Esercizi 7, la povertà

Povertà

 Stiamo per iniziare la discussione sui voti.

Dobbiamo tener presente che a riguardo della vita religiosa, essa ha fatto dei passi enormi dai tempi di Don Orione, specialmente dopo il Concilio Vaticano II.

Ora è molto più chiaro che anche la vita religiosa è a servizio della Chiesa e della sua azione pastorale ed è proprio in quest’area che la Chiesa ha fatto i cambiamenti più grandi. I voti devono adeguarsi a questa nuova visione ecclesiale data da Papa Francesco e alle nuove provocazioni che egli ci manda.

Vale, inoltre, quanto abbiamo appena detto, che cioè c'è un modo di vivere i voti alla lettera seguendo pedissequamente quanto è scritto nelle nostre costituzioni, e c'è, invece, un modo di viverli in maniera profetica che va molto al di là delle esigenze del voto stesso, per essere un messaggio chiaro e provocatorio a chi ci guarda e ascolta.

Se veniamo al voto di povertà, dobbiamo subito chiarire che esso è forse il voto più visibile di tutti, e quindi anche quello più criticato e commentato dalla gente. Tutto sommato, con la mentalità aperta del giorno d'oggi, la gente non si scandalizza più se sente che un religioso è caduto contro il voto di castità, anzi, sotto sotto, si fanno una risata, ma poi accettano. Riguardo al voto di obbedienza, la maggior parte delle persone neanche si accorge che ce l'abbiamo perché esso riguarda soprattutto dinamiche interne alla comunità, dove la gente non entra. Il voto di povertà, invece, riguarda molto il come noi ci presentiamo alla gente e come presentiamo a loro le nostre proprietà, la casa, le strutture, le macchine, le priorità di spesa, eccetera. È qui che la gente vede e commenta, soprattutto quelli che sono abituati a fare l'offerta in chiesa, magari molto piccola, ma esigono che questi soldi vengano usati nel modo giusto. La gente guarda anche al modo in cui noi ci rapportiamo ai poveri, li serviamo, li accogliamo, perché pensano che questo debba essere il nostro contributo. 

Facciamo un salto a Don Orione. Vediamo subito che lui amava molto la povertà e insisteva perché tutti noi l’amassimo, al punto di dire che dovremmo essere più poveri degli stessi Francescani, che avevano la fama di essere la congregazione più povera.

Ma perché don Orione amava la povertà? Prima di tutto perché per lui la povertà era il modo per dimostrare a Dio che ci fidiamo della Divina Provvidenza. È come se gli dicessimo: “Noi non possiamo fare di mano nostra, quindi, se tu vuoi che facciamo le cose, devi darci tu la possibilità di farle mandandoci dei benefattori”. Se noi abbiamo i nostri soldi, Dio esigerà che usiamo i nostri soldi e tutto finisce lì.

C'è anche un secondo aspetto che è importante per Don Orione e cioè che, per agire nella carità, dobbiamo essere liberi da tutti i legami mondani. Se noi abbiamo delle strutture troppo belle, abbiamo l'esigenza di farle funzionare, di mantenerle; andiamo incontro a delle spese enormi. Più noi badiamo alle cose materiali a cui siamo legati, tanto meno libertà avremo di dare il nostro tempo e le nostre risorse ai veri poveri. Non i poveri in maniera generica, quanto piuttosto la persona specifica che io ho di fronte a me in questo momento. Don Orione capiva che trovarsi di fronte a un povero, da povero, lo rendeva più libero, che non presentarsi allo stesso povero ma in veste di direttore di una grossa struttura o di persona molto impegnata a correre qui e là.

Lui poi diceva che la povertà è segno di santità e diceva che è garanzia della congregazione proprio per quello che abbiamo detto sopra.

Infine per ultima cosa diceva: se siamo poveri siamo obbligati a lavorare mentre i ricchi stanno seduti in cattedra. Per cui lui accostava sempre la povertà al lavoro manuale, al facchinare, come diceva lui, al correre come atteggiamento opposto alla rilassatezza. 

