in cammino con Giovanni, nel deserto
Nel
deserto con Giovanni il Battista. Lc. 3,1-6
Il Vangelo di oggi
ci introduce una persona che ci accompagnerà per le prossime 3 domeniche, fino
alla vigilia di Natale: Giovanni il Battista.
Ci impressiona la
solennità con cui Luca si preoccupa di precisare bene le date e l’ambiente
storico in cui si svolge l’apostolato di Giovanni. Parla di date precise e di
persone ben conosciute, sette per l’esattezza, tutti potenti di quei tempi,
alcuni Romani, altri di altre nazionalità e addirittura due dei sommi sacerdoti
del tempo. Perché? Perché Luca vuol farci capire che non sta raccontando una
favola ma dei fatti concreti e ben situati nella storia, e perché dà molta
importanza al messaggio che Giovanni il Battista ci offre, un messaggio non staccato
dalla vita quotidiana, o campato sulle nuvole, ma un messaggio che deve
coinvolgere tutti gli uomini di ogni età e nazione e che vale per tutte le
nostre attività quotidiane. Non possiamo vivere la nostra fede e la nostra vita
di ogni giorno come due cose separate che non hanno niente in comune.
Necessariamente una influenzerà l’altra. Non c’è fede che non esiga di essere
calata nella pratica, e senza la fede non c’è vera vita. Dobbiamo quindi
sforzarci di rendere attuale il messaggio del Battista.
Giovanni ci viene
presentato come un profeta dell’Antico Testamento, una persona che si muove e
annuncia conversione, ma con una particolarità: egli ha fatto del deserto la
sua dimora. Giovanni è figlio di un sacerdote e per la tradizione aveva diritto
di diventare sacerdote e quindi avrebbe potuto essere là a portare avanti la
sua missione. Lui invece decide di abitare nel deserto. Il deserto è il luogo
privilegiato per prepararsi all’incontro con Dio. La gente di Israele con Mosè aveva
girovagato per quarant’anni nel deserto prima di entrare nella Terra promessa,
Elia aveva camminato per quaranta giorni nel deserto per raggiungere l’Horeb
dove poi ha incontrato Dio; Dio attraverso il profeta Osea aveva detto che il
popolo d’Israele si comportava come una moglie infedele, ma poi aveva aggiunto:
“Ma io l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”. Gesù
stesso, all’inizio del suo apostolato ha trascorso 40 giorni nel deserto in
preghiera.
Il deserto è il
luogo dove mancano tutte le comodità, le distrazioni, l’appoggio di altre
persone; lì uno è obbligato a confrontarsi con le sue debolezze, i suoi
bisogni. Lì non esistono cose superflue, si deve andare all’essenziale, lì ci
si deve abbandonare con fiducia nelle mani di Dio. Infine il deserto è il luogo
del silenzio dove si può ascoltare la voce del Signore senza essere distratti
dai mille rumori della nostra società.
Stiamo vivendo il
periodo dell’avvento, cioè ci stiamo preparando a ricevere la venuta di Cristo.
Bene! Questa preparazione va fatta mettendoci con sincerità nelle mani di Dio,
convertendoci, cioè cambiando il nostro atteggiamento di vita, togliendo tutta
quella struttura che ci distoglie dal pensare a noi stessi e spesso ci
impedisce di vedere la realtà di noi stessi.
Il Vangelo cita un
passaggio del profeta Isaia, il capitolo 40 chiamato libro della consolazione
perché porta la lieta novella al popolo di Israele, la notizia della sua
liberazione imminente. Si tratta del popolo schiavo a Babilonia e che libero
potrà attraversare il deserto per tornare nella sua terra. Ebbene in questo
deserto la strada sarà dritta, segno di verità e rettitudine, ogni colle sarà
abbassato: i colli del nostro egoismo e della nostra superbia, ogni burrone
sarà riempito: i burroni dell’ingiustizia, della paura, che ci separano dai
nostri fratelli.
In questi giorni
che ci separano dalla grande festa saremo occupati a ricoprire i nostri muri di
decorazioni e a riempire le nostre case di regali, cibo eccetera. La festa ci
deve essere e deve essere vera, ma la preparazione non la si fa coprendoci di
cose in più, ma spogliandoci per vederci come siamo, lavorando su noi stessi e
su tutte quelle nostre attitudini che ci separano dagli altri, che sono un
ostacolo all’amore, alla gioia, alla condivisione. Dobbiamo rivestirci di
Cristo che è colui che dà il vero senso alla festa.
Bisogna tagliare quelle corde che ancora ci tengono legati ai nostri
peccati, proprio perché non ci capiti che, come a molte persone al tempo di
Giovanni, Gesù arrivi in mezzo a noi e noi non lo sappiamo riconoscere.