Esercizi 12, fino alla fine

 

Fino alla fine. (Avere gli occhi fissi in alto).

Dopo 5 giorni di colloqui sulla nostra vita, sui diversi aspetti della nostra spiritualità, dell'apostolato ecc. cos'altro si potrebbe aggiungere?

Spero che in questi giorni non vi abbia spaventato né vi siate annoiate o vi abbia scoraggiate dall'essere  buone serve.

Mi chiedo solo e invito ciascuno di voi a chiedersi: domani, quando torno alla vita normale, cosa devo fare? Continuerò semplicemente a fare tutto come prima? Durante questo ritiro è successo qualcosa in me, a livello di emozioni, ho sentito, almeno in qualche occasione, il desiderio di fare qualcosa in modo diverso, con uno scopo diverso?

Spero che abbiate capito che nella mia analisi non ho mai dubitato della qualità dei vostri lavori, né ho messo in dubbio il fatto che lavorate sodo per servire i poveri. Il mio obiettivo era di aiutarvi a vedere le cose da un punto di vista diverso, una prospettiva diversa, quella di Dio, quella di Don Orione. È un po' come dire che siamo artisti che intagliano una bellissima statua. Se lavoriamo solo rimanendo seduti di fronte, saremo in grado di prenderci cura di tutti i dettagli che vediamo e fare in modo che, da quella posizione, tutto appaia bello e perfetto. Ma rimanere solo di fronte alla statua non ci permette di vedere bene i dettagli dei lati della statua e ancor meno quelli della parte posteriore di essa. Per gestire quei dettagli dobbiamo spostarci dalla nostra posizione e girare intorno alla nostra opera; solo così potremo perfezionare tutte le parti e dire che ora il nostro lavoro è un capolavoro.

Di solito, iniziamo un'attività con lo scopo di essere utili agli altri. Questo è un ottimo punto di partenza, ma non possiamo fermarci qui, dobbiamo progredire nelle nostre intenzioni per consentire al nostro lavoro di passare dall’essere un’attività meramente sociale o filantropica a attività spirituale/apostolica. Secondo Santa Teresa d'Avila, il progresso viene solo dall'abbraccio della Croce. Dobbiamo lavorare su noi stessi e le nostre intenzioni per ottenere la libertà spirituale in qualunque cosa facciamo, in modo che esso non sia solo il nostro lavoro per Dio e per i poveri, ma diventi il lavoro di Dio per i poveri (e anche per noi). Ciò ha bisogno di una purificazione della nostra mente di cui ho parlato nell’ultimo incontro. Qualsiasi progresso nella nostra vita spirituale, così come in quella apostolica, richiede, da parte nostra, la volontà di abbracciare la croce di Gesù. Don Orione l'ha capito bene fin dall'inizio quando ha esclamato che la nostra piccola Congregazione è nata un Venerdì Santo e crescerà solo se rimarrà ai piedi della croce. Abbiamo paura della croce? Cerco di essere concreto in ciò che sto dicendo: siamo disposti ad accettare sacrifici, il duro lavoro, rinunciare al conforto, al tempo libero, agli hobby, quando è richiesto, per percorrere il cammino del Calvario dietro a Gesù?

Il primo esercizio da fare è imparare a concentrarsi sulle priorità, analizzare, in tutte le attività, non solo il contenuto di ciò che facciamo o lo scopo del lavoro, ma la nostra mentalità. Il vecchio filosofo Socrate usava come motto per la sua vita: "Conosci te stesso". La libertà interiore non è qualcosa di garantito, specialmente per noi che vogliamo essere servi di Dio, ma senza di essa è molto difficile lavorare in un modo che sia secondo la mente di Dio e dove sia Lui a fare le scelte.

Nel guardare alle cose e nel fare progetti, c'è molta differenza tra la prospettiva da uomo d’affari, la prospettiva da amministratore, la prospettiva emotiva, la prospettiva della Croce.

·       In una prospettiva da uomo d’affari, le priorità sono stabilite in base al guadagno finale, la struttura è più importante delle persone coinvolte.

·       Nella prospettiva da amministratore, le priorità sono stabilite da criteri di efficienza, ordine e quindi le regole e i regolamenti sono più importanti delle persone coinvolte.

