Esercizi 4, Il peccato e l'amore
Il peccato e l’amore
Fin
da fanciulli ci hanno insegnato cosa sia il peccato. Il primo sacramento che
abbiamo ricevuto coscientemente è la Confessione, noi ci siamo presentati dal
sacerdote con la lista delle nostre malefatte attendendo da lui, con un po’ di
paura, il perdono e la penitenza. Ci hanno insegnato anche a distinguere i
peccati in gravi e veniali che cioè offendono di più o di meno Dio e
danneggiano di più o di meno la nostra anima. Questa presentazione della vita e
dell’agire ci ha creato una mentalità legalista, funzionale o efficentista:
questo lo posso fare, questo no; questo è un dovere, questo solo un consiglio.
Ha forse reso più semplice l’agire quotidiano ma lo ha trasformato in qualcosa
di meccanico, freddo in cui l’unico senso del vivere lo si ha alla fine, a seconda
se sarò premiato o punito e questo dipenderà solo dalla somma matematica delle
colpe e dei meriti. Dio è relegato in cielo, è un giudice giusto, ma niente di
più. Vista così la nostra religione non è per niente diversa da qualsiasi altra
religione.
La
nostra natura, però, si ribella a tale mentalità perché siamo fatti per l’amore
e solo in esso troviamo la soddisfazione e la pace vera.
Quando
si cerca di togliere l’amore dal mondo, altri impulsi umani prendono il
sopravvento: la sicurezza, la comodità, il potere, il piacere, e ricerchiamo la
nostra gioia nella soddisfazione di tali impulsi. C’è un proverbio popolare che
dice: Tutto quello che è attraente e buono, o fa male alla salute o è peccato.
Pian piano si crea nella persona una scissione interiore per cui da una parte
c’è l’io e la sua realizzazione umana (carriera o soddisfazione) e questa è
gestita soprattutto dalla parte emotiva della nostra personalità, mentre
dall’altra c’è il “dovere”, quello che purtroppo dobbiamo fare per evitare
scontri con gli altri o punizioni. Questo è lasciato all’intelletto, anche se
fa a botte interiormente con le emozioni. Possiamo chiamare questa divisione:
la mentalità del mondo cosiddetto “secolarizzato”, cioè visto senza Dio.
Forse
la mia vi sembra una presentazione esagerata e pessimista; lo è di proposito,
ma ci sono molti Cristiani che preferiscono vivere in questo modo, e anche
molti religiosi. Alle volte, interiormente non sentiamo l’ebrezza, la bellezza
della vita, ma ci consoliamo illudendoci di avere tutto sotto controllo, anche
Dio. Papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato ha parlato di questa
mentalità secolarizzata e autoreferenziale, dicendo che è tanto diffusa anche
tra i religiosi.
Allora,
cos’è il peccato? Disobbedire alla legge di Dio? Disobbedire a tutte le regole,
strutture che abbiamo creato perché il mondo e la società possa funzionare
bene?
Non
si può comprendere il peccato nella sua verità e profondità partendo da
ragionamenti umani e neppure da calcoli a tavolino. Per comprenderlo, dobbiamo
fare riferimento al piano originario di Dio, al piano del suo Amore per noi. Se
non sentiamo questo amore, non sentiremo neanche la gravità del male che
facciamo.
Una
frase molto comune è dire che il peccato offende Dio. Attenzione: Il peccato
offende prima di tutto noi. Sarebbe come dire che io ho una bella e potente
macchina ma mi rifiuto di andare a comperare la benzina oppure riempio il
serbatoio con qualche altro carburante. Io non offendo il benzinaio o la
fabbrica che l’ha costruita, rovino me stesso perché rovino la mia macchina.
Ogni volta che noi pecchiamo danneggiamo noi stessi perché ci precludiamo la
possibilità di nutrirci alla vera fonte della vita e ci nutriamo di cibo
avvelenato. Danneggiamo anche gli altri e il mondo intero perché il peccato
porta sempre un cambiamento negli esseri limitati, aumentandone le limitazioni,
mentre non può nulla in coloro che hanno superato la limitazione della
temporaneità, cioè chi è già in cielo e naturalmente Dio.
Dio
soffre a causa dei nostri peccati? Sì, ma non perché è offeso o ferito, ma
perché vede il male che noi facciamo a noi stessi, le occasioni che perdiamo.
Soffre come una madre che vede un figlio farsi del male.