Alcune volte, poi, insiste che la povertà è il modo migliore per comprendere la situazione delle persone, da una parte per non giudicarle, dall'altra per non cadere nel paternalismo, ma per comprenderne davvero lo stato d'animo e condividere con passione la loro situazione. 

Queste sono tutte idee molto forti, molto buone di Don Orione, da cui possiamo partire per la nostra riflessione personale.

Vorrei sottolineare, allora, prima di tutto la capacità di fare sacrifici. Abbiamo dei confratelli o delle consorelle che vivono il voto di povertà, ma non sanno fare sacrifici. Non cercano cose lussuose e non vogliono sprecare denaro, ma non accettano che manchi qualche cosa o che un giorno debbano rinunciare a una piccola cosa. Il sacrificio va molto al di là di quanto scritto nelle regole, e non è necessariamente legato alla ricchezza o alla povertà personali, ma è un aspetto molto importante che rafforza la personalità e dà testimonianza. Ci sono molti religiosi che non riescono più a lavorare, perché hanno troppe cose da fare, e molto spesso si tratta di cose legate alla loro comodità, alla soddisfazione personale, agli hobby, ai tempi dedicati alle letture personali o ad altre faccende personali che non riguardano direttamente la vita della comunità o l'apostolato che stanno facendo.

Un altro aspetto da sottolineare è la capacità di accettare situazioni di disagio. Oggi i provinciali fanno fatica a muovere un fratello o una sorella da una comunità all'altra perché nella comunità dove li vogliono mandare manca questo o quello, perché si devono abituare, non conoscono nessuno, si tratta di un lavoro nuovo, di un posto meno importante. La ricchezza ci lega, non ci rende liberi.

Questi sono tutti punti che riguardano la povertà e su cui noi dobbiamo riflettere.

Quando poi veniamo al discorso della profezia, penso che bisogna andare anche aldilà di tutto quello che abbiamo detto finora.

In questo caso non sto parlando di rinunciare a cose lussuose, ma sto parlando della differenza che c'è tra il modo di lavorare in maniera efficiente o in maniera efficace. Mi spiego.

L’esser profeti, vuol dire dare un messaggio forte, provocatorio, spesso esagerato, che deve spingere tutti a riflettere, perché poi ognuno prenda le posizioni che ritiene giuste. Quello che voglio dire è che, ad esempio, abbiamo diritto ad avere una macchina, abbiamo diritto che la macchina funzioni bene, abbiamo diritto che la macchina sia comoda, specialmente se dobbiamo prenderci cura della salute. Questo è un discorso molto controverso per il quale mi sono trovato spesso a litigare con tanti religiosi. Essi rispondevano con ragionamenti molto seri e che possono essere condivisi, ma io volevo portarli a riflettere “dai tetti in su” come diceva sempre Don Masiero. Molto spesso, in nome dell'apostolato e dell’essere efficienti, vogliamo avere tutto quello che è necessario per fare il lavoro, per farlo bene, per farlo in fretta. Le nostre case di carità sono tutte molto efficienti e mantenerle efficienti costa un sacco. Ma molto spesso, in nome dell'efficienza, ci troviamo a non poter accettare delle situazioni che sono quelle che veramente hanno bisogno del nostro aiuto, perché non possono essere inquadrate nelle regole, ormai strette, che la burocrazia ci impone. Non abbiamo più il tempo da dedicare all'ascolto delle persone, proprio perché dobbiamo correre dietro al funzionamento delle cose. Allora, l'impatto con il povero che viene alla nostra porta, diventa negativo, perché, da una parte riceve le medicine di cui ha bisogno, l'insegnamento che ricerca, si rende conto che le cose funzionano bene, sono veloci e sono fatto bene, quindi guarisce ed è contento. Ma, dall’altro lato, non capisce la differenza che c'è tra il nostro ambulatorio e l'ospedale del governo. Non si rende conto che noi siamo religiosi, non capisce che cosa voglia dire essere “orionini”.

