Esercizi 10, l'Apostolato

 

Apostolato

 Oggi vogliamo andare al pratico della vita per vedere come applicare tutta la bella teoria appresa nei giorni scorsi.

Quando parliamo delle nostre opere, utilizziamo la parola apostolato.

Gran parte dei nostri giorni e della nostra vita sono dedicati all'apostolato. Gesù stesso dedicò molto tempo ai poveri. Tutti i fondatori hanno sottolineato bene che siamo destinati ai poveri e che la nostra congregazione è considerata tra quelle di vita attiva, non contemplativa. Questo è forse in contraddizione con la necessità di essere mistici? Nessuno nega l'importanza dell'apostolato, ma la sfida è quella di considerarlo nella sua dimensione integrale. Ogni apostolato ha sempre due dimensioni: aiutare i bisognosi e testimoniare il Regno di Dio. Quindi la vera domanda è scoprire qual è il posto del nostro apostolato nel piano di Dio.

L'apostolato è una parte necessaria della vita religiosa, anche per le congregazioni di vita contemplativa. Papa Francesco insiste molto sul fatto che la nostra fede e testimonianza diventano reali quando andiamo incontro ai più lontani, ai più bisognosi e abbandonati.

Quando guardiamo alle nostre opere di carità (specialmente in luoghi come l'Europa in cui sembrano essere diventate ridondanti poiché i governi stanno facendo lo stesso lavoro e con attrezzature migliori), dobbiamo avere chiare in mente due cose: l'obiettivo del nostro apostolato e il messaggio che presentiamo.

a) L’obiettivo, cioè a chi vogliamo parlare con le nostre opere. Le nostre opere di carità agiscono sempre su tre livelli: al primo livello abbiamo i bisognosi (persone con disabilità, anziani, poveri, studenti, ecc.). Al secondo livello ci sono tutte le persone coinvolte nei nostri lavori, il che significa il nostro personale, i parenti dei nostri assistiti e i volontari che, in vari modi vengono ad aiutarci. Anche a loro si rivolge il nostro apostolato. Al terzo livello, non meno importante, c’è l'intera società, tutti coloro che non ci conoscono, non entreranno mai nelle nostre strutture. Vedendo dall'esterno il lavoro che facciamo, devono essere provocati a riflettere sul valore della vita, lo spirito di servizio, il bisogno di prendersi cura dei deboli, la bontà della Chiesa, ecc. Quindi l'obiettivo delle nostre opere non sono solo gli ammalati o i bisognosi che serviamo direttamente.

b) Il messaggio. Per quanto riguarda il messaggio che vogliamo inviare a queste tre categorie, anche questo è variegato.

- Il primo messaggio che dovrebbe essere sempre presente ed essere chiaro riguarda l'amore di Dio che si prende cura di tutti. Ecco perché li amiamo: perché Dio li ama, sono preziosi per Lui, e loro questo lo devono sentire attraverso il nostro lavoro.

- Il secondo messaggio è che anche la Chiesa li ama e noi partecipiamo alla preoccupazione della Chiesa attraverso il nostro lavoro. Non parliamo solo della nostra Congregazione, parliamo sempre nel nome di tutta la Chiesa locale e globale e lavoriamo in comunione con essa.

Apostolato vuol dire lavoro fatto da Apostoli, cioè da persone che sono mandate da qualcuno. È un lavoro che noi facciamo a nome di qualcun altro. Qui c'è già una prima riflessione importante: Le opere non sono nostre, appartengono a qualcun'altro. Noi siamo solo operai e come operai dobbiamo seguire le direttive, le norme, lo stile, gli orientamenti che ci vengono dati dal padrone del lavoro.

Noi siamo mandati: allora, guardiamo a chi ci manda per poter capire come dobbiamo lavorare.

Prima di tutto siamo mandati da Dio. La Congregazione è nelle mani di Dio, è opera di Dio; il Carisma viene dallo Spirito Santo. Noi diciamo: “È chiaro che lo facciamo a nome di Dio; siamo cristiani, siamo consacrati, per cui lavoriamo per Dio, non per un altro”. Nel dire così, però, dovremmo avere il coraggio di verificare se veramente ciò che diciamo o pensiamo corrisponde alla verità, e questo è un processo continuo. Non si tratta solo di dire: io lavoro per Dio, ma faccio quello che voglio. Dovrò mettermi spesso in contatto con Dio per confrontare se quello che sto facendo va bene, se è secondo il suo stile e la sua volontà; quindi, non ci può essere apostolato che non sia basato sulla preghiera.