·       Nella prospettiva emotiva, le priorità sono stabilite dal guadagno emotivo che ottengo: ammirazione, amicizia, onore, senso di realizzazione, felicità, conforto e questi sono più importanti delle persone e del loro benessere.

·       Nella prospettiva della Croce, le priorità sono stabilite dalla visione che Gesù ha avuto sulla croce. In questa prospettiva la priorità è la salvezza integrale di tutte le persone coinvolte nel mio lavoro. Quando parlo di salvezza integrale intendo non solo il benessere fisico ma anche il benessere emotivo, spirituale e morale. L'obiettivo importante è che qualsiasi persona che viene alla mia porta riceva non solo la cura o l'educazione o l'aiuto materiale, ma anche che si senta accettata, compresa, apprezzata; senta che Dio la sta amando.

Papa Francesco, nel messaggio inviato per la giornata mondiale del Malato 2020, ha detto: “Perché Gesù Cristo nutre questi sentimenti? Perché Egli stesso si è fatto debole, sperimentando l’umana sofferenza e ricevendo a sua volta ristoro dal Padre. Infatti, solo chi fa, in prima persona, questa esperienza saprà essere di conforto per l’altro.”.

Come abbiamo detto ieri sera, ci sono molti tipi di sofferenza, ma tutti possono diventare una palestra un luogo dove allenarsi e imparare. Accade spesso che in una provincia vi sia una casa povera e difficile e una ricca e confortevole, quale scegli? Una scuola, un cottolengo povero o ricco, uno con grandi numeri e grande onore e un altro piccolo e mal organizzato, quale scegli?

Spesso proviamo paura della fatica, paura del fallimento, paura di essere giudicati: quante volte tralasciamo iniziative, possibili incarichi o lavori, solo per paura! Essa è un ostacolo contro la necessità di donarsi agli altri, di affidarsi alla Provvidenza. Spesso tutto ciò non è dovuto a una vera mancanza di fede, ma piuttosto al risultato di problemi interiori irrisolti, ferite non completamente guarite, esperienze negative non rielaborate alla luce della croce di Cristo. La nostra vera domanda dovrebbe essere: quale realtà ha più bisogno di aiuto? A quale Gesù preferirebbe andare? Ma naturalmente accettare una sfida del genere significa affrontare la povertà, la mancanza di risorse, meno tempo libero per i miei hobby, lasciarmi alle spalle gli amici che ho qui, per andare in un posto dove non conosco nessuno. Probabilmente quella zona è pericolosa, più inquinata, più a rischio, ecc. Questa è la prospettiva della Croce. Avere la prospettiva della Croce richiede che abbiamo il coraggio di dire: "Padre nelle tue mani, raccomando il mio Spirito". Crediamo che la nostra vita sia nelle mani di Dio?

Pensiamo per un momento all'esperienza dei dodici apostoli. Diverse volte Gesù ha raccomandato loro di essere umili, di servire, ecc. e ogni volta essi hanno dimostrato con il loro comportamento di non capire la lezione di Gesù. Quando sono arrivati a Gerusalemme, la Domenica delle Palme, sono stati accolti dai bambini con canzoni; l'illusione del potere e della gloria si sono risvegliate nei loro cuori. Ma improvvisamente Gesù viene arrestato e condannato a morte. Forse si aspettavano che da un momento all’altro avrebbe fatto un grande miracolo per sfuggire all'arresto, o evitare di salire il Calvario, o scendere dalla Croce, come accade sempre nei film con i protagonisti. Anche i soldati gli stavano chiedendo di farlo, “Salvi se stesso se ne è capace”. Ma niente di tutto questo accade. Gesù muore e viene messo in una tomba. Questo è il momento in cui il loro amore per Lui e la loro fede in Lui vengono messi alla prova. Nonostante la paura originale che li ha fatti scappare dal giardino del Getsemani, rimangono uniti, persi nella loro mente ma uniti nel loro spirito, in attesa di vedere cosa succederà. La loro vera conversione, quella che li rende pronti per il grande compito di andare al mondo come apostoli, deve passare attraverso l'esperienza della perdita di Gesù, l'esperienza della sconfitta, la paura di essere arrestati e messi a morte come Lui. Fino a quando camminavano all'ombra dell’operatore di miracoli, del predicatore di successo, si sentivano felici ed entusiasti ma non erano ancora veri apostoli.