Quali
sono le tentazioni nelle quali i religiosi cadono più comunemente? Le chiamo
tentazioni, potrei chiamarle debolezze, non sono necessariamente dei peccati ma
sono sicuramente degli ostacoli alla nostra piena adesione a Dio. Dico questo
perché ritengo, prima di tutto, che ogni caso è diverso e non è mai possibile
fare delle diagnosi e trarre delle soluzioni generali uguali e valide per tutti; inoltre buona parte delle
scelte fatte da una persona a questi riguardi non sono dettati da una chiara
coscienza di voler fare qualcosa di errato, ma da una coscienza molto limitata
da fattori psicologici, ambientali, di esperienze passate, di condizione
fisica, di prospettive future, per cui la piena coscienza e il deliberato
consenso, nella maggioranza dei casi, sono assenti. Questo vuol dire che ogni
persona, indipendentemente dalla gravità di quello che fa, non va combattuta ma
aiutata, e questo lo si fa combattendo la tendenza, non la persona.
Ritorno
a quanto detto sopra: se l’unico modo di comprendere queste debolezze è
attraverso l’amore, cioè le si vede come ostacoli a vivere veramente una vita
di amore, l’unico strumento veramente efficace nel superare tali limitazioni è
l’amore che prenderà varie forme: misericordia, pazienza, umiltà, comprensione,
mitezza, e soprattutto il perdono che è il volere il bene spirituale di una
sorella / fratello che mi ha ferito, piuttosto che cadere nella facile
tentazione di ripagarla con la sua stessa moneta.
Allora
quali sono le debolezze più comuni? La pigrizia spirituale; La falsità o
l’ipocrisia; l’autoreferenzialità; l’arrivismo; l’autoritarismo, il pessimismo;
la poca stima di sé; la poca fiducia nella misericordia di Dio. Ognuna di esse
è presente in noi e anche in chi ci sta attorno, in maniera più o meno
accentuata anche se di solito è una di esse che ci caratterizza di più e sulla
quale dovremmo concentrare il nostro impegno. Ognuna va combattuta sviluppando
un particolare valore a seconda se la vogliamo combattere in noi stessi o se
vogliamo aiutare qualcun altro.
·
La
pigrizia spirituale è l’accontentarsi di quello che si è senza alcun desiderio
di fare di più, di crescere. Nasconde la sfiducia verso il mondo e verso il
futuro. Normalmente le persone affette da essa si accontentano di fare il loro
dovere come è richiesto o dalla regola o dalla superiora. È un atteggiamento
che rende difficile ogni relazione e toglie ogni desiderio di amare. I valori
da sviluppare sono il senso di responsabilità e il desiderio della bellezza.
·
La
falsità o l’ipocrisia. Questa è la debolezza più difficile da eradicare, perché
la persona è esperta nel proteggersi e innalzare barriere. Nasconde una
profonda paura di se stessi e di quello che potrebbe succedere. Le persone che
vivono questo atteggiamento, devono sviluppare pian piano la fiducia negli
altri e il senso di quanto è bello e liberante vivere nella verità, mentre chi
vive attorno a loro deve far uso di un amore incondizionato nei loro confronti.
·
L’autoreferenzialità.
Questa è una parola che è stata coniata da Papa Francesco sin dall’inizio del
suo ministero. È un concetto che sostituisce il nostro “egoismo”, parola che
suonava troppo negativa e giudiziale. Chi vive con questa tendenza, pone come
criterio ultimo di giudizio e di scelta il proprio interesse, la propria
incolumità, la propria soddisfazione. Normalmente è tipico di chi, da bambino,
non è stato amato e si è sentito deprivato, abbandonato; alle volte hanno
questa tendenza anche coloro che sono stati iper-protetti e viziati.
L’autoreferenzialità non ci fa accorgere che le persone attorno a noi
disprezzano questo atteggiamento e quindi noi non le conquistiamo ma ce le
allontaniamo. La tendenza, allora è, o di addossare su di loro la colpa di
quanto accade, o cercare di comprarle. La cura contro l’egoismo è aiutare la
persona a sviluppare il senso di appartenenza al gruppo, alla società, alla
famiglia, nel nostro caso alla Congregazione. A una famiglia non apparteniamo
perché siamo più bravi o più belli, ma perché siamo il frutto dell’amore dei
nostri genitori, perché abbiamo uno scopo comune da raggiungere e lo
raggiungeremo solo assieme.
