Il bambino Gesù ribalta il nostro modo di pensare


Natale 2018 Lc 2,1-11
Carissimi Natale è arrivato. Tutto è più bello, oggi, più solenne, più gioioso. È giusto, siamo alla festa più attesa dell’anno quindi anche l'occhio vuole la sua parte. Tutto è pronto per accogliere il nostro salvatore che viene. Anche il vangelo è iniziato in grande solennità scomodando tutti i grandi della terra. Avete sentito: “Ai tempi dell’imperatore Augusto, mentre era governatore Quirino”, grandi che esercitano il potere. Si parla di un censimento, forse volevano conoscere quanti milioni di persone erano sotto di loro. Di censimenti, Augusto ne aveva fatti vari, nessuno generale come è scritto nel vangelo, ma tanti censimenti locali. Ho bisogno di sapere quanto importante sono, come posso mantenere il mio dominio in modo sicuro. Mi viene subito da pensare al censimento che il re Davide ha voluto fare per sapere quanto grande era il suo regno. Quella volto Dio si arrabbiò: che pretesa hai tu di farti grande, io ti ho dato tutto. Si vuol contare le persone come si contano le cose, oggetti destinati a mostrare la nostra forza e ricchezza, ma le persone non appartengono al re, appartengono a Dio che è il vero re.
Allora per contrastare l’immagine di grandezza dei primi due personaggi, il vangelo ne introduce altri due, piccoli, sconosciuti: Giuseppe e Maria, e per ultimo un fanciullo, uno che nella mentalità di quell’epoca era considerato come nulla. Da qui inizia la nuova storia della umanità, una storia dove i parametri umani sono capovolti.
Dalle glorie dell’impero si entra nella semplicità e nella povertà. Non c’è niente di solenne in Giuseppe e Maria che a pochi giorni dal parto si mettono in moto per un viaggio lungo e pericoloso che potrebbe compromettere il piano di Dio, il piano che Dio ha affidato alle loro povere forze. Non c’è niente di solenne nel giungere alla città degli antenati e sentirsi rigettati magari per la scomodità di doversi prendere cura di una mamma che partorisce; non c’è niente di solenne nel partorire in una stalla e deporre il piccolo a riposare sulla paglia della mangiatoia. Eppure lì si consuma il grande mistero di Dio, eppure quello è proprio il modo scelto da lui per realizzare il suo piano. Non c’è stato niente di casuale in tutto questo, è stata una scelta. Non ci sono dubbi: Dio non pensa come noi.
A Betlemme Maria dà alla luce il suo figlio primogenito. L’accenno non è casuale, anche se è l’unigenito qui viene definito primogenito perché secondo la legge i primogeniti erano consacrati a Dio. Quando nasce un bambino noi abbiamo subito la tentazione di appropriarcene: è mio! Ma i figli non sono nostri, sono di Dio che ce le dà e li ha creati con un piano su di essi. Sono persone che devono crescere nella libertà per trovare il posto che Dio ha preparato per loro nella storia. Essi devono soddisfare il sogno di Dio, non i nostri sogni.
E Maria lo avvolse in fasce. Colui che è nato non è un superman che non ha più bisogno di niente. È una creatura fragile, che ha bisogno di protezione, cura, amore. Dio, in Cristo, ha assunto tutte le fragilità umane. Si è fatto uno di noi, e questa è stata una sua scelta deliberata.
Lo depose in una mangiatoia, luogo umile, e lì lo incontreranno i pastori e i Magi, lì dobbiamo riconoscerlo noi. Chi è nato non è Augusto o Quirino.
Io me lo sono chiesto tante volte: Perché Dio non ha deciso di nascere figlio dell’imperatore Ottaviano, o almeno di Erode o di Quirino? Perché non ha scelto di diventare lui il generale capo di tutto l’esercito romano e con quello compiere il piano che tanti altri hanno avuto di conquistare tutto il mondo e portare a tutti la pace e la giustizia romana? Poteva farlo, eppure non lo ha fatto, ha preferito Betlemme, ha preferito Giuseppe e Maria. Perché? Me lo chiedo e una risposta non me la so dare, però è un fatto: quello di Betlemme non è un caso isolato, ma è la regola di tutti gli altri casi dell’agire di Dio. Tutta la vita di Gesù è segnata da debolezza, opposizione, è vero ha fatto miracoli, grandi miracoli, ma è stato catturato, umiliato, ucciso ed è lì sulla croce che ha portato a compimento il suo piano. E così è stato lungo la storia, storia piena di contraddizioni: il Cristianesimo si è sviluppato attraverso il sangue dei martiri, la predicazione dei missionari, la carità dei santi, e quando ha assunto posizioni di potere e di gloria si è dovuta scontrare con momenti di perdita di fede. Perché? Non c’è dubbio, Dio la pensa in un modo diverso dal nostro. Cari fratelli, questa è la notte della povertà, della debolezza, la notte di chi è povero, solo, senza speranza, perché a loro l’angelo dice: gioite perché per voi è nato oggi il salvatore.
Noi siamo cristiani, seguaci di Cristo, servi di Dio, siamo qui in abiti di festa a celebrare la sua povertà e la sua debolezza. Nelle nostre case abbiamo preparato un bell’albero colorato con sotto tutti i doni e lì vicino il presepe dove il bambinello giace sulla paglia avvolto in fasce e senza regali. Noi siamo chiamati ad essere gli annunciatori di questa grande notizia, dovremmo essere come i pastori, vorremmo essere come gli angeli, e troppo spesso siamo come Erode e i suoi ministri. Stiamo celebrando un Dio che la pensa in modo diverso dal nostro che ci chiede di seguirlo e noi lo facciamo ma siamo tanto attaccati al nostro modo di pensare, di organizzare, di fare. C’è tanto di forza e tanto poco di debolezza nel nostro vivere quotidiano, tanto di organizzazione e tanto poco di semplicità, tanto di struttura e tanto poco di amore; Gesù viene e non c’è posto per lui nella nostra anima e lui vaga finché trova un’anima disadorna, magari quella di un peccatore, un ubriacone, un drogato, vi entra e dice sono a casa mia.
Cari amici, a me fa paura un Dio così, ho paura di questo bambinello tanto pericoloso perché sovverte tutte le nostre strutture costruite con tanta cura durante i secoli, ho paura, d’altronde ne ha avuto anche Erode e ha mandato i soldati. Ma Gesù non ha paura né dei soldati né di noi perché sa che ci può conquistare con il suo amore e fare di noi suoi soldati. Vuole che lo seguiamo, che combattiamo la “sua” battaglia, la battaglia dell’amore dove non ci sono armi se non il perdono e l’amore, non si conquistano ricchezze ma cuori. Guardiamo a Lui nostro condottiero e facciamo nostro il suo modo di fare e pensare, lui che ha detto “beati gli oppressi, beati i perseguitati, i rifugiati, i rigettati, beati voi poveri perché vostro è il Regno dei cieli”. Stanotte non riusciremo a dormire in pace anche se siamo stanchi, perché questa celebrazione ci deve provocare ad un impegno più serio nel nostro essere Cristiani. Ci sono ancora tanti poveri là fuori che hanno bisogno di Dio e Dio viene per loro ma da oggi non prenderà più le sembianze del fanciullo di Betlemme e di Nazareth ma prenderà le nostre, le mie, le tue perché noi saremo le sue mani per benedire e beneficare.
Buon Natale fratelli, che sia un Natale disturbato dalla “sua” pace.

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