Esercizi 9, l'obbedienza
Obbedienza
Anche il voto di obbedienza è cambiato negli anni, ma, forse, è quello di cui ci si accorge di meno. Ai tempi di Don Orione l’obbedienza era centrata soprattutto verso il superiore locale e si trattava di mettere in pratica quello che lui decideva. Lui vedeva l’obbedienza come un modo di disciplinare se stessi, evitare le tentazioni e garantire piena efficienza alle opere. Oggi tutto è diverso, e coinvolge l'impostazione stessa che noi abbiamo nelle azioni quotidiane, sia all'interno della comunità che dell'apostolato.
Teniamo presente il fatto che l’obbedienza, come voto, ha senso solo se inquadrata nell’ambito globale della nostra donazione totale di noi stessi a Dio per vivere in unione con Lui, e si attua come applicazione pratica dell’obbedienza che ciascuno di noi deve al piano del Padre. Il modo di realizzare tale piano è farlo con lo stesso stile di Dio, cioè con Amore. Per questo motivo non possiamo parlare in maniera corretta di obbedienza se non partiamo dall’Amore. Se noi facciamo delle cose che poi vanno contro l'amore delle persone che ci stanno attorno o delle persone che serviamo, questa obbedienza non ha più senso. Cosa vuol dire questo?
Qual è il piano di Dio? Gesù è venuto per attirare a sé tutte le persone e in questo modo salvarle. Mentre era nel deserto, il diavolo gli mostra una scorciatoia alla sua missione: “Adorami e tutti i regni della terra saranno tuoi”. Se Gesù avesse accettato di essere re, avrebbe potuto esercitare un’influenza maggiore sulla gente e instaurare un vero regno terrestre di giustizia e di pace. Invece Gesù rifiuta l’offerta del diavolo e sceglie la via del servizio e del sacrificio: “Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me”. Lui è il Messia, ma un messia diverso da quello che la gente cercava. Lui non è il condottiero che combatte gli invasori, ma colui che ama i nemici. C'è un passaggio interessante collegato a questo: l'episodio di Gesù e Barabba. Barabba era un ribelle politico, quindi per la gente sarebbe sembrato un po' un piccolo Messia (naturalmente terrestre). Bar-abba significa "figlio del Padre". È un tipico titolo messianico. Ora le persone sono chiamate a scegliere tra due Messia: quello terreno e quello vero; essi scelgono il terreno. Ogni giorno scegliamo il potere umano, il successo piuttosto che il servizio e l'umiltà. Comprendiamo veramente Gesù? Lo conosciamo davvero? Il diavolo ci tenta nelle piccole cose. Non è così stupido da suggerirci di scegliere il male, ma ci suggerisce di scegliere le cose ragionevoli, ovvie, le uniche che avranno facilmente successo; ecco il messia terreno. Guardiamo al coinvolgimento della Chiesa nella politica, i compromessi con il potere umano, ecc. Chiunque affermi di poter creare un mondo perfetto (una scuola migliore, un ospedale migliore) con il proprio potere o con metodi solo umani poco trasparenti, lavora per il diavolo.
D’altronde, sembra che Gesù non abbia fatto molto per l'umanità. È il principe della pace ma ci sono ancora troppe guerre; ha curato molti malati ma le malattie sono più di prima; la povertà è ancora molto presente nel mondo e forse anche peggio di prima. Cosa ha portato Gesù allora? Ha portato DIO !!!
Quindi il compito principale della vita religiosa è l'obbedienza al piano di Dio, rinunciando a qualsiasi potere terreno in nome del potere divino, il che significa che Lui è il capo e noi servi, nel suo nome, con amore, per cui oggi non si parla più di obbedienza cieca, ma si parla di capacità di condivisione e di sinodalità, dialogo, ricerca della volontà di Dio, discernimento. Una volta poi che le decisioni sono prese, si accetta che ci sia una persona incaricata, ci si fida di lui, lo si appoggia, e si contribuisce in tutti i modi perché lui possa fare bene il suo lavoro. Ricordiamoci però che colui che è incaricato obbedisce allo stesso modo che io che sono un semplice aiutante.