Qualcuno potrebbe dire: molti dei lavori che facciamo, non sono legati a un discorso spirituale, ad esempio se io sono un’infermiera e lavoro in un ospedale, incontro dei pazienti a cui devo curare le malattie, le ferite; spesso essi appartengono a religioni diverse o addirittura sono senza religione; io devo curarli lo stesso. Quando io dico che dobbiamo essere in contatto con Dio e quindi pregare, non dico che si debba necessariamente predicare, ma dico che l'apostolato deve essere preparato con la preghiera, deve essere rivisto e ringraziato, alla fine, con la preghiera. Noi religiosi siamo abituati ad avere al mattino le lodi, la messa e la meditazione. Questi momenti sono messi lì, non perché non c'erano altri posti dove metterli o perché il mattino è il momento più comodo così ce la sbrighiamo in fretta, ma perché il mattino è il momento principale della giornata, è il tempo in cui io preparo tutta l’attività del giorno al cospetto del Signore. Mentre prego, io devo pensare a cosa farò, a chi incontrerò, a cosa testimonierò a quelle persone, e come potrò testimoniarlo da Cristiana e da religiosa, anche se loro non sono cristiani. Similmente, alla sera siamo stati abituati a fare l’esame di coscienza. Questo è il momento per rivedere come è andata la nostra giornata e il nostro apostolato. Chiaramente non può durare 30 secondi.

Allora il mio modo di agire sarà basato sui comandamenti del Signore, cioè sul comandamento dell'Amore, e io mostrerò Amore anche senza aprire bocca. Il mio modo di agire sarà impostato sull'Amore, le mie scelte avranno come criterio finale e unico l'Amore.

Per far nostro lo stile di Gesù e imparare a vivere come ha vissuto Lui, dobbiamo imparare a leggere la Parola di Dio. Le letture che io faccio durante la messa mi fanno capire lo stile di Gesù, come Lui si è avvicinato agli ammalati, ai poveri, ai peccatori e come li ha trattati. Durante il mio apostolato io incontrerò persone che hanno bisogno di me, ma incontrerò anche persone che magari vogliono approfittarsi di me; incontrerò persone che mi ostacolano perché a loro non piace il mio modo di fare apostolato: come le tratterò? Come risponderò a queste provocazioni?

Don Orione dice che l’apostolato lo facciamo anche a nome della Chiesa, per la Chiesa. Le parole che Don Orione scrisse quando stese le prime costituzioni della nostra Congregazione sono chiare: Scopo precipuo della Piccola Opera è attirare i poveri e i piccoli nelle braccia della Chiesa e di Pietro. La Chiesa è l'Incarnazione della presenza di Cristo, oggi, nel mondo, per cui il modo autentico di interpretare le Scritture, lo abbiamo attraverso il Magistero della Chiesa. Quali sono gli orientamenti che la Chiesa ci dà riguardo all’apostolato? Cosa ci dice il Papa riguardo alle opere da fare e al come farle? Cosa chiede il Papa oggi ai religiosi? Come i religiosi si devono presentare al mondo e dove devono andare a fare il loro lavoro? Ora capite meglio cosa significhi dire che lavoriamo a nome della Chiesa.

Poi l'apostolato lo facciamo a nome della Congregazione. C'è un senso di appartenenza; siamo una famiglia e vogliamo far vedere che è la famiglia che agisce. Dicendo questo rimane ben poco spazio per il protagonismo. Il protagonista mette in mostra se stessi e impedisce alla gente di vedere la Congregazione, la Chiesa e anche Dio.

Ritorniamo a Gesù per vedere come Lui svolgeva il suo apostolato.

All'inizio si presenta a Nazareth e dice chiaramente qual è la sua missione. La gente non comprende e non accoglie la sua presentazione, loro vorrebbero una persona diversa che li rendesse orgogliosi e portasse gloria al loro villaggio. Gesù, invece, si presenta come colui che deve lavorare per i poveri e per gli infermi. Lo cacciano via dalla loro città. Lui continua ad andare in giro a predicare; gli altri villaggi sembrano accogliere volentieri quello che dice, e diventa famoso. Alla sera tardi si ritira a pregare. Quando al mattino gli apostoli lo trovano, gli dicono: tutta la gente ti cerca; Lui risponde: Alziamoci e partiamo, perché devo andare anche negli altri villaggi.

