sua famiglia. Cristo tornerà, non ci sono dubbi, questo è il senso della vita di tutti noi cristiani, l’attesa dell’incontro finale definitivo con Lui, noi non dobbiamo rimanere amorfi, pigri lasciando semplicemente che il tempo passi, ma siamo chiamati a utilizzare con fervore e interesse quanto il Signore ci ha dato perché questo mondo funzioni meglio.
C’è un atteggiamento che è molto importante sottolineare, ed è quello del terzo servo, non tanto per la sua incapacità di produrre ma per quanto lui spiega bene con le sue parole: “ho avuto paura perché so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso”. In questa persona non c’è amore per Dio ma paura. Non c’è comprensione di lui come il creatore di tutto, o il padrone di tutto ma di un Dio malvagio che vuole rubare all’uomo: Questo è mio e me ne faccio quello che voglio, in questo Dio non può interferire. Questo è l’atteggiamento che rovina il mondo: l’egoismo che fomenta la paura. Secondo la logica di Dio, invece, non ha importanza se tu sei più ricco, o più bravo, o più capace; se sei un dottore o uno scienziato, o un ingegnere, un autista o un netturbino, è importante che tutti, poveri e ricchi, piccoli e grandi, collaboriamo al bene di questo mondo per riconsegnarlo a Dio migliorato.
Pensiamo un po’ a quanta indifferenza ed egoismo c’è nel modo in cui utilizziamo le cose: l’inquinamento, la pulizia, l’uso esagerato delle risorse, lo spreco di cibo, di combustibile, di acqua. Pensiamo a quanta paura abbiamo nel nostro rapporto con Dio, del suo giudizio, del suo castigo e ci dimentichiamo che lui è amore, che lui si è sacrificato per perdonarci, per salvarci. Chiediamoci: cosa mi fa paura quando penso alla morte? Il che vuol dire cosa c’è di così prezioso che ho paura di perdere: amici, parenti, ricchezza, comodità. E perché penso di perderli? La fede non ci dice forse che dopo la mia morte li ritrovo più pienamente?
L’immagine sbagliata che abbiamo di Dio condiziona in modo forte il modo in cui viviamo. I santi non sono state persone più dotate di noi, anzi in molti casi erano molto meno dotati di noi, ma sono state persone che hanno compreso chi è Dio ed hanno vissuto di conseguenza.
Tutto nella nostra vita può essere considerato talento, tutto deve essere utilizzato in nome di Dio per rendere più bello questo mondo che è il suo regalo migliore, il suo regno.
C’è un’ultima domanda: Come si fa a far fruttare questi talenti? A questa domanda risponde Gesù stesso con un’altra parabola ma questa la leggeremo domenica prossima.

Post popolari in questo blog

Gesù è davvero un re?

I santi, nostri amici

Cosa dobbiamo fare?