Noi siamo esperti in ciò che facciamo, i nostri lavori sono davvero buoni, spesso in tutta la regione o stato non ci sono lavori come i nostri, ma qui è dove subentra il pericolo di andare alla deriva e cadere in una prospettiva aziendale.

Avete mai sperimentato una forte battuta d'arresto nella vita, un fallimento, una perdita? Come avete reagito? Quanto questa esperienza ha influenzato la vostra vita, la vostra vocazione? Cosa avete imparato? In quel momento siete riusciti a vedere Dio al lavoro?

San Paolo ci dice: (Rm 8,31-39):

“Che diremo dunque di queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? …

Chi ci separerà dall’amore di Cristo?... in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati.”

Qui abbiamo anche una bella frase di papa Francesco (Gaudete et esultate, 129-130):

Nello stesso tempo, la santità è parresia: è audacia, è slancio evangelizzatore che lascia un segno in questo mondo. Perché ciò sia possibile, Gesù stesso ci viene incontro e ci ripete con serenità e fermezza: «Non abbiate paura» (Mc 6,50). «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Queste parole ci permettono di camminare e servire con quell’atteggiamento pieno di coraggio che lo Spirito Santo suscitava negli Apostoli spingendoli ad annunciare Gesù Cristo. Audacia, entusiasmo, parlare con libertà, fervore apostolico, tutto questo è compreso nel vocabolo parresia, parola con cui la Bibbia esprime anche la libertà di un’esistenza che è aperta, perché si trova disponibile per Dio e per i fratelli (cfr At 4,29; 9,28; 28,31; 2 Cor 3,12; Ef 3,12; Eb 3,6; 10,19)”.

Quindi aggiunge:

"Il beato Paolo VI menzionava tra gli ostacoli dell’evangelizzazione proprio la carenza di parresia: «la mancanza di fervore, tanto più grave perché nasce dal di dentro». Quante volte ci sentiamo strattonati per fermarci sulla comoda riva! Ma il Signore ci chiama a navigare al largo e a gettare le reti in acque più profonde (cfr Lc 5,4). Ci invita a spendere la nostra vita al suo servizio. Aggrappati a Lui abbiamo il coraggio di mettere tutti i nostri carismi al servizio degli altri. Potessimo sentirci spinti dal suo amore (cfr 2 Cor 5,14) e dire con san Paolo: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16).".

Permettetemi di raccontare due episodi della vita di Don Orione. Sappiamo quanto coraggioso e forte lui sia stato per tutta la vita. Ma non tutto è stato così facile e piacevole come sembra dall'esterno. I primi anni della congregazione furono firmati da una rapida crescita ma anche dal supporto alternato del vescovo Bandi di Tortona, dall’umore spesso altalenante e preoccupato. Un giorno lo incoraggiava a fare e il giorno seguente gli chiedeva di fermarsi. In verità la Congregazione era fragile nella sua struttura per la mancanza di persone e di fondi. In aggiunta alle tante preoccupazioni, nell'agosto del 1908 perse Don Gaspare Goggi, nel quale aveva riposto tanta speranza, e, un mese dopo, perse anche sua madre. Come ha reagito Don Orione alle perdite? La Provvidenza gli ha inviato una nuova sfida alla quale ha risposto con la sua solita generosità, infatti a dicembre c'è stato il grande terremoto che ha devastato le città di Reggio Calabria e Messina. Don Orione lasciò la congregazione traballante nelle mani di don Sterpi e andò in soccorso dei bisognosi. Rimase lì per circa tre anni.

Una seconda sfida lo colpì alcuni anni dopo. Mentre era a Messina durante il terremoto, Don Orione fu falsamente accusato di aver frequentato prostitute e di aver contratto da loro la sifilide. Sebbene l'accusa sia stata presto dimostrata falsa, è stata in seguito diffusa, come una voce contro di lui da uno dei sacerdoti della diocesi, geloso per la fama che don Orione stava acquisendo per il suo lavoro e temendo il fatto che stava diventando troppo potente. Come ha reagito Don Orione? All'inizio, ha cercato di fingere che non stesse succedendo nulla, poi ha chiesto, inutilmente, un intervento del suo vescovo, infine, quando la questione stava sfuggendo al controllo, ha deciso di cogliere l'occasione del Congresso Eucaristico di Buenos Aires e con la scusa di andare a visitare le sue case lì è partito per l'America Latina. Ascoltiamo le parole stesse di Don Orione in tre piccoli brani.