Già solo in questa breve presentazione vediamo molti aspetti che ci interessano.

  1. La verità del messaggio, sta nella coerenza. Egli non ricerca il successo, ma la fedeltà.
  2. Non si attacca a nessuno, soprattutto non ricerca né il successo né la gloria.
  3. È disposto a lasciare tutto per partire e continuare il suo lavoro; non rimane bloccato in un luogo o su un aspetto che magari gli danno più soddisfazione. 
  4. Va alla ricerca specialmente degli ultimi.
  5. Molto spesso l'apostolato non è programmato, almeno quello della Carità, ma è una risposta a un'esigenza, infatti Gesù non va in cerca dei malati o degli indemoniati, li incontra e si sente interpellato a dare una risposta a quello che ha davanti a sé. È vero che al giorno d'oggi bisogna programmare tutto per essere efficienti nel nostro lavoro, ma come ci poniamo di fronte alle cose inaspettate che non rientrano nei nostri programmi? Don Terzi, parlando della nostra spiritualità, diceva che essa è quella del pronto soccorso, non della cura istituzionalizzata. In poche parole: è vero che abbiamo delle opere grandi e dobbiamo gestirle, ma la nostra specialità non dovrebbe essere quella di fissarsi in un'opera particolare. Noi non siamo una congregazione di piccoli cottolengo né una congregazione di scuole, né una congregazione di missioni, né una congregazione per i giovani. Noi abbracciamo tutte queste cose perché il criterio della nostra scelta non è il tipo di lavoro da fare, ma l'emergenza che si presenta a noi e che la Provvidenza ci invia. La nostra specialità non sta nel cosa fare, ma nel come farlo e nel perché farlo.

Allora dobbiamo imparare soprattutto cos'è la carità e come viverla. Solo poi potremo applicarla e il Signore ci manderà mille occasioni per fare questa carità. Non sto dicendo che dobbiamo chiudere le opere che abbiamo, perché le nostre opere, se gestite in modo giusto, ci offriranno sempre l'occasione e anche la necessità di lavorare. Dobbiamo essere esperti nel fare la carità, cioè nell'agire con amore, nell'essere condotti dall’amore e nel far sì che le nostre scelte siano basate sull'amore, piuttosto che sull'efficienza dell'opera stessa. 

Ogni opera che svolgiamo, sia istituzionale o improvvisata ha sempre delle ripercussioni a vari livelli, o meglio agisce a vari livelli. Vediamo quali sono le varie dimensioni dell'apostolato.

1- Dimensione teologica: Dio ha inviato suo Figlio per riconciliare il mondo con se stesso. Vuole che tutti noi partecipiamo alla sua vita. Quindi ogni apostolato ha come obiettivo la salvezza "totale" della persona e della società. Ora, il benessere materiale della persona (intellettuale, medico, sociale, ecc.) è l'aspetto esteriore, l'unico visibile. È un aspetto molto importante, altrimenti il nostro apostolato perde credibilità, ma non è l'unico aspetto e nemmeno il più importante. " Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6:33).

2- Dimensione spirituale: Cristo è venuto per redimerci. Lui è il solo ed universale Redentore, quindi ogni apostolato deve essere centrato su di Lui. "E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio." (1Cor 1: 22-24). Non possiamo fare un apostolato che non abbia Cristo in esso. Non possiamo pianificare un apostolato solo sulla base delle nostre capacità, delle nostre strutture, ecc. Non possiamo avere un apostolato che non passi attraverso la nostra Eucaristia quotidiana, la nostra meditazione quotidiana, ecc. Non possiamo avere un apostolato che sia perfettamente e strettamente legato alla struttura, le regole, ecc. perché spesso lo Spirito infrange i nostri standard. Qualsiasi struttura, per sua natura, effettua una selezione e tende ad eliminare coloro che non vi si adattano, ma, il più delle volte, sono loro che hanno davvero bisogno.

