Esercizi 3, la vocazione

 La Vocazione

Abbiamo riflettuto su tre personaggi emblematici dell’Antico Testamento e due del Nuovo Testamento. Spero che questo vi abbia fatto venire la voglia di mettervi con coraggio nelle mani di Dio. Nasce quindi il discorso della Vocazione. 

Quando parliamo di vocazione nasce spontanea una domanda: Io scelgo di fare qualcosa per Dio? Qualcosa che mi piace, mi soddisfa e che io offro a Dio? Oppure è lui che chiama, Lui sceglie e io mi metto semplicemente a sua disposizione? Vocazione vuol dire chiamata. Quando uno ci chiama, noi lasciamo tutto e andiamo ad ascoltare cosa vuole. La chiamata esige, quindi, prima di tutto un cambio di vita. Ci portiamo dietro la nostra personalità, ma cambiamo le priorità. Lo stile si deve purificare per adattarsi al fine.

Cambiando il fine o le priorità, cambia il modo di vedere le cose che non è più dettato dalla mia opinione, ma dal desiderio di chi mi manda.

Cambia anche il modo di verificare la riuscita del mio lavoro, perché ora non cerco l'approvazione della gente, ma di chi mi ha mandato. Se mi ha mandato a cambiare qualche cosa che non funzionava, non mi posso aspettare l'applauso della gente, perché di solito ciò che Dio vuole cambiare, non sono le cose materiali, ma la mente, il cuore, e questo è sempre difficile.

 Portare avanti il piano di un altro, esige un contatto e una comunicazione costante con chi ci manda, non tanto per rendergli conto di quanto fatto, ma per sentire le sue correzioni, i suoi progetti, eccetera.  Questo esige che non ci sentiamo padroni, ma servi. Lui è una sorgente a cui abbeverarci per avere forza e vita.

 Anche qui vediamo alcuni personaggi.

 Il primo è il profeta Amos. Era un contadino, non discendeva da nessuna famiglia di profeti o sacerdoti, ma il Signore ha bisogno di lui per una missione difficile: deve parlare al Re d’Israele che è infedele al Signore, e predirgli delle sciagure. Il Re gli impone di smettere e di tornarsene a casa sua in silenzio. Lui replica con forza che non lavora per se stesso ma a nome di Dio. Sentiamo le sue parole. (7,10-17) “ Amasia, sacerdote di Betel, mandò a dire a Geroboàmo re di Israele: «Amos congiura contro di te in mezzo alla casa di Israele; il paese non può sopportare le sue parole, poiché così dice Amos: Di spada morirà Geroboàmo e Israele sarà condotto in esilio lontano dal suo paese».  Amasia disse ad Amos: «Vattene, veggente, ritirati verso il paese di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno». Amos rispose ad Amasia: «Non ero profeta, né figlio di profeta; ero un pastore e raccoglitore di sicomori; Il Signore mi prese di dietro al bestiame e il Signore mi disse: Va', profetizza al mio popolo Israele. Ora ascolta la parola del Signore: Tu dici: Non profetizzare contro Israele, né predicare contro la casa di Isacco. Ebbene, dice il Signore: Tua moglie si prostituirà nella città, i tuoi figli e le tue figlie cadranno di spada, la tua terra sarà spartita con la corda, tu morirai in terra immonda e Israele sarà deportato in esilio lontano dalla sua terra». La sua vocazione, quindi non è né scelta sua né della famiglia, ma frutto di una capacità di ascoltare la voce di Dio e lasciarsi coinvolgere in un compito importante. Probabilmente sarebbe stato contento di rimanere a casa sua e continuare il suo lavoro, ma sente la responsabilità dell’incarico che il Signore gli ha dato e quindi, nonostante il pericolo rimane fedele. Senza dubbio, aldilà della paura che certamente anche lui avrà provato, c’è la fiducia che se il Signore vuole che la missione sia compiuta, darà tutti gli aiuti e protezioni necessari, infatti Amos continuerà fino alla fine senza cadere sotto i colpi del Re.

Altro esempio è Giovanni il Battista. La sua vocazione avviene quando è ancora nel grembo della madre. Anche la nostra vocazione viene da prima della nostra nascita. Lui ha una posizione sociale privilegiata, come figlio di un sacerdote del tempio, che gli permetterebbe di svolgere al meglio il suo incarico. Nome, stabilità economica, lui lascia tutto e va nel deserto. Predica là ai pochi che hanno il coraggio di andare a cercarlo.

Ciò che attrae i suoi uditori è il suo coraggio, non ha paura di richiedere, da chi viene a lui, cose impegnative e di affrontarne le conseguenze.

Tutti notano in lui:

·       la coerenza di vita, vive ciò che predica;

·       l'onestà, non trattiene a sé i discepoli,  ma li manda da Gesù; 

·       l'umiltà, lui dice io non sono degno neppure di sciogliere i lacci dei suoi sandali. 

Queste sono le sue armi, ma per fare questo deve addestrare la sua volontà e il suo corpo. Ecco perché va nel deserto e chiede agli altri di venire a lui nel deserto.

Quando è prigioniero nel castello di Erode ha un momento di dubbio. Non ha paura di morire, sa che ormai la sua vita è giunta alla fine, e quindi rimane coerente nel suo messaggio al re Erode. Il suo dubbio è: ho fatto bene il mio dovere? Ho servito il maestro giusto? Gesù non ha lo stesso stile di Giovanni Battista, anche se predicano la stessa cosa. Ecco la sorgente del dubbio.

La risposta di Gesù è biblica: indica i segni messianici che si stanno compiendo.

La vocazione di Giovanni Battista ha suscitato altre vocazioni. I primi discepoli di Gesù erano discepoli di Giovanni. Cosa li caratterizza?

·       Non sono di famiglia nobile come Giovanni, ma sono gente comune.

·       Sono stati ispirati dagli ideali proposti da Giovanni.

·       Sono attaccati a Giovanni, ma sono in una ricerca sincera e quindi lasciano Giovanni per andare da colui che egli ha indicato.

·       Sono semplici e chiedono a Gesù: “dove abiti?”  e spendono il giorno intero con Lui. 

·       Sono entusiasti, il giorno dopo chiamano il fratello Pietro e l'amico Natanaele. 

·       Sono disposti a mettere in gioco tutto per raggiungere l'ideale, anche se il passaggio lo fanno con gradualità.

Dal Vangelo, sappiamo che continuano a pescare. Lo stare con Gesù diventa una cosa sempre più impegnativa, fino a quando faranno con lui il lungo viaggio per andare a Gerusalemme e da quel momento saranno discepoli a tempo pieno.

Avevano a disposizione il maestro migliore, eppure fanno fatica a cambiare il loro carattere, a rinunciare ai loro vizi, a praticare la pazienza e l'umiltà, a vincere la paura. Chiunque, nella loro posizione, avrebbe rinunciato, non vedendo arrivare i risultati desiderati, ma loro, pur essendo scappati dal giardino del Getsemani, rimangono fedeli a Gesù: perché?  La risposta ce la dà Pietro: “Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”. È l'amore per Gesù che li mantiene assieme nonostante le grosse differenze di carattere e anche di idee politiche che ci sono tra di loro.

 

Ricapitolando: se guardiamo alla nostra vita, notiamo che spesso in molti religiosi, il discorso della vocazione sta perdendo la caratteristica dell’attaccamento radicale al desiderio di seguire Cristo e conformarsi a Lui. È come se la santità, a cui tutti tendiamo, nella nostra mente sia legata alle opere che realizziamo, all’apostolato che svolgiamo; sia una questione esteriore. Così facendo si crea una scissione interiore dove l’essere è staccato dal fare e questo secondo diventa la preoccupazione principale. Detto in poche parole, c’è il pericolo di credere che il molto fare possa stabilire il senso del nostro essere, mentre dovrebbe essere il contrario: il fare deve essere illuminato e sostenuto da quello che siamo coscienti di essere. Si fanno tanti ragionamenti e programmi umani, necessari, ma che lasciano poco spazio al discorso di fede, alla coscienza di essere “spose” o “sposi” di Cristo.

Dio non ci chiama su una strada di successo, non ci chiama a fare carriera, ci chiama ad essere profeti scomodi cioè a partire dal progetto di Dio, con la nostra vita e col nostro impegno di evangelizzatori, mettiamo in questione, sfidiamo, tutto quello che a Lui si oppone.
Il successo nella nostra vocazione non dipende né dai nostri sforzi né dalle nostre capacità, ma come dice il documento Vita Consecrata 84,
la vera profezia nasce da Dio e dall'amicizia con Lui, dall'ascolto della sua Parola nelle diverse circostanze della storia. Esige, d'altra parte, la ricerca della volontà di Dio, la comunione ecclesiale, il discernimento spirituale e l'amore per la verità.

Fate attenzione ad evitare ogni decisione o azione che crei divisione interiore tra l’essere e l’operare; attenzione a non cadere o nel misticismo disincarnato o nell’efficientismo laico.

 

Alcune domande per la riflessione:

1) Cosa mi ha portato qui fino ad oggi? Cosa mi ha attirato e cosa mi ha dato il coraggio di continuare?

2) C’è qualcosa in più che mi sembra dovrei fare? Cosa mi blocca o pone degli ostacoli?

3) Cosa faccio per addestrare il mio corpo a rispondere in maniera più fedele ed efficace alle ispirazioni dello Spirito?

4) In che misura i calcoli di soddisfazione personale, carriera, paura del futuro, non mi rendono libera nelle scelte?