Allora, uno degli strumenti più efficaci per vivere bene l'obbedienza, e per viverla in maniera spirituale, è l'umiltà. Essa ci permette di instaurare relazioni significative, ci permette di vedere che noi siamo solo una piccola tessera di un grande mosaico, per cui ci dà la capacità di fissare lo sguardo sul mosaico intero e non solo sul nostro ruolo all'interno di esso. Le persone con cui ci troviamo a collaborare sono tessere altrettanto importanti e ognuna riuscirà bene nel suo compito, soprattutto se la relazione tra di noi combacerà. Quindi se non arriviamo ad affiancarci l'uno con l'altro o ci incastriamo in un modo sbagliato, lasciamo dei buchi. Capite, quindi che l'obbedienza diventa importante nella gestione dell’apostolato.
Al discorso sull’obbedienza è legato necessariamente il discorso sull'autorità che è servizio e non dimostrazione di potere, quindi ha una finalità che è tutt'altro che quella della dimostrazione delle capacità personali. Essa è la capacità di dialogo in vista di un discernimento comune della volontà di Dio a cui tutti noi dobbiamo piena obbedienza. Mc 10, 42-45 “Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti ”. Sappiamo quanto Papa Francesco insista su questo punto. L’obbedienza ha come sottofondo anche lo scopo del nostro apostolato e della nostra vita che è servizio verso i poveri. Per cui, anche l’obbedienza dovrà mettere al centro il servizio dei poveri, prima ancora che guardare alla relazione personale tra me e il superiore.
Per comprendere bene l'autorità, dobbiamo tenere a mente alcuni punti:
+ L'autorità è al servizio del regno di Dio e soggetta ad esso. Gv 18:36 "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù.”
+ L'autorità è al servizio del bene della Congregazione e della comunità e soggetta ad esso.
+ Nonostante l'opera dello Spirito Santo in noi, nessuno può pretendere di possedere la verità, quindi è di grande aiuto per i superiori che siano umili.
Come conseguenza di questi tre punti possiamo dire che:
- L'autorità è vera quando è esercitata nell'amore. Gv 13: 13-14 " Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri.”.
- L'autorità deve combinare il duplice aspetto del dialogo e del processo decisionale; dell’umiltà e del coraggio.
- Sia l'obbedienza che l'autorità, se vissute nella verità, non portano gloria ma sacrificio, perché si basano sull'esempio di Cristo. È esattamente questo sacrificio che ci porta la ricompensa di Dio. Fil 2: 5-9 “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome;”.
- Sia colui che prende le decisioni che colui che obbedisce dovranno affrontare dubbi, a volte anche profondi dubbi di fede o coscienza, ma Gesù affrontò lo stesso nel giardino del Getsemani: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu! ” (Mt 26: 39-42).
- L'autorità e l'obbedienza funzioneranno solo se nella comunità c'è fiducia reciproca tra i membri.
Ci sono due aspetti umani da considerare e che lungo gli anni sono diventati sempre più comuni nella vita religiosa:
Þ l'autonomia, cioè il diritto che io ho di gestirmi le cose mie e di avere tutto quello che mi serve;
Þ l'indipendenza di azione, cioè se io sono incaricato di un qualche cosa, le scelte le faccio io, porto avanti io i progetti, e, al massimo, rendo conto o ne parlo con la comunità.
Indipendenza, libertà di scelta sono profondamente radicate nella nostra mente, anche nella persona più povera, e rinunciare a ciò costa molto di più che rinunciare alle cose materiali e anche a rinunciare a una famiglia. Quando ero in India, andavo spesso a parlare a delle suore e dicevo loro: pensate a una ragazza di una famiglia povera. Ha davanti a sé la prospettiva di vivere in una capanna in una baraccopoli insieme a un marito ubriaco perché i suoi genitori non possono permettersi di pagare la dote a un uomo decente. È sicuramente disposta ad entrare in un convento e diventare suora. Per lei, questa è una promozione, non un sacrificio. Ma sarà disposta a cedere il suo orgoglio, le sue idee e la sua indipendenza?