3- Dimensione sociale: Dio vuole salvare tutti, quindi l'obiettivo del nostro apostolato è “tutti”, specialmente i più bisognosi, compresi i peccatori, quelli che rifiutano Dio, quelli che rifiutano la nostra missione. “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento”. (Lc 15: 4-5). Questo non significa che dobbiamo convertirli o costringerli a diventare cristiani. Significa, invece, che la "buona notizia" di Salvezza deve raggiungerli. Il più delle volte ciò avverrà attraverso il nostro atteggiamento, piuttosto che attraverso le parole. Il nostro apostolato per loro sarà la nostra accettazione, comprensione e perdono.

4- Dimensione metodologica: l'apostolato è un'opera di Cristo, quindi deve avere lo stile di Cristo (Fil 2: 5-8). Ne abbiamo parlato sopra: abbiamo bisogno di un confronto quotidiano con il Vangelo, ed è per questo che ho detto che il nostro apostolato deve passare attraverso la nostra meditazione. Dovremmo anche chiederci: sono sicuro che ciò che faccio è la volontà di Dio, che lo faccio come lo vuole Lui?

5- Dimensione ecclesiale: Gesù non ha fatto tutto da solo, ma ha lavorato come gruppo e affidato loro, che alla fine formeranno la prima Chiesa, la missione di continuare il suo apostolato. Di conseguenza l'apostolato non può apparire come un'opera di una persona (anche quando c'è solo una persona che vi lavora) ma deve essere un lavoro di comunità e di Chiesa. Lavoriamo sempre nel nome della Chiesa, all'interno del piano della Chiesa e in comunione con le altre organizzazioni e congregazioni che lavorano nella Chiesa. Pensate per un momento alla competizione spesso esistente tra diverse istituzioni, scuole, i pettegolezzi che diffondiamo tra le persone su altre congregazioni o persino sui vescovi o sulla Chiesa. Anche se ciò che diciamo è la verità, tali pettegolezzi creano divisione e la divisione è sempre opera del diavolo.

6- Dimensione emotiva: questa dimensione è più importante del previsto perché l'apostolato è fondamentalmente una relazione e in ogni relazione le emozioni sono importanti. Quando neghiamo le emozioni, cadiamo nel formalismo, nella fredda amministrazione degli affari; dall'altro lato quando sopravvalutiamo le emozioni perdiamo di vista le priorità e il vero scopo dell'apostolato. Questo di solito finisce in un disastro. Le emozioni devono essere considerate da entrambe le parti: le persone che serviamo e anche noi stessi. La persona che stiamo aiutando deve essere redenta nella totalità della sua umanità, quindi dovremmo sempre essere consapevoli di non ferirla, di non umiliarla, di non sfruttarla; essa dovrebbe sentirsi capita, accettata, amata, anche quando non possiamo aiutarla materialmente. Se il nostro compito è distribuire l'amore di Dio, come possiamo farlo in modo rude, senza amore? Anche le nostre emozioni sono importanti. È normale e bello provare soddisfazione per quello che facciamo, ma la ricerca della soddisfazione non dovrebbe impedirci di fare lavori che non sono gratificanti, pericolosi, difficili, che hanno un alto rischio di fallire, che sono meno prestigiosi, che offrono meno visibilità o apprezzamento. Dobbiamo provare empatia e compassione per le persone, ma allo stesso tempo, dovremmo evitare attaccamenti che di solito ci portano a fare preferenze, creare divisioni, gelosie, ecc. Se facciamo apostolato per noi stessi, per la nostra soddisfazione e ci preoccupiamo solo di piacere alla gente per attirarli a noi invece di portarli a Cristo, allora siamo come i cattivi operai della vigna della parabola: Dio alla fine ci toglierà la vigna e la donerà a qualcun altro. (Mt 21: 33-45) Dobbiamo invece lasciarli andare anche se rischiamo di perderli. Forse possiamo leggere in questo modo la crisi delle vocazioni attuali nella vita religiosa e l'aumento dei movimenti laicali.

Nell'apostolato c'è sempre la tentazione di cercare successo, realizzazione e talvolta l'apostolato diventa un modo per sfuggire alla vita comunitaria che non ci soddisfa, è noioso o esigente.