·
L’arrivismo,
il carrierismo. È la tendenza a giudicare il valore di noi stessi dalla
posizione che occupiamo. Le persone che vivono con questa tendenza, dividono la
società in tanti gruppi o meglio in tanti livelli, e il criterio di distinzione
tra questi livelli è puramente esterno: ricchezza, potere, posizione sociale.
Essi pensano che la felicità dipenda solo dall’essere riusciti a scalare tutti
i livelli della società, ma non si rendono conto che questo è falso e utopico,
sia perché per tanto che saliamo ci sarà sempre qualcuno più alto di noi, sia
perché non è vero che chi è più in basso ci rispetti o ami solo perché noi
siamo più importanti, anzi, di solito è vero proprio il contrario. Queste
persone devono imparare il valore della gratuità e del servizio, e chi è
attorno a loro deve impostare rapporti genuini che facciano trasparire che per
loro è importante la persona e non la posizione sociale.
·
L’autoritarismo.
È l’attuazione pratica delle tendenze precedenti. La persona non riesce ad
impostare delle relazioni stabili che non siano improntate sul suo prevalere.
Normalmente sono persone che non hanno fiducia negli altri, spesso vivono nella
paura, sono troppo incentrate sul successo di quello che fanno, piuttosto che
sulle persone che ne sono coinvolte. A loro fa bene avere qualche salutare
frustrazione che insegni l’umiltà e la semplicità dei rapporti.
·
Il
pessimismo. È una caratteristica tipica di chi ha paura e non ha fiducia negli
altri. Fondamentalmente, però, la paura è quella di soffrire, unita a un certo
senso di rassegnazione. I pessimisti
hanno bisogno di accoglienza, di tenerezza per poter sperimentare la forza
dell’amore di Dio che ottiene il bene anche da situazioni di sconfitta e
sofferenza.
·
La
poca stima di sé. È un atteggiamento spesso presente tra i pessimisti. Di
solito sono persone con forti sensi di colpa, non sempre giustificati. Hanno
paura del giudizio degli altri quindi, per non incorrere in quel giudizio, non
prendono iniziative, mancano di creatività e si limitano a fare quanto
richiesto da loro espressamente. Forse, da piccoli, hanno sofferto a causa
dell’autoritarismo o dell’arrivismo di altri. Proprio perché questo
atteggiamento va spesso assieme a quello del pessimismo hanno bisogno delle
stesse cure: accettazione e tenerezza. Hanno bisogno di sperimentare che si può
sbagliare, perché questo capita a tutti.
·
La
poca fiducia nella misericordia di Dio. Anche questo atteggiamento è molto
legato ai due precedenti. Vedono Dio come “Giudice Giusto” e se stessi come
“Peccatori”. Sentono fortemente che i loro errori hanno causato molti danni e
fatto soffrire molti e quindi hanno paura del castigo di Dio. Non hanno memoria
di momenti di intimità, affetto e protezione da parte delle persone importanti
per loro (genitori, insegnanti, superiori).
Questi
atteggiamenti che ho elencato non sono peccati, ma spesso ci condizionano
nell’agire, ci tolgono la capacità di amare gli altri e di donarci con fiducia
nelle mani di Dio.
Qualche domanda:
1)
Ho mai sperimentato dentro di me la misericordia di Dio?
2)
Quali sono le mie debolezze? Riesco ad accettarle? Che azioni metto in moto per
superarle?
3)
Riesco a mettere al primo piano la mia sorella/fratello e il suo bene?
4)
So essere misericordioso, paziente, umile?
5)
So spendere tempo ad ascoltare le mie sorelle, ad incoraggiarle, a farle
sentire accolte?
TESTI ORIONINI
Oh mio caro Felice, quanto grande pace e
quiete e felicità possederesti, se troncassi ogni vana sollecitudine, ogni
pensiero che ancora ti alletta al mondo, e pensassi solo alle cose salutevoli e
divine, e tutta la tua speranza la riponessi in Dio e ti consacrassi totalmente
al Signore! Il mondo passa, e i desideri del mondo passano ancora. Che è la
vita dell'uomo su la terra? Fumo che passa. Guarda che, questa mia voce, è
Iddio che si insinua nel tuo cuore e a sé soavemente ti attira: non lasciare passare
questa voce, che non è voce mia: leva in alto il cuore e rispondi al Signore
che farai tutto quello che egli vuole da te, che ti perdoni i tuoi peccati e le
tue negligenze: che lo amerai e lo predicherai alle anime e lo farai amare a
tutte le anime, che parlerai di lui e che farai in tutto la sua santa volontà.
