I pastori sì e gli altri no
I pastori vanno alla grotta
Natale è arrivato e siamo felici. Per nove giorni ci siamo preparati per questa festa e con i nostri canti e le nostre preghiere abbiamo fatto in modo di celebrare in modo degno l’arrivo del nostro salvatore.
Oggi siamo qui a raccogliere i frutti di questi nove giorni. Abbiamo preparato l’arrivo del nostro re ed ora Lui è qui in mezzo a noi. Lo vedete rappresentato dalla statua di questo piccolo bambino adagiato nella mangiatoia. Anche la sua famiglia è qui, Maria e Giuseppe; Poi ci sono gli angeli, fra qualche giorno arriveranno i tre Re, e naturalmente ci sono anche i pastori. Li ho lasciati per ultimi perché in qualche modo essi sono i più vicini a noi, coloro che più degli altri ci rappresentano nel presepio.
Spero che nelle vostre case abbiate preparato un presepio, non soltanto con le statue della sacra famiglia ma anche con altri personaggi. In Italia ci piace riempire il presepio con tante persone che rappresentano un po’ le varie attività: c’è la donna che cucina e quella che lava i vestiti, l’uomo che taglia la legna, quello che pesca, quello che cammina con il suo asinello, quello che vende cibo e vino, e ci sono i pastori con le loro pecore. Gesù è nato in mezzo a tutte queste persone e per tutte queste persone, ma in quel momento, la maggior parte di loro non si sono accorte di chi fosse nato e hanno continuato a fare il loro lavoro come se nulla fosse accaduto. Per i pastori, invece, la cosa è stata molto diversa. Essi di notte erano svegli e hanno sentito gli angeli annunciare la nascita del Salvatore. Subito si sono messi in cammino e sono giunti alla grotta dove hanno adorato il bambino.
Cosa ha fatto la differenza tra loro e le altre persone?
Il primo aspetto è che essi, al tempo di Gesù, erano la categoria più povera e più disprezzata. Stando con gli animali erano spesso fuori di casa, non potevano prendersi cura della famiglia, inoltre non potevano seguire le preghiere rituali e la legge che al sabato impediva di camminare e lavorare. Quindi erano emarginati, considerati persone pericolose e da evitare. Proprio per questa caratteristiche sentivano più degli altri il bisogno di un salvatore, di uno che cambiasse la loro situazione, che li accogliesse e li facesse sentire importanti. Gli altri abitanti di Betlemme erano soddisfatti della loro vita, occupati col loro lavoro e le loro feste, quindi non sentivano il bisogno di un cambiamento. Per questa ragione non si sono accorti della venuta di uno che qualche anno dopo chiederà loro di convertirsi, di cambiare vita.
Una seconda differenza, legata alla prima, è descritta in quelle due semplici parole: “erano svegli, vegliando sul gregge”. Gli altri dormivano. Non è solo il sonno normale della notte, è anche il sonno di una vita fatta di abitudini, del tutto sempre uguale che ci toglie la preoccupazione di essere vigilanti ma al tempo stesso ci toglie il desiderio di essere creativi, di essere attenti al mondo che cambia ed essere capaci di partecipare in modo attivo a questo cambiamento. I pastori erano attenti a quello che succedeva attorno a loro.
La terza differenza è la conseguenza delle prime due. Essi si misero in cammino in fretta per andare alla grotta. Non sono spettatori passivi ma si mettono in cammino per conoscere la realtà.
La nostra fede non ci chiede di fare sempre le solite cose, di vivere la solita vita come spettatori passivi o inermi, aspettando che Dio, o gli altri, facciano tutto. Dio ci vuole partecipi generosi di tutte le attività. Dobbiamo avere il coraggio di lasciare la nostra comodità e andare incontro al nuovo, alle nuove opportunità che Cristo ci offre.
Inoltre i pastori sono gente semplice, ma dalle emozioni forti. I maestri della religione di quel tempo parlavano dell’arrivo di un Messia, un condottiero che avrebbe ristabilito il diritto e la giustizia annientando tutti i peccatori. Quindi mentre questi maestri e la gente normale attendeva con ansia questo liberatore, i pastori lo attendevano con tremore, con la paura di essere annientati a causa della loro condotta di vita. Immaginate allora lo spavento che essi devono aver sperimentato quando si sono visti apparire un angelo. Ecco perché l’angelo dice loro: “Non temete! Sono qui a portarvi un messaggio di gioia”. Quel Dio di cui avete paura non è un Dio che castiga i malvagi e premia i giusti. Non è un Dio potente venuto a portare guerra e castigo, ma un Dio che viene a salvarvi, un Dio che si è fatto uno di voi, che non ha niente a che vedere con i grandi della società. Il nuovo nato è il Cristo, il Signore, ma è nato a Betlemme, il più piccolo tra i villaggi di Giuda, e lo riconoscerete perché è debole e povero.
I pastori erano ignoranti, eppure si fidano, si incoraggiano a vicenda e vanno senza indugio. Chi non ha niente si fida, non ha niente da perdere da proteggere, è libero di andare. Anche i loro occhi sono liberi e vedono e riconoscono nel bambino il loro salvatore.
L’esperienza dell’incontro con Gesù li trasforma in missionari: “Riferirono ciò che del bambino aveva detto loro l’angelo”. La buona novella è troppo grande, troppo potente per rimanere chiusa nel nostro cuore, ci mette in movimento, ci spinge col desiderio di raccontarlo ad altri. Se non sentiamo dentro una voglia forte di annunciare agli altri la bellezza del Natale, forse manca qualcosa nella nostra fede, forse la nostra festa si riduce a celebrare una statua, o un albero, o Babbo Natale e non il “nostro salvatore”.
Il vangelo si conclude con il commento: “E se ne tornarono glorificando Dio per quello che avevano udito e visto”. L’esperienza diventa un punto forte della vita, un punto su cui costruire tutto il futuro.