Tornando al punto visto sopra sull'avere lo stile di Cristo, dobbiamo stare attenti alla tentazione dell'efficienza che è quella di attribuire valore al nostro lavoro in base ai risultati che otteniamo. I miracoli di Gesù non hanno convertito nessuno. Molte persone lo seguirono ma poi se ne andarono. I due più grandi miracoli di Gesù furono seguiti dai più grandi fallimenti apostolici: dopo la moltiplicazione dei pani, le persone andarono via per sempre (Gv 6). Molti, sebbene abbiano visto i miracoli, non erano disposti ad ascoltare le parole di Gesù e soprattutto non erano disposti ad accettare le sue correzioni. Dopo la risurrezione di Lazzaro, arriva la decisione finale di uccidere Gesù (Gv 12).

Molti santi hanno fatto più miracoli di Gesù, e alcuni di voi potrebbero aver aiutato o addirittura salvato più persone di Don Orione o Gesù. Molti medici o chirurghi, con la tecnologia moderna, salvano più vite di Gesù. Molte delle nostre opere distribuiscono più pane di quanto Gesù abbia fatto con la moltiplicazione. Gesù è stato la persona meno efficiente. Come Messia, avrebbe dovuto portare la pace, sconfiggere la povertà, ristabilire il regno di Israele, ecc.; non ha ottenuto nessuno di questi risultati.

 

Alcune domande per riflettere

·       Il mio apostolato ha veramente Dio al centro? 

·       Mi è mai capitato di dover rinunciare a qualche mio progetto o idea a cui ero particolarmente affezionato? Come ho reagito? 

·       Sono legato al protagonismo personale o di Congregazione o so aprirmi all’apostolato della Chiesa intera? 

·       So collaborare con i miei confratelli, condividere con loro le scelte da fare? 

·       Quanta collaborazione c’è con le strutture della Diocesi o di altre congregazioni?

 

TESTI ORIONINI

 Non saper vedere e amare nel mondo che le anime dei nostri fratelli.

Anime di piccoli, anime di poveri, anime di peccatori, anime di giusti, anime di traviati, anime di penitenti, anime di ribelli alla volontà di Dio, anime ribelli alla Santa Chiesa di Cristo, anime di figli degeneri, anime di sacerdoti sciagurati e perfidi, anime sottomesse al dolore, anime bianche come colombe, anime semplici pure angeliche di vergini, anime cadute nella tenebra del senso e nella bassa bestialità della carne, anime orgogliose del male, anime avide di potenza e di oro, anime piene di sé, che solo vedono sé, anime smarrite che cercano una via, anime dolenti che cercano un rifugio o una parola di pietà, anime urlanti nella disperazione della condanna, o anime inebriate dalle ebbrezze della verità vissuta: tutte sono amate da Cristo, per tutte Cristo è morto, tutte Cristo vuole salve tra le Sue braccia e sul Suo Cuore trafitto.

La nostra vita e tutta la nostra Congregazione deve essere un cantico insieme e un olocausto di fraternità universale in Cristo.

Vedere e sentire Cristo nell'uomo.  Dobbiamo avere in noi la musica profondissima della carità.  Per noi il punto centrale dell'universo è la Chiesa di Cristo e il fulcro del dramma cristiano, l'anima.

Io non sento che una infinita, divina sinfonia di spiriti, palpitanti attorno alla Croce, e la Croce stilla per noi goccia a goccia, attraverso i secoli, il sangue divino sparso per ciascun'anima umana.

Dalla Croce Cristo grida «Sitio». Terribile grido di arsura, che non è della carne, ma è grido di sete di anime, ed è per questa sete delle anime nostre che Cristo muore.

Io non vedo che un cielo; un cielo veramente divino, perché è il cielo della salvezza e della pace vera: io non vedo che un regno di Dio, il regno della carità e del perdono dove tutta la moltitudine delle genti è eredità di Cristo e regno di Cristo.

La perfetta letizia non può essere che nella perfetta dedizione di sé a Dio e agli uomini, a tutti gli uomini, ai più miseri come ai più fisicamente, moralmente deformi, ai più lontani, ai più colpevoli, ai più avversi.

Ponimi, o Signore, sulla bocca dell'inferno, perché io, per la misericordia tua, la chiuda.

Che il mio segreto martirio per la salvezza delle anime, di tutte le anime, sia il mio paradiso e la suprema mia beatitudine.

Amore delle anime, anime, anime! Scriverò la mia vita con le lacrime e col sangue.

L'ingiustizia degli uomini non ci affievolisca la fiducia piena nella bontà di Dio.

Sono alimentato e condotto dal soffio di speranze immortali e rinnovatrici.

La nostra carità è un dolcissimo e folle amore di Dio e degli uomini che non è della terra.

La carità di Cristo è di tanta dolcezza e i ineffabile che il cuore non può pensare, né dire, né l'occhio vedere, né l'orecchio udire.

Parole sempre affocate. Soffrire, tacere, pregare, amare, crocifìggersi e adorare.

Lume e pace di cuore. Salirò il mio Calvario come agnello mansueto.

Apostolato e martirio; martirio e apostolato.

Le nostre anime e le nostre parole devono essere bianche, caste, quasi infantili e devono portare a tutti un soffio di fede, di bontà, di conforto che elevi verso il Cielo.

Teniamo fermo l'occhio ed il cuore nella divina bontà.

Edificare Cristo!  Edificare sempre!

«Petra autem est Christus!»

(dagli appunti del 25 febbraio 1939, cfr. I.C., p. 328ff)

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L'anima, inondata dalla bontà del Signore e dalla sua grazia, arroventata dal fuoco della carità, librata al di sopra, in alto, e traboccante di amore, sperimenta una gioia che è gaudio spirituale, e si fa canto e spasimo, sete anelante d'infinito, brama di tutto il vero, di tutto il bene, di tutto il bello: attrazione, ardore sempre crescente di Dio: amando nell'Uno tutti: nel Centro i raggi: nel Sole dei soli ogni luce.

E in questa luce inebriante mi spoglio dell'uomo vecchio e amo: questo amore mi fa uomo nuovo e amando canto, canto! Amo ineffabilmente e canto lo stesso Amore infinito e la santa Madonna del Divino Amore e mi slancio in una altezza senza misura, donde, con un grido immenso di vittoria e di gloria a Dio e alla Vergine Santa, amo e canto.

Lo splendore e l'ardore divino non mi incenerisce, ma mi tempra, mi purifica e sublima e mi dilata il cuore, così che vorrei stringere nelle mie piccole braccia umane tutte le creature per portarle a Dio.

E vorrei farmi cibo spirituale per i miei fratelli che hanno fame e sete di verità e di Dio; e vorrei vestire di Dio gli ignudi, dare la luce di Dio ai ciechi e ai bramosi di maggiore luce, aprire i cuori alle innumerevoli miserie umane e farmi servo dei servi distribuendo la mia vita ai più indigenti e derelitti; vorrei diventare lo stolto di Cristo e vivere e morire nella stoltezza della carità per i miei fratelli!

Amare sempre e dare la vita cantando l'Amore! Spogliarmi di tutto! Seminare la carità lungo ogni sentiero; seminare Dio in tutti i modi, in tutti i solchi; inabissarmi sempre infinitamente e volare sempre più alto infinitamente, cantando Gesù e la santa Madonna e non fermarmi mai.

Fare che i solchi diventino luminosi di Dio; diventare un uomo buono tra i miei fratelli; abbassare, stendere sempre le mani e il cuore e raccogliere pericolanti debolezze e miserie e porle sull'altare, perché in Dio diventino le forze di Dio e grandezza di Dio. Gesù è morto con le braccia aperte.

Carità! Voglio cantare la Carità! Avere una grande pietà per tutti! Signore, scrivete sulla mia fronte e sul mio cuore il Tau sacro della carità. Apritemi gli occhi e il cuore sulle miserie dei miei fratelli: che la mia vita fiammeggi, come in altissimo rogo, davanti a Voi, o Gesù! Vita ardente! Fatemi un braciere, sfavillante di luce. Vivere di luce. Inginocchiato con tutta la mia miseria, io mi stendo, gemendo, dinanzi alla tua misericordia, o Signore, che sei morto per noi. Signore, non son degno, ma ho bisogno della tua gioia, una gioia casta, una gioia che rapisce, che ci trasporta nella pace, al di sopra di noi stessi e di tutte le cose: immensa gioia! L'anima ha deciso di vincere tutto per ascendere, unirsi a Dio: è la gioia dell'umiltà.

La carità ha fame d'azione: è un'attività che sa di eterno e di divino. La carità non può essere oziosa. Noi moriamo in Dio e viviamo in Dio.

Mi sento come un carbone acceso su un grande altare: vivere in Lui e Lui in noi. Ecco il sublime della vita, il sublime della morte, il sublime dell'amore, il sublime della gioia, il sublime dell'eternità!

(Da uno scritto del 31.8.1931; Don Orione nella luce di Maria, 2164-2165 )

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 “Questi tempi, scrisse già l'Em. Card. Parrocchi, comprendono della carità soltanto il mezzo e non il fine ed il principio. Dite agli uomini di questi tempi: bisogna salvare le anime che si perdono, è necessario istruire coloro che ignorano i princìpi della religione, è d'uopo fare elemosina per amore di Dio... e gli uomini non capiscono”. Ma oggetto primo della carità sono le anime, e le anime non possono in alcun modo vivere in se stesse questa carità se non si tengono unite alla Chiesa e al Papa. Mai come ai tempi nostri il popolo fu così staccato dalla Chiesa e dal Papa, ed ecco quanto è provvidenziale che questo amore si è risvegliato con tutti i mezzi possibili perché ritorni a vivere nelle anime l'amore di Gesù Cristo.

L'uomo è quale è l'idea che pensa ed in se stesso matura, e le sue azioni sono sempre conformi all'idea stessa da cui è guidato. E perciò quanto maggiormente sarà sentito l'amore al Papa e alla Chiesa, in coloro che per ragioni di ministero sono maestri dei popoli, di altrettanto sarà più ardente la fiamma che li agita nel comunicare alle anime questo sentimento, senza del quale nessuna partecipazione di vita soprannaturale può avvenire; in tal modo l'esercizio della carità raggiungerà perfettamente il suo scopo corrispondente ai bisogni dei tempi nostri, che è precisamente quello: di ricondurre la società a Dio riunendola al Papa e alla Chiesa.

E non si direbbe che nei disegni di Dio questa riunione trova una prossima preparazione nello stesso fenomeno sociale dei nostri giorni che tende all'universale affratellamento? Noi vediamo sorgere dappertutto opere di beneficenza ed istituzioni di soccorsi di ogni genere nonostante l'odio di classe che sembra voler sconvolgere ogni ordinamento politico, sociale e familiare; ma tuttavia si sente più forte che mai il bisogno che ogni odio si spenga e l'amore ritorni a rasserenare i cuori. Ebbene, quando il Papa sarà riconosciuto con sentimento di fede quale padre universale dei popoli, e la Chiesa sarà nuovamente la Maestra illuminatrice delle menti con la sua dottrina infallibile e ritornerà a far ripulsare nei cuori la vita soprannaturale che Lei emana, la pace serena e sicura regnerà negli individui e nella società.

Quella carità pertanto che viene esercitata nella società nostra prendendo le mosse dall'amore al Papa e alla Chiesa, e mirando al raggiungimento di questo amore in tutti, è precisamente quella che meglio risponde al bisogno dei tempi. E tale è lo spirito da cui è informata l'Opera della Divina Provvidenza, tale è la sua fisionomia, il suo carattere tipico: Instaurare omnia in Christo!

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Qual è il grande segreto per riuscire nelle opere di apostolato, per ottenere dei risultati soddisfacenti nel nostro lavoro?  Ogni arte ha il suo segreto.  Voi, che andate a scuola e avete qualche nozione sull'arte, voi sapete che ogni scuola si differenzia da un'altra scuola.  La scuola di Raffaello aveva un dato modo di foggiare le figure, aveva il suo segreto; e così quella di Giotto, di Michelangelo, di Leonardo da Vinci.  E così direte anche dei condottieri; ciascuno aveva ed ha un suo segreto per riuscire, per vincere, per raggiungere la cima, per battere il record...

Ebbene, qual è il segreto per riuscire nell'apostolato dell'educazione cristiana, nel campo della carità cristiana?  Ve lo insegnerò in questa sera il segreto.  Questo segreto è: l'unione con Dio, vivere con Dio, in Dio, uniti a Dio, avere sempre lo spirito elevato a Dio.  In altre parole, è l'orazione intensa, secondo la definizione di san Tommaso: essa è il grande segreto!  San Tommaso definisce l'orazione «elevatio mentis in Deum»: l'orazione è elevazione della nostra mente a Dio.

L'orazione è il grande mezzo per riuscire in tutto quel che spetta alla nostra vita religiosa; l'orazione è la grande forza che tutto vince, il grande mezzo per riuscire quoad nos et quoad alios, per perfezionare noi stessi e per diffondere il bene nelle anime altrui.

 

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