 TESTI ORIONINI

Amare Gesù Cristo e farlo conoscere e amare con le opere nostre,... amare e servire il Papa, padre nostro SS.mo, capo universale della Chiesa e Vicario di Dio tra gli uomini, è l'opera più grande che possiamo fare su questa terra a gloria del Signore, ed è il fine del nostro povero Istituto della Provvidenza. Instaurare omnia in Christo: - per grazia di Dio tutto instaurare nella dottrina e nella carità di Gesù Cristo crocifisso, con l'attuazione del programma papale, specialmente per la parte che riguarda la libertà del Papa e della Chiesa e l'unione delle chiese separate.

            Per questo fine che è la nostra vita, io sono certo che Nostro Signore Gesù Cristo riguarda con occhio dolcissimo di padre la volontà che abbiamo di unirci per amarlo di più e farlo amare e per servirlo più fedelmente e più fortemente uniti nella sua santa Chiesa cattolica, nostra carissima madre.

                                               (da lett. a suoi religiosi chiamati agli esercizi 3-VII-1902)   Scr. 70,2-3

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Mio caro figliuolo , la via della vocazione religiosa è  certamente ardua e spinosa tanto, ma l'amore di Dio la  rende soave e piana. Fatevi ogni dì più ad amare nostro Signore e la Madre nostra santissima del Paradiso. Sprezzo di voi stesso e del mondo, desiderio del cielo, affetto alla povertà, pratica della orazione e della mortificazione.

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Chi è chiamato al servizio di Dio, deve però prepararsi alla tentazione, e la vocazione, per rassodarsi, ha bisogno di aver affrontata e di vincere le buone battaglie contro il demonio e contro noi stessi e l'umanità. Per vincere queste battaglie è necessario essere generosi con Gesù Cristo, e darsi a lui interamente e, specialmente per chi comincia come ora voi, a mettere ogni confidenza nel superiore, e aprire a lui con umiltà come di un bambino e con santa semplicità la sua anima.

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E, non solo, non lasciamola la vocazione, ma viviamola la vocazione! La vocazione non la vivono certo i tiepidi, non i trascurati, non i lontani dallo spirito e dalla vita mortificata, umile, attiva della Congregazione; non la vivrebbero i divagati da idee e sentimenti secolareschi, non degni di buoni religiosi, i rilassati o quelli che rifuggono dall'osservanza delle regole, che sfuggono dallo sguardo dei superiori. Dobbiamo viverla, la vocazione, da religiosi sul serio, da religiosi che vogliano davvero santificarsi e santificare le anime, da religiosi che sanno vincersi e abnegare se stessi, da religiosi che intendano osservare le sacre promesse e i voti con cui si sono dati e consacrati al Signore.    

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Molte volte Gesù parlava alle turbe che lo seguivano; ma parlava pure ai suoi discepoli. Sotto il nome discepoli v'è incluso anche quello degli apostoli. Dunque, Gesù parlò ai suoi discepoli cioè a quelli che s'erano dati alla sua sequela, di null'altro desiderosi che di praticare i suoi insegnamenti, seguire i suoi esempi e vivere, in qual modo, della sua stessa vita. E disse loro: "Voi siete sale della terra, voi siete la luce del mondo..."(Mt 5,13). Per quanto miseri, per quanto indegni, anche noi, o cari figliuoli, ci siamo avvicinati al Signore più che le turbe . Il popolo cristiano, se vuole essere veramente cristiano, segue gli insegnamenti del Signore, e osserva i comandanti. Noi che, per divina chiamata, abbiamo fatto un passo di più che i semplici cristiani, abbiamo abbracciato, non solo quanto è prescritto per i cristiani, ma anche quello che è consigliato, e ci siamo messi alla sequela di Gesù nella povertà di spirito, nell'umile obbedienza, nella purezza, nella vita religiosa, facendo il vero discepolato. Noi raramente siamo i discepoli di Gesù Cristo, i successori, continuatori degli apostoli. Insomma noi siamo quelli che dobbiamo essere, per vocazione, più vicini al Signore, quelli che dobbiamo camminare ai fianchi di Gesù e seguirlo. Gesù parlò ai suoi discepoli che lo ascoltavano, ma a tutti loro che appresso lo avrebbero seguito; e quindi anche noi che, alla distanza di 2000 anni, siamo i continuatori, successori dei primi discepoli. Infatti, come loro, abbiamo lasciato la nostra casa, il paese, la famiglia, tutto ciò che avevamo di più caro, persone e cose, e ci siamo messi dietro a Gesù. Egli non parlava solo a quelli che lo ascoltavano allora, ma, quelle parole che passarono tutti i tempi e le generazioni giungendo fino a noi, Gesù le dice a noi, suoi discepoli.   Udite che grandi parole disse Gesù "Voi siete il sale della terra". Ora se il sale svanisce e non dà quel sapore che deve dare, con che cosa si salerà poi?. Quando c'è la minestra senza sale, voi sapete che nausea, che disgusto si prova, lo avete provato: anche l'acqua, se non ha quelle date quantità di sali, nuoce alla salute anziché giovare, e non si renderebbe più digeribile. Gesù chiamò i suoi discepoli "sale della terra"; e aggiunse: "Se il sale si guasta non vale più a niente".

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