Se io dedico tempo all'ascolto, non ho tempo per correre dietro a tutti gli aspetti amministrativi, devo fidarmi di qualcun altro col rischio di essere meno efficienti e che le cose non vadano come vorrei.  Se poi siamo meno efficienti, il povero riceve un aiuto meno qualificato. Ma il punto centrale è il messaggio che riceve. Quando io mi fermo a parlare con lui, lui percepisce che Dio lo ascolta, che Dio lo ama, che i preti di Don Orione sono lì e condividono la sua situazione, hanno compassione di lui. Da un punto di vista mondano, riceve di meno, da un punto di vista spirituale, riceve molto di più. Molto spesso, alla fine, è proprio questa situazione spirituale che gli dà la forza necessaria per crescere, per reagire alle avversità, e quindi per ottenere di più anche dal punto di vista fisico.

Ne parleremo quando accenneremo all'apostolato, ma anticipo qui che noi dobbiamo puntare sempre all'efficacia, cioè alla visione globale che la persona ha dopo che ha lasciato un incontro. Quanto ha ricevuto, soprattutto dal punto di vista spirituale? 

Da qui nasce tutto il discorso sulle strutture: dobbiamo mantenerle o no? Possiamo dare in mano ai laici la gestione ed entrarci come animatori spirituali piuttosto che amministratori. Fidarsi dei laici nell'amministrazione, vuol dire spesso perderci dei soldi, eccetera, un lungo discorso che crea appunto le polemiche.

Un giorno parlavo con un missionario che aveva appena comprato un pick-up molto bello, di lusso, perché era molto forte, 4 ruote motrici, capace di caricare veramente tanto materiale. E io gli dicevo: Tu ti presenti con questo pick-up nel villaggio povero della gente e magari hai anche il coraggio, durante la messa, di chiedere un po' di soldi per riparare il tetto della chiesa? Lui rispose: ma il mio pick-up deve essere forte perché spesso c'è il fango; deve essere forte perché molto spesso devo portare le persone all'ospedale; deve essere forte perché quando vado in giro mi saltano 50 bambini sul retro e quindi faccio anche questo servizio; deve essere forte perché ho molto materiale da portare per distribuire. Tutto vero. Ma dove sta l'evangelizzazione di questa gente? Sono nelle prediche che facciamo a Messa? Li aiutiamo a vedere la presenza di Dio nella loro vita, a comprendere che il messaggio che noi predichiamo durante la messa riguarda la loro vita? Che messaggio passa? Come incide? Si abituano a vedere che noi siamo bravi, si accomodano dicendo che tanto poi ci pensa il prete. Magari si danno da fare ad aiutarci perché è bello essere sotto di noi. Con noi hanno la possibilità di fare i ricchi, di usufruire di tutte le tecnologie che abbiamo. Ma la capacità di prendere in mano la loro vita, di impostare qualche cosa di loro, di sentire la gioia che sono loro a realizzare quello che stanno facendo, da dove vengono? Dobbiamo insegnare loro che la Provvidenza di Dio non sta solo nel ricevere, ma anche loro devono darsi da fare per aiutare il vicino di casa e non semplicemente aspettare che venga il prete. I rapporti di amore, di condivisione tra la gente non arrivano semplicemente attraverso la tecnologia, e molto spesso, non arriva proprio a causa della tecnologia.

In che modo noi ci rapportiamo alle persone che assistiamo? Don Orione diceva “sposare la povertà vuol dire vivere come vivono i più poveri”. 

