Dalla gloria alla morte e da lì alla risurrezione




Domenica delle Palme, Anno A


Quest’anno la Domenica delle Palme è molto speciale. Siamo abituati a una liturgia che ci fa vivere in un'unica cerimonia, anche in maniera coreografica, l’entrata gloriosa di Gesù a Gerusalemme con la processione e i rami d’ulivo e subito dopo il racconto della passione: il top e il fondo della gloria umana di Gesù. Quest’anno dovremo fare uno sforzo in più per entrare “interiormente” e spiritualmente in questa dinamica che è essenziale per la nostra vita di discepoli. Gesù è cosciente che sta facendo il passo decisivo dalla “gloria” esteriore, fama, popolarità, al tradimento, rigetto, abbandono, condanna. Ma non è solo la sua vita che deve fare questo passaggio, è l’intera storia di Israele e con essa tutta la struttura religiosa che lo sosteneva. Il racconto dell’ingresso a Gerusalemme è impostato su immagini e testi biblici tutti riferibili alla figura del Messia. Gesù è il Messia, ma quanto ha capito la gente di questa sua missione? Questa immagine di Messia che deve essere purificata. Allora per comprendere bene il cammino di Gesù i due episodi – entrata solenne e salita al Calvario – vanno tenuti assieme, e con essi vanno anche considerati gli episodi che vi si trovano in mezza.


Di solito nella tradizione ebraica di quel tempo, i pellegrini che si recavano a Gerusalemme per la Pasqua, prima di entrare in città facevano dei riti di purificazione (lavaggio, preghiere e penitenze) per poter essere degni di entrare nella “città santa”. Il rito compiuto da Gesù è di entrare nell’immagine popolare del Messia, quindi, come dice la profezia di Zaccaria, accettare di entrare in città cavalcando l’asina e il puledro. Comprendiamo questo gesto dalle parole di Gesù, Lui che è sempre andato a piedi ora dice: “Dite che il Maestro ne ha bisogno”; chiaramente non è un bisogno dettato dalla stanchezza ma dal dover entrare nella ritualità del ruolo. Però poi subito aggiunge: “Ma ve li rimanderà subito”. Lui non si impossessa di questi animali, li scioglie da ciò che li lega e poi li lascia liberi. Il puledro è un animale giovane, un cucciolo, non un adulto grande o robusto. Deve essere slegato e portato a Gesù. Lui ha bisogno di questo puledro. Lui ha bisogno di qualcuno, non per possederlo ma per poi dargli libertà. Il Signore sceglie strumenti deboli, qualcuno non all’altezza e che ha bisogno di essere slegato. Ha bisogno di questa nostra condizione umana, indegna ma essa deve essere slegata dai pregiudizi. Abbiamo dei padroni che ci tengono legati, dobbiamo slegarci da quelle strutture, pregiudizi, cose che ci bloccano incastrano: tante priorità emergenze. Inoltre, questo re della profezia di Zaccaria è particolare, cavalca un animale piccolo, umile, lento, non un destriero bello e veloce. Si tratta di un re semplice e umile che vuole essere vicino al suo popolo. Questo è lo stile scelto da Gesù. All’ingresso a Gerusalemme la folla canta l’inno dell’agnello: “O tu salva (questo è il significato di Osanna), figlio di Davide, Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. È un canto pasquale.


Quando le autorità vengono a sapere cosa è avvenuto, sono preoccupate e vogliono sapere chi è costui. Subito Gesù si presenta al tempio, al cuore della nazione, e caccia i venditori. È la purificazione del luogo di preghiera da tutte quelle strutture e leggi che non permettevano a molti di entrarvi, infatti immediatamente dