L'episodio dell'adultera e i giochi segreti della nostra ipocrisia
Giovanni
8:1-8
L'adultera
o meglio l'eterna lotta tra l'ipocrisia e la misericordia.
Bello
l'episodio di oggi, bello perché è l'esempio migliore di quello che puó fare la misericordia.
Normalmente
questo brano è intitolato l'episodio dell'adultera, io invece lo
chiamerei lo scontro tra la misericordia e l'ipocrisia.
L'adulterio
era considerato uno dei peccati più gravi perché rompeva la
famiglia, la donna veniva cacciata dal marito, ma anche gettava
disonore sulla famiglia di origine che quindi si rifiutava di
riaccoglierla in casa ed allora essa finiva in mezzo alla strada a
mendicare o a prostituirsi. Naturalmente la colpa era tutta della
donna, l'uomo era solo vittima della sua magia di adescatrice,
mentalità purtroppo ancora molto viva in tante parti del mondo.
Questa era un'infrazione grave in una società fortemente basata
sulla famiglia e sui clan allora qualcuno più rigoroso
nell'osservanza della legge arrivava a chiedere la morte della donna
attraverso la lapidazione, cosa riservata solo a peccati tipo la
bestemmia (rottura del legame con Dio) e il tradimento (rottura del
legame con la società). Questo era il caso ideale per compromettere
un giovane maestro come Gesù, metterlo in una posizione ambigua che
ne rovinasse la fama e l'attrattiva che esso esercitava sulla folla.
Tutti
sapevano bene che la predicazione di Gesù era basata sulla
misericordia e questo facevo colpo sulla gente poco abituata al
rigore della legge. Cosa avrebbe detto di fronte a un caso così?
Questo
è il punto centrale del vangelo di oggi, non tanto il peccato o
l'adulterio in sé ma il cercare di sminuire l'attrattiva di Cristo,
l'attaccamento al Vangelo basandosi su ragionamenti umani,
contraddizioni, eccetera. I Farisei erano furbi ed esperti ed erano
pronti a sferrare il colpo. Forse qualcuno di loro, magari
pretendendo di sbagliare, il sasso lo avrebbe tirato più volentieri
a Gesù che alla donna.
Se
Gesù si fosse pronunciato a favore della lapidazione della donna che
ne sarebbe stato della sua fama di misericordioso? Inoltre, dal tempo
della conquista da parte dei Romani, era stato tolto il permesso ai
Giudei di pronunciare condanne a morte quindi Gesù si sarebbe posto
in una posizione di ribelle, cosa che finora era riuscito ad evitare,
lui portatore di pace a tutti i costi. Se invece si fosse pronunciato
a favore del perdono avrebbe creato scandalo, confusione tra la gente
perché il peccato era chiaro, la donna era stata colta in flagrante.
Sarebbe stato come un giustificare questo tipo di crimini che nessuno
era disposto ad accettare.
Interessante
l'atteggiamento di Gesù che come al solito evita il tranello
giocando di trasversale. La giustizia ebraica era fondata su un
concetto di base: ogni colpa, per essere punita, deve essere provata
dalla testimonianza di almeno due persone. Ora, l'importante non era
tanto il riuscire a provare che quanto detto da essi era vero, ma
piuttosto il provare che queste due persone erano gente credibile,
onesta, non compromessa da secondi fini o guadagni. Gesù gioca su
questo: tutti sapevano che il fatto in sé era vero, ma coloro che
stavano lì a gridare erano davvero persone oneste? Lui si china a
scrivere per terra, quasi piegato dalla sofferenza interiore di
vedere tanta ipocrisia e tanto falso fervore che serviva solo a
coprire il marcio morale che ognuno di loro si portava dietro. Sa
benissimo che l'obiettivo della disputa non è la donna ma lui
stesso. Si mette a scrivere, non importa cosa, ma il fatto di farli
aspettare, di non dare subito la risposta che vogliono fa innervosire
la gente e li destabilizza dalla pedana sicura che si erano costruiti
con il loro piano. E poi contrattacca: chi è senza peccato, chi
ritiene di essere un testimone onesto senza secondi fini, senza
secondi guadagni, senza scheletri nell'armadio, scagli pure la prima
pietra. Ha rigirato il processo. Ha rimandato a loro la palla del
giudizio ma a partire da un'analisi di se stessi. Ora sotto accusa
non è più l'errore della donna, e neppure la possibile sentenza di
Gesù ma l'integrità morale di tutti i presenti. Chi avesse
scagliato la pietra si sarebbe dichiarato giusto ma si sarebbe anche
sottoposto al giudizio di chissà quante persone che potevano
rinfacciargli errori. Allora tutti se ne vanno.
Gesù
pretende di non fare attenzione a quello che succede, la lotta morale
è prima di tutto un fatto privato di ciascuno e solo dopo che tutti
se ne sono andati riconoscendo in tal modo di non essere perfetti,
Gesù può avvicinarsi alla donna, e partendo dal pericolo scampato
può lanciarle un messaggio di perdono ma anche di conversione:
Neanch'io ti condanno (eppure lui onesto e credibile lo era), va e
non peccare più.
La
misericordia di Gesù non è un negare l'esistenza dell'errore,
neppure uno sminuirne il valore o la portata, non è un perbenismo o
un atteggiamento di lassismo morale, è un porre al centro la persona
con le sue debolezze ma anche con la sua dignità di figlia. È un
dare una seconda possibilità perché l'amore, la relazione sono più
importanti dei fatti in sé.
Non
si può concepire la misericordia se non si parte dalla nostra stessa
debolezza, dai desideri contraddittori che si combattono dentro di
noi, che forse raramente si traducono in peccato, ma spesso rimangono
repressi dentro di noi e ci tolgono la serenità di vita, la
chiarezza del giudizio e ci portano a giudicare gli altri in modo
spietato.
Io
credo che le persone del vangelo, andandosene via, assieme alla
rabbia per la sconfitta si siano portate dietro anche uno sguardo un
po' più benevolo per quella povera donna che non si sono sentiti di
colpire con i sassi che avevano già preparato con cura.
E
noi? La domanda che il vangelo ci pone oggi, per la nostra
conversione quaresimale non è tanto se siamo adulteri o no, ma se
alle volte ci lasciamo prendere dal bisogno di giudicare gli altri,
di condannarli, di impugnare la legge, la tradizione per difendere le
nostre idee e buttar giù gli altri. Siamo sicuri che questa falsa
rettitudine non è magari dettata dall'insoddisfazione di sapere che
c'è tanto in noi che non va bene e che preferiamo evitare, che
cerchiamo di coprire con gli sbagli degli altri? Dovremo piuttosto
avere il coraggio di prendere in mano quel che c'è di sbagliato in
noi e consegnarlo alla misericordia di Gesù.
Saremmo capaci di inchinarci di fronte a un peccatore che ci dà fastidio e dire con umiltà: “Anch’io sono peccatore come te ma la misericordia di Dio è grande, camminiamo insieme alla ricerca di questo amore”?
Saremmo capaci di inchinarci di fronte a un peccatore che ci dà fastidio e dire con umiltà: “Anch’io sono peccatore come te ma la misericordia di Dio è grande, camminiamo insieme alla ricerca di questo amore”?