Purtroppo, spesso capita che nelle nostre opere, a causa della scarsità di personale, ci sia un solo religioso attivo. Noi abbiamo case, ad esempio in Argentina, dove ci sono tre religiosi attivi: uno gestisce la parrocchia, uno gestisce la scuola, e uno il Cottolengo. Alla fine della giornata, i tre sono stanchi, non hanno di certo voglia di mettersi a parlare su come vanno le cose, per cui il parroco non sa niente della scuola e del Cottolengo, il direttore del Cottolengo non sa niente della scuola e della parrocchia, al massimo va a dire una messa alla domenica, e così pure il direttore della scuola. In questo caso, in cosa consiste l’obbedienza? Questo è un grosso problema. È facile sentir dire: “Le decisioni le devo prendere io perché gli altri non sanno niente”; questo è uno sbaglio. Alle volte ci sono delle decisioni importanti da prendere, del tipo: che impiegati vogliamo assumere, che rapporto ho con la commissione di amministrazione della scuola o del Cottolengo, che persone io accetto o non accetto all'interno della struttura, i bambini che vengono per iscriversi alla scuola, o i disabili che accetto. Quando la persona che decide queste cose è sola, corre il rischio di cadere in errore, fare dei favoritismi e anche commettere degli abusi. In ogni modo, anche se la persona non cade, se è sola si espone necessariamente a delle critiche senza che alcuno possa difenderla. Quando parlo di abusi, non mi riferisco solo a quelli di tipo sessuale, ma abusi di potere, abusi professionali, eccetera. Quando una persona è sola, risente di più della stanchezza, è più facile cadere nel nervosismo, e quindi le relazioni ci rimettono, e come abbiamo detto, ci rimette il voto di castità. Per far funzionare bene la nostra struttura, faremo le scelte che spingono davvero verso l'efficienza, e quindi come abbiamo spiegato ieri, ci va di mezzo il voto di povertà.
Il voto di obbedienza è il meno conosciuto e il meno considerato. Ma secondo San Benedetto è il più importante di tutti ed è quello che garantisce la continuità della congregazione.
Abbiamo detto che i voti vanno vissuti non ciecamente seguendo solo la lettera, ma in maniera apostolica e profetica. Cosa vuol dire vivere l'obbedienza in maniera profetica oggi? Dare una testimonianza che obblighi, chi ci vede, a riflettere.
Ci sono tre valori della cui testimonianza il mondo ha bisogno:
· prima di tutto la collaborazione; far vedere che sappiamo lavorare come famiglia, come congregazione, come équipe, con mutuo rispetto, e anche condivisione;
· secondo, che il modo in cui noi concepiamo l'autorità è veramente basato sul servizio e non sulla realizzazione personale o professionale;
· terzo, che sappiamo ascoltare anche i suggerimenti degli altri e valorizzarli, prima di prendere delle decisioni, perché diciamo e crediamo che stiamo ricercando la volontà di Dio e dobbiamo a lui la vera obbedienza. Questo è il processo che oggi è chiamato sinodalità.
Un ultimo problema da risolvere riguarda il rapporto tra obbedienza e libertà.
Attenzione perché qui c’è il pericolo di manovrare le coscienze.
L’obbedienza evangelica è come quella di Gesù: “Io dono la vita da me stesso; nessuno me la toglie”. Gesù va sulla croce non per “obbedire” ciecamente a un comando del Padre, ma perché accetta e dona la vita spontaneamente. Gesù va alla croce da Figlio, da uomo libero.
Io mi devo prendere la responsabilità di quello che mi viene chiesto. Vivere l’obbedienza non è questione solo esecutiva. Scelgo ciò che magari non ho scelto.
Io decido di obbedire e faccio quello che mi viene chiesto con piena adesione e libertà interiori, e questo implica una relazione nuova con noi stessi. Non siamo chiamati a mostrare al mondo il sacrificio, e neppure una semplice esecuzione di un comando, ma la gioia, la libertà.
Alcune domande per riflettere
- Quanto sono attivo nella comunità? Quanto impegnato nella mia vita?
- Considero la comunità come la mia famiglia e la casa come la mia casa o ho la sensazione di essere in un albergo?
- Quali sono le cose che voglio realizzare nella vita?
- Come considero il lavoro di Dio nella mia vita, nella mia società, ecc.?
- C'è qualcos'altro che potrei fare per il miglioramento della mia comunità e per la Congregazione?
- Come mi rapporto di solito a norme e regolamenti?
- Come considero le nostre Costituzioni: lassiste, rigorose, possibili, idealiste?
- Quanto sono disposto a sacrificare per rimanere fedele?
TESTI ORIONINI
Fatevi guidare in tutto, o miei cari fratelli Eremiti, da una viva fede in Dio, nella Chiesa e nell'obbedienza, non mai dal vostro proprio raziocinio; ma seguite in tutto e allegramente la via della croce, via regia, via santa, via di obbedienza al vostro Superiore: l'obbedienza è l'anello d'oro che ci unisce a Cristo e alla sua Chiesa.