- Oh te veramente felice, perché Iddio si consolerà in te e in te si consolerà
la tua mamma e le anime del Signore e fin gli angeli santi si accosteranno a
te! Vedi, mio caro figliuolo, io non ho mai visto Dio così, non l'ho mai
sentito parlarmi al cuore più soavemente e più forte: io ora mi trovo così
penetrato di lui e dominato da lui, che mi pare di stare faccia a faccia con
lui. Il fuoco dolcissimo della sua divina misericordia (mi arde) ....
h h h h h h
Come
amava e come ama Gesù? Egli ama di un amore soprannaturale, cioè di un amore
che non si ferma alle doti fisiche della persona, ma bada soprattutto a mirare
nella creatura l'opera del Creatore colei che deve onorare con tutte le sue
azioni, cioè la Maestà divina. È difettosa la carità se si volge solo alle
persone di nostro genio, della nostra indole, delle nostre idee, perché dobbiamo
amare tutti e più ancora chi ci sembra maggiormente cattivo, maggiormente
rovinato dall'opera del peccato. Non
crediamoci di dover amare solo chi ci ama e ci fa del bene; anche i mondani, i
pagani stessi sono capaci di quest'amore! Ricordiamoci bene, Gesù ci amò, ma
col sacrificio del Calvario! E noi pure è con sacrificio che dobbiamo amare
anche coloro che ci fanno del male, che ci offendono, che parlano male di noi,
che possono in qualsiasi modo addolorarci. Dobbiamo amare sempre, anche se ci
costa caro, perché è qui tutta la forza della nostra santa Religione.
Soprattutto la carità dev'essere tollerante e compatire tanto, compatire sempre
come compativa Gesù.
h h h h h h
C'è
forse qualcosa di più dolce, e che ispiri di più a vivere in umiltà, ad amare
Dio nella santa povertà, in letizia e gioia serena, che il sorriso del Bambino
Gesù? C'è qualche cosa che commuova e
faccia piangere di pianto più sentito e consolante, che quel volto, rapimento
degli Angeli, e il riflettere che, un giorno, quel volto sarà schiaffeggiato e
pesto, coperto di sputi e di sangue? E di quale corona sarà mai trapassata
quella fronte divina! E le mani ed i piedi ed il Cuore? Ah Gesù! Re d'amore, che ci hai amato più
della tua vita, come resteremo insensibili?
Non sei Tu venuto a soffrire per noi, a portare le nostre miserie, a
riparare pei nostri peccati, a riscattarci, a liberarci dai nostri mali? Non
sei Tu venuto per affogarci di divino amore?
Per tutti Tu sei venuto, pei grandi come pei piccoli, per dar pace,
salvezza ed amore insaziabile a tutti gli uomini di buona volontà! Jesus, salus
et amor generis humani! E perché
impariamo ad amarLo senza riserva, senza interruzione e perfettamente, Gesù ci
chiama al Presepio, come un dì chiamò i pastori: alla scuola di Betlemme vuol
trasfondere in noi il suo spirito, ed attrarci alla bellezza dell'umiltà, della
povertà, della carità; vuol fondare nei nostri cuori il regno di queste tre
grandi virtù, senza le quali, o miei figli, non saremo mai veramente suoi
discepoli.
h h h h h h
Il Signore non guarderà in noi secondo la nostra miseria e i
peccati nostri, ma secondo la grandezza della Sua bontà e la moltitudine delle
sue misericordie; ed esaudirà la preghiera di noi suoi poveri servi, se avremo
e vivremo della sua carità; e, sotto la scorta della sua grazia, ci guiderà per
la via della pace e del sacrificio di noi ai piedi di questa Sua Santa Chiesa
di Roma, che è la Madre nostra e la Madre dei viventi; e benedirà il Signore e
santificherà i nostri passi e i passi della Congregazione nostra, e la porterà
con la benedizione celeste a stendere le tende di Dio; e i confini stessi della
terra diventeranno la nostra abitazione, se saremo umili e fedeli figliuoli
della Chiesa di Roma e vivremo della carità senza limite di Gesù Cristo, e solo
cercando Gesù Cristo e il suo regno, cioè le anime e le anime e le anime!