È chiaro che ho bisogno di qualche cosa di base, ma un conto è la base, un conto è vedere che questa base continua negli anni, un conto è vedere quanto spesso cambiamo le macchine, quanto nuove le macchine sono, che tipo di macchine acquistiamo, eccetera. Ma questo vuol dire faticare di più, vuol dire essere più scomodi quando viaggiamo, e viaggiare in strade piene di buche per un'ora per passare da un villaggio all'altro costa tanta fatica, è vero! Costa più salute, è vero! Sono scelte da fare, scelte che non possono essere imposte dai superiori, dalle regole, devono essere scelte personali del religioso proprio perché è il religioso che deve dare questa testimonianza e, soprattutto, è il religioso che deve rispondere a Dio di quello che sta facendo.

Oggi dobbiamo avere il coraggio di fare scelte, soprattutto di fronte all'esagerazione dell'utilizzo delle cose. Qui subentra anche tutto il discorso dell'ecologia. La tecnologia moderna sta sfruttando il pianeta utilizzando molte più risorse di quelle che il pianeta è capace di riprodurre, utilizzando molto più ossigeno di quello che i nostri alberi sono capaci di riprodurre.

Parliamo, non solo di inquinamento, ma sfruttamento delle risorse, del verde, dell'acqua. Quando noi sprechiamo acqua perché ne abbiamo bisogno per far apparire belle le nostre strutture, chi ci rimette, non siamo noi ma sono i poveri dove l'acqua è poca ed è sempre di meno. Questo crea desertificazione, eccetera.

Sono discorsi lunghi, impegnativi a cui dobbiamo pensare e la povertà c'entra molto in questo. Noi possiamo predicare l'ecologia, possiamo predicare la condivisione coi poveri, possiamo predicare l'accoglienza degli immigrati, solo se lo viviamo come stile di vita nostra, ed è appariscente, cioè visibile alle persone a cui predichiamo.

Papa Francesco vi ha ricordato: “Al missionario è richiesto di essere una persona libera, che vive senza nulla di proprio. Non mi stanco di ripetere che la comodità, l’accidia e la mondanità sono forze che impediscono al missionario di “uscire”, di “partire” e mettersi in cammino e, in definitiva, di condividere il dono del Vangelo. Il missionario non può mettersi in cammino con il cuore pieno di cose (comodità), con il cuore vuoto (accidia) o in cerca di cose estranee alla gloria di Dio (mondanità). Il missionario è una persona libera da tutte queste zavorre e catene;  una persona che vive senza nulla di proprio, solo per il Signore e per il suo vangelo; una persona che vive in un cammino costante di conversione personale e lavora senza sosta alla conversione pastorale.

 

Alcune domande per riflettere

1) Come mi sento quando mi manca qualcosa? A disagio, mi arrabbio, sento la necessità di andarla subito a cercare?

2) C’è qualcosa a cui sono particolarmente attaccata? Questo attaccamento crea una dipendenza? Mi impedisce di essere aperta agli altri?

3) Come vedo le persone che mi chiedono un aiuto?

4) So rinunciare a un po’ della mia comodità per andare ad aiutare un altro?

 

TESTI ORIONINI

    “La Congregazione sarebbe rovinata da chi portasse o facesse borsa a sé, come Giuda.

    Nei santi esercizi (spirituali) prega il padre predicatore che voglia bene insistere sulla santa povertà, che è poco intesa.” (da lettera del 15 - VII - 1929) L.II, 63

  “ Ricordatevi: il giorno in cui diverremo ricchi, scriveremo finis (fine”). (da discorso del gennaio 1936 in Argentina).    Par. VI,218

   “ La povertà è il muro saldo della Congregazione.”

   “Sposare la povertà vuol dire incarnare in noi la vita dei più poveri, dei più abbandonati; dei più reietti, dei più afflitti. Questo è sposare la povertà!

     Non basta dire: viviamo poveramente. Non basta dire: abbiamo fatto promessa di essere poveri! Non basta!     Sposare la povertà è amare la povertà, ritratto di Cristo nei nostri fratelli, e amarla tanto (...) e viverla tanto, come lo sposo ama la sposa. (...)”(da predica del 6 - X - 1939)   Par. XI,142 ss  

h h h h h h

Avrai avvertito che ho detto essere un tale stato una somma grazia, secondo Dio.    

            Lo dissi, perché certo non è tale secondo il mondo; mentre il vero religioso rinunzia a tutti gli interessi di quaggiù, e solo il Signore e la sua santissima croce saranno la porzione della sua eredità.     Caro figliuolo mio, guarda che, venendo con noi, noi siamo poveri, e pure tu dovrai fare vita da povero religioso per amore di Gesù Cristo, il quale è il nostro divino esemplare, ed egli nacque povero: visse povero: povero morì sopra d'una croce, privo anche d'un po' d'acqua.    

            Ma Gesù, nostro dolce Dio e Padre, è con noi, e noi facciamo una vita felice, poiché ci basta avere Gesù.     

            Egli sarà con te, e ti consolerà, e troverai più gioia spirituale e più contento e felicità a vivere della povertà e umiliazione di nostro Signore, che se tu fossi ricco di tutti i beni e piaceri fugaci di questo povero mondo.

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... Io non temo (...) i dolori e le prove che piacerà alla divina misericordia di mandarci, ma ciò che io temo è il poco spirito che si manifesta al presente in alcuni nostri fratelli.

            Vedo che non si ama la povertà, quando è un miracolo della Divina Provvidenza che ciascuno abbia a tavola pane e minestra per saziarsi: eppure, anche avendo di più, per bontà del Signore, vi sono di quelli che mai sono contenti, perché non curano lo spirito di mortificazione e non considerano di essere in case di Provvidenza e di povertà religiosa.    

            Poco si ama l'obbedienza, e più si pensa a salire o a ricevere presto gli ordini, che a rinnegare se stessi; poco si ama la carità, e si mormora, e si sparla di questo e di quell'altro.

            So che qualcuno gironzola con facilità, che con facilità alcuni escono e vanno per bibite ai caffè e di tutt'altro si occupano che di curare lo spirituale, e di tutto si occupano e di tutto si interessano, eccetto che di curare sul serio se stessi e di emendarsi e di darsi ad amare davvero il Signore: ora questo non va bene.    

            Per carità, non mi fate sentire più tali cose.    

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San Tommaso d'Aquino, parlando della povertà, dice che là dove la povertà è coltivata vi fiorisce lo spirito di Gesù Cristo, vi si sente Dio e dove la povertà è abbandonata, disprezzata, là entra la dissoluzione e lo spirito del mondo, anche nei cenobi, negli ordini più celebri.

    E voi sapete che cosa dice anche Dante di un certo ordine illustre, appunto perché aveva lasciato lo spirito di povertà. E vi dirò di più: se la Svizzera è protestante, non credo di errare dicendo che, in parte, si deve all'opulenza, alla ricchezza di certi monaci.

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    Guardiamo a nostro Signore: se vogliamo praticare la vita che ha praticata Gesù Cristo, ricordiamo che una delle prime cose è vivere la povertà di Gesù Cristo, è distaccare il cuore dai beni e da tutto ciò che può affievolire il nostro spirito. Finché la Congregazione amerà la povertà e la vivrà la Congregazione prospererà e sarà benedetta dal Signore; quando la nostra piccola Congregazione lascerà di essere povera, cesserà di compiere la missione che Dio le ha affidato.

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ALTRI

Papa Francesco GeE 74

La mitezza è un’altra espressione della povertà interiore, di chi ripone la propria fiducia solamente in Dio. Di fatto nella Bibbia si usa spesso la medesima parola anawim per riferirsi ai poveri e ai miti. Qualcuno potrebbe obiettare: “Se sono troppo mite, penseranno che sono uno sciocco, che sono stupido o debole”. Forse sarà così, ma lasciamo che gli altri lo pensino. E’ meglio essere sempre miti, e si realizzeranno le nostre più grandi aspirazioni: i miti «avranno in eredità la terra», ovvero, vedranno compiute nella loro vita le promesse di Dio.

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