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Gesù, nel suo Natale, ci invita a vivere da religiosi umili, e a compiere in noi la volontà del Padre celeste, in un'obbedienza fatta d'amore. … Quante lezioni di umiltà, di fede, di semplicità, di povertà, di obbedienza, di abbandono alla Divina Provvidenza ci dà Gesù dal presepio!
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Anno nuovo, vita nuova: vita santa e santificante! Anno nuovo, vita tutta in Gesù, di Gesù, per Gesù! Miei Figli, viviamo in Gesù! Perduti nel suo Cuore, affocati d'amore, piccoli, piccoli, piccoli: semplici, umili, dolci. Viviamo di Gesù! Come bambini tra le sue braccia e sul suo Cuore, santi e irreprensibili sotto il suo sguardo; inabissati nell'amore di Gesù e delle anime, in fedeltà e obbedienza senza limite a Lui e alla sua Chiesa! Viviamo per Gesù! Tutti e tutto per Gesù, niente fuori di Gesù, niente che non sia Gesù, che non porti a Gesù, che non respiri Gesù! In modo degno della vocazione, che abbiamo ricevuta modellati sulla sua Croce, al suo sacrificio, sulla sua obbedienza usque ad mortem in oblazione e totale olocausto di noi stessi, qual profumo d'odore soave.
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L'obbedienza religiosa è santa, poiché ha per fondamento Iddio: sua base granitica è la fede nella Divina Provvidenza: l'obbedienza vede e segue Dio. Consiste essa nella disposizione abituale a sottomettersi agli ordini dei propri superiori, quali legittimi rappresentanti di Dio, e interpreti della sua volontà. E, perché possa dirsi virtù, essa dev'essere intelligente e libera; e, perché abbia merito, è necessario che la volontà la eseguisca come un sacro dovere.
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. Con l'obbedienza noi offriamo dunque, a Dio la parte migliore di noi, la volontà e la libertà, beni preziosi, che consacriamo a Cristo e alla Chiesa per amore; ed è tale offerta che ben vale e supera tutte le altre, sì che le divine Scritture dicono: L'obbedienza vale più delle vittime (1 Sam 15,22)
ALTRI TESTI
. Per Vino Nuovo Otri Nuovi 24
Obbedienza e servizio dell’autorità rimangono questioni altamente sensibili, anche perché le culture e i modelli hanno subìto trasformazioni profonde, inedite e, per certi aspetti, forse anche sconcertanti almeno per alcuni. Nel contesto in cui viviamo la stessa terminologia superiori e sudditi non è più adeguata. Ciò che funzionava in un contesto relazionale di tipo piramidale e autoritario non è più né desiderabile né vivibile nella sensibilità di comunione del nostro modo di sentirci e volerci Chiesa. È da tener presente che l’obbedienza vera non può fare a meno di mettere al primo posto l’obbedienza a Dio, sia dell’autorità sia di chi obbedisce, come non può fare a meno del riferimento all’obbedienza di Gesù; obbedienza che include il suo grido d’amore Dio mio Dio mio, perché mi hai abbandonato ?(Mt27, 46) e il silenzio d’amore del Padre.
Papa Francesco rivolge un pressante invito « a tutte le comunità del mondo [per] chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate ».
Quindi, l’obbedienza vera non esclude, anzi richiede, che ognuno manifesti la propria convinzione maturata nel discernimento, anche quando detta convinzione non coincide con quanto viene chiesto dal superiore.
Dopo di che, se in nome della comunione un fratello o una sorella anche vedendo cose migliori, obbedisce di sua spontanea volontà, allora si mette in pratica l’obbedienza caritativa.
È impressione diffusa che, non di rado, nel rapporto superiore-suddito, manchi la base evangelica della fraternità. Si dà maggiore importanza all’istituzione che alle persone che la compongono. Non a caso tra i motivi principali degli abbandoni si evidenziano, secondo l’esperienza di questa Congregazione: l’indebolimento della visione di fede, i conflitti nella vita fraterna e la vita di fraternità debole in umanità.
In realtà il modo di guidare la comunità da parte dei superiori è descritto bene dal Codice
come attuazione di quando dice Perfectae caritatis: « I superiori esercitino in spirito di servizio [...] reggano i sudditi quali figli di Dio, suscitando la loro volontaria obbedienza nel rispetto della persona umana [...] si adoperino per costruire in Cristo una comunità fraterna nella quale si ricerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa ».