Viaggio nella vita


Il cammino della rinascita. (Lc 24 13-25) 3a domenica del tempo di Pasqua, Anno A.
La liturgia di oggi ci presenta un bel quadretto che noi dovremmo considerare attentamente per la rilevanza che ha per la nostra vita. Quando Luca scrive, ha in mente le Comunità Cristiane della Grecia e della Turchia, formate da persone che si erano convertite per la predicazione di Paolo o dalla sua, quindi che non solo non avevano conosciuto Cristo ma nemmeno un testimone oculare di quanto Cristo aveva fatto o detto. Inoltre va considerato il tempo della stesura del vangelo: era appena terminata la persecuzione di Nerone e già si prospettava nell’aria la persecuzione successiva quindi molti dei fedeli, specialmente quelli con minor esperienza nella Chiesa, cominciavano ad abbandonare la fede e tornare al paganesimo che garantiva una vita più comoda e sicura. I Cristiani che rimanevano, allora cominciavano a dirsi: magari fosse possibile anche per noi incontrare il Signore come è avvenuto a Paolo. Per loro sembrava non più sufficiente aderire con la fede solo perché chi lo raccontava, era una persona attendibile. Anche noi abbiamo bisogno di fare un’esperienza personale che faccia nascere l’attrattiva. Ormai viviamo in un mondo che di Cristiano ha poco, e la maggior parte dei fedeli sono diventati cristiana perché i genitori li hanno battezzati, poi hanno fatto il catechismo e ricevuto i sacramenti, e magari continuano a frequentare la Messa alla domenica, sentono le nostre prediche, ma fanno difficoltà a vivere i valori che predichiamo, perché la mentalità comune li attira da tutt’altra parte. Qualcuno ha definito questo fenomeno “fede da supermercato”: vado, compro il trancio di pizza che mi piace, ma il resto lo lascio; questo aspetto mi va bene e lo seguo, quell’altro no e mi sento libero di rigettarlo: Si sta diffondendo sempre di più un cristianesimo tagliato su misura per ciascuno di noi.
Il racconto di oggi, ci dice che la fede deve portarci a fare questo incontro con il Risorto.
Di fatto il vangelo parla di due discepoli, uno che si chiama Cleopa, e un altro che non ha nome. Viene spontaneo chiedersi come mai Luca non riporti tale nome; è possibile che ne conosca uno e l’altro no? L’autore non farebbe questa figura, piuttosto li eviterebbe entrambi. Luca sembra dirci: il fatto è vero, Cleopa lo conoscete, potete consultare i registri e lo trovate, l’altro discepolo siete voi, ognuno di voi deve porsi a fianco di Cleopa e fare questo cammino di conversione, questo incontro con il risorto.
I due discepoli rappresentano molti cristiani che si lasciano prendere da un senso di scoraggiamento, di delusione. Gesù non li lascia soli, cammina con loro ma loro non lo riconoscono perché sono troppo accentrati sulla loro amarezza, delusione; però hanno il coraggio di sfogarsi con questo straniero. Quante volte Gesù si fa vicino a noi e noi non lo riconosciamo perché vediamo una persona, ma non sappiamo che è Lui.
Lungo il viaggio conversavano l’un l’altro su ciò che era accaduto e discutevano” (si accapigliavano); sfogano l’uno sull’altro il loro malumore, non si rassegnano alla sconfitta, come anche oggi quando chi si allontana dalla Chiesa cerca mille persone su cui scaricare le colpe e i malumori.
Come ci saremmo rivolti noi a questi due discepoli? Forse avremmo fatto subito una catechesi molto chiara. La pedagogia di Gesù, invece, è diversa; si trova di fronte a persone ferite perché hanno amato Cristo. Allora Lui vuol far venire fuori la ragione per cui sono tristi. “Cosa sono le parole che vi scagliate l’uno contro l’altro?” Sono persone amareggiate e ferite. Anche con Lui usano parole un po’ scortesi, dure: “Solo tu sei così ignorante da non sapere quello che è successo …”; non vedi cosa sta accadendo nel mondo e nella Chiesa? Poi cominciano ad esprimere la loro delusione: “Noi speravamo, la fiducia era con noi…”; questo ci dice che Gesù lo avevano conosciuto, si erano innamorati delle idee che proponeva, si erano fatti delle illusioni; allora di fronte alla morte di Gesù se ne vanno via delusi: “Ma ormai è morto, da tre giorni è nel sepolcro”.
Le loro parole, praticamente, sono un “credo” perché parlano della vita di Gesù, dei suoi miracoli e predicazioni, della sua passione e morte. Gesù era un giusto ma, purtroppo, l’hanno appeso ad un albero, che nella bibbia è un segno di maledizione. Conoscono bene il messaggio di Gesù ma manca la resurrezione. Senza di essa le sconfitte rimangono sconfitte e la vita termina con la morte; allora tutto perde senso. “Noi speravamo che stesse per cominciare il riscatto di Israele”. Questo è il primo errore, continuano ad attendere il regno della forza del potere di Israele, mentre non hanno capito che Gesù predicava il regno del servizio. Loro seguono ancora la logica mondana del potere e della gloria, non il nuovo messaggio di Gesù, quello basato sul comandamento dell’amore. Molti di quelli che oggi abbandonano la fede, lo fanno perché non hanno visto realizzate le loro speranze personali: a che serve andare in Chiesa se poi devo affrontare le difficoltà della vita come tutti gli altri?
A dire il vero c'erano stati alcuni segni di un qualche cosa di diverso che facevano capire che le cose non erano andate proprio come dicevano loro: “alcune donne ci hanno sconvolti, sono andate al sepolcro e lo hanno trovato vuoto”, dicono di avere incontrato il Signore; “alcuni di noi sono andati al sepolcro, hanno trovato come le donne dicevano, ma Lui non lo hanno visto”. Questo è il loro secondo errore: qualcuno aveva cominciato a vedere qualcosa ma loro avevano preferito chiudere subito il discorso. Anche oggi qualcuno comincia a intravedere una primavera nella Chiesa e nella fede, persone che vivono veramente secondo gli insegnamenti di Gesù, secondo il comandamento dell’amore e del servizio, ma molti chiudono gli occhi e preferiscono allontanarsi senza verificare le loro speranze. C’è un gruppo di discepoli che ha continuato a cercare la verità rimanendo a Gerusalemme, non sono scappati; questi invece, se ne sono andati delusi. Le parole, le dottrine, il catechismo, non valgono più, abbiamo bisogno di un’esperienza personale.
Ora vediamo come Gesù apre la mente di questi due. Prima li lascia parlare, lascia che esprimano la loro amarezza, perché l’esperienza personale deve partire dalla realtà personale. Dopo che li ha ascoltati e li ha esortati a che esprimessero i loro dubbi, può presentare la sua soluzione. Tutto quello che loro hanno espresso riguardo a Lui, ha senso solo se lo si legge alla luce della Parola di Dio, quindi, aprendo la loro mente alle scritture, comincia a spiegare tutti gli eventi alla luce dei profeti. Non sappiamo che passi abbia citato. Anche gli elementi drammatici della vita rientrano nei piani del Signore, quando vengono rivisti alla luce della Bibbia, mentre il cammino della croce è inconcepibile, se lo si vede alla luce di questo mondo.
Ora arrivano a Emmaus. Ci aspetteremmo un minimo di descrizione del villaggio, della casa, di chi ci abita; Luca evita ogni dettaglio di cronaca perché a lui non interessa l’ambiente dove ci troviamo, ogni ambiente è buono, i protagonisti rimangono gli stessi. C’è una cosa chiara ed è che hanno un ambiente loro, la loro vita privata e Gesù non forza tale ambiente, continua a camminare come se volesse passare oltre, tocca loro invitarlo ad entrare; Gesù non ci forza a diventare Cristiani, non ci forza a fare l’esperienza della sua vita, devono essere loro ad invitarlo ed allora Gesù entra e si siede a mensa con loro. Nella mentalità ebraica il “sedersi a mensa con” indica sempre una condivisione di ideali con la persona che invita. Vi ricordate quando i Farisei criticavano Gesù perché si sedeva a mensa con i peccatori? Lui non voleva diventare peccatore, ma condivideva la loro esperienza di vita perché da lì si accorgessero dei loro errori e potessero fare il salto per tirarsi fuori.  Anche nel Vangelo di oggi usa questa tattica. È sera, il giorno è al tramonto; questa è l’ora in cui nelle comunità di Luca si celebrava l’Eucarestia (lo spezzare del pane). Il misterioso viandante celebra l’Eucarestia con loro: dopo aver presieduto alla liturgia della parola lungo il cammino, ora celebra anche lo spezzare del pane. Ma per Gesù l’Eucarestia non è mai separata dalla vita. L’Eucarestia deve partire dalla nostra vita concreta, è vera solo se gli apriamo la porta della nostra vita, e quando Lui entra ci apre gli occhi, come ai due che ora riconoscono la presenza del risorto. Una vita donata non finisce nella tomba ma nella gloria di Dio.
I due si dicono l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore in petto?” Non si stupiscono di non vederlo più con gli occhi, ora ce l’hanno nel cuore e diventano apostoli, si mettono in moto. Immaginate, è sera, non volevano che lo sconosciuto viandante facesse un chilometro in più per cercarsi una camera, ma ora loro non hanno paura a fare 11 chilometri per correre dagli altri discepoli. E, com’era già successo alle donne, anche loro diventano “apostoli” degli apostoli per dire loro: “Il Signore è veramente risorto e lo abbiamo visto”.
Noi alla domenica ci troviamo intorno all’altare del Signore, all’Eucarestia. Non dovremmo venire con l’atteggiamento di chi compie un gesto che è abituato a fare, ma dovremmo venire con l’anelito di queste persone che non hanno avuto paura di condividere con il Signore, prima della mensa, tutte le loro preoccupazioni, anche le loro amarezze, la rabbia, i dubbi. Se vogliamo un rapporto vero con il Signore, se vogliamo che la sua morte e Resurrezione ci apra la strada, dobbiamo esprimere al Signore quelli che sono i nostri dubbi, incertezze, la nostra rabbia, magari anche essere un po’ “rudi” con lui, ma poi aprire la porta del cuore all’ascolto della Parola, lasciare che questa parola faccia ardere il nostro cuore, bruci un attimino e poi ci faccia dire: “È  Lui, è il Signore, ora ho capito e l’ho visto”. Ma poi non possiamo fermarci lì. Dopo l’Eucarestia torniamo a casa, non per richiuderci ma per annunciare agli altri quello che abbiamo ricevuto, perché l’esperienza del Cristiano deve essere condivisa e generi anche negli altri la vita, perché generi il desiderio di fare la stessa esperienza.
Naturalmente anche loro dovranno partire dai loro dubbi, dalle loro incertezze; non si convertiranno per le parole che noi abbiamo detto. Noi non salviamo nessuno, ma le nostre parole devono provocare i fratelli alla voglia, al desiderio di fare l’esperienza di Cristo risorto, di andarglielo a chiedere e di aprire il loro cuore a Lui perché anche lì Lui possa spezzare il pane.
Mettiamoci quindi in cammino perché la vita del Cristiano è un viaggio di andata e ritorno. Forse qualcuno di noi è ancora al tragitto di andata, qualcuno è già su quello di ritorno, ma l’importante è essere in cammino sapendo che il Signore cammina con noi.


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