Il primo è tratto da una lettera ad un amico, il senatore Boggiano Pico.

Don Sterpi mi ha scritto tutto quello che lei fa per i figli della Divina Provvidenza, questo le confesso che veramente mi commuove, ed è uno de’ miei più grandi conforti in questo mio esilio, metà voluto e più di metà forzato”.

Prima di lasciare Tortona, Don Orione era andato a visitare il vescovo, mons. Grassi, che era piuttosto malato, ma poiché non riusciva a vederlo, durante il viaggio, gli scrisse questa lettera, di cui mandò una copia anche a Don Sterpi.

Non tema che io prenda troppa preponderanza in Tortona: Ella sa, o mio buon Padre, che mai ci siamo intromessi nel governo della Diocesi, né direttamente né indirettamente; solo quando V. Eccellenza mi parlava di qualche Suo dolore, ho cercato di darLe un qualche conforto. Eccellenza, con quell’amore di figlio con cui La ho sempre amata e servita, La supplico umilmente in Gesù Cristo e nella Santa Madonna di non voler morire così. Ella sa che si è tentato coprirmi di fango, e di qual fango! È da quattro anni che io sto aspettando una parola dal mio Vescovo di difesa: la calunnia ha così dilagato nella Diocesi e fuori, che fin i miei Chierici la sanno! Come ne hanno parlato Sacerdoti e laici. Ho sempre taciuto, ho sempre sofferto e pregato, ma non sono sasso né pietra [:] si tratta del buon nome, e di ciò che un Sacerdote deve avere più caro: il suo onore. Ci siamo rivolti alla nostra Chiesa e al nostro Vescovo... Non ho mai chiesto processi: non voglio il male di nessuno, ma il bene di tutti: perdono a tutti, vorrei dare la vita per tutti. In oratione, in silentio et in spe ho atteso pazientemente e con piena fiducia di figlio una parola del mio Vescovo e Padre, che dicesse: non é vero: dalla Chiesa mia di Tortona, che ho amato sempre e servito come si ama una Madre: la parola non é venuta. O mio buon Padre, non vogliate morire così!.

Purtroppo il vescovo non ha mai avuto la possibilità di leggere la lettera perché è morto prima di riceverla. Non sappiamo se qualcun altro abbia aperto la busta al posto suo, conosciamo il contenuto solo dalla copia che Don Sterpi aveva ricevuto dallo stesso Don Orione.

Dopo due anni di lavoro in Argentina, Don Orione ricevette da Don Sterpi l’informazione che il Vaticano aveva deciso di inviare un Visitatore Apostolico per indagare sullo stato della Congregazione e sul suo funzionamento. Don Orione rispose a Don Sterpi:

Questa Visita è e dobbiamo ritenerla come una grazia straordinaria del Signore, per quanto possa essere stata provocata da ricorsi, che non mi furono, fino ad oggi, comunicati, di persone non bene affette alla Piccola Opera, od ostili a me personalmente. - E si sia aspettato che fossi lontano. - È da tempo che io so di questo turbine, e quando, or son quasi due anni ho lasciato l’Italia, mi sono gettato in mare un po’ come Giona, ed ho sempre sperato che la mia lontananza avrebbe calmata la tempesta, e lasciata in pace la povera barca della Congregazione.

Ho cercato lavoro qui, o cari miei sacerdoti anche per avere un motivo di ritardare il mio ritorno, e giustificare non solo agli occhi della gente, ma anche agli occhi vostri, la mia lontananza, per non farvi patire, tenendovi all’oscuro di certe mie dolorose sofferenze, specialmente - personali.

Speravo, sopra tutto, che, non vedendomi, si sarebbero placati. - Pare che non sia così, e pazienza, o miei figli, prendiamo tutto dalla santa mano di Dio, e avanti in Domino!

Non affliggiamoci, ma amiamo di più il Signore e la santa chiesa.

Benediciamo il Signore, in tutto e per tutto quello che Dio vorrà disporre o permetterà: certo sarà tutto pel nostro bene.

Amiamolo il Signore negli amici e amiamolo nei nemici, piccoli o grandi preghiamo per tutti e per chi ci fa soffrire: adoriamolo il Signore sempre ringraziamolo sempre in silentio et in spe et in charitate magna, ci cavassero anche gli occhi, basta che ci lascino il cuore per amarli. ”.

Come capirete la generosità che don Orione applicò in entrambe le situazioni, rese possibile che la Congregazione nel primo caso si diffondesse bene a Reggio Calabria e Messina, e nel secondo, in Argentina con l'apertura di 15 nuove case.

Durante i tre anni in Argentina, lui lavorò con più impegno che mai. Si concentrava sulla carità lasciando tutte le altre preoccupazioni nelle mani del Signore. Ascoltiamo ciò che ha scritto al visitatore apostolico, Abate Caronti, parlando della sua opera a Saenz Peña

Se sapessi di star qui, le chiederei di andar io al Chaco per morirci, cioè per consumarmi e vivere da vero Missionario, affidato al Signore.

Saenz Pena è città di circa 20 mila abitanti con altri 10 mila sparsi nelle colonie a distanze enormi, ci vogliono ore ed ore di auto. Vi so-no i protestanti di varie sette che lavorano ed hanno sale evangeliche, chiese, biblioteche etc., vi è la sinagoga, perché colà molti sono gli ebrei, - da chiesa cattolica funziona una stanza, e l’altare consiste in tre tavole inchiodate su due cavalletti, - poi vi è una stanzetta per dormire. […].

Ho un desiderio: di amare il Signore e di amare la Santa Chiesa, le anime, i poveri, i fanciulli poveri, gli abbandonati, la classe povera, gli operai, i comunisti: vorrei morire per questi miei fratelli, e vorrei essere dimenticato da tutti, vivere e morire dimenticato da tutti, sotto i piedi di tutti, e solo amare Gesù, la Santa Chiesa e tutti, e perdermi nel Signore: - io, indegnissimo, che ho tanto peccato, che sono stato tanto cattivo col Signore e con la Madonna, e non ho tesoreggiato i doni del Signore! - Mi aiuti, caro padre Visitatore, mi aiuti!! ”

 

Qualche domanda per la riflessione:

+        Come mi sono sentito durante questo corso di esercizi spirituali?

+        Qual è stata la riflessione che mi ha ispirato di più?

+        C’è stata qualche riflessione che mi ha disturbato?

+        Cosa cambierà nella mia vita ora che torno a casa?

 

Papa Francesco (Gaudete et esultate, 129-130):

“Nello stesso tempo, la santità è parresia: è audacia, è slancio evangelizzatore che lascia un segno in questo mondo. Perché ciò sia possibile, Gesù stesso ci viene incontro e ci ripete con serenità e fermezza: «Non abbiate paura» (Mc 6,50). «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Queste parole ci permettono di camminare e servire con quell’atteggiamento pieno di coraggio che lo Spirito Santo suscitava negli Apostoli spingendoli ad annunciare Gesù Cristo. Audacia, entusiasmo, parlare con libertà, fervore apostolico, tutto questo è compreso nel vocabolo parresia, parola con cui la Bibbia esprime anche la libertà di un’esistenza che è aperta, perché si trova disponibile per Dio e per i fratelli (cfr At 4,29; 9,28; 28,31; 2 Cor 3,12; Ef 3,12; Eb 3,6; 10,19)”.

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"Il beato Paolo VI menzionava tra gli ostacoli dell’evangelizzazione proprio la carenza di parresia: «la mancanza di fervore, tanto più grave perché nasce dal di dentro». Quante volte ci sentiamo strattonati per fermarci sulla comoda riva! Ma il Signore ci chiama a navigare al largo e a gettare le reti in acque più profonde (cfr Lc 5,4). Ci invita a spendere la nostra vita al suo servizio. Aggrappati a Lui abbiamo il coraggio di mettere tutti i nostri carismi al servizio degli altri. Potessimo sentirci spinti dal suo amore (cfr 2 Cor 5,14) e dire con san Paolo: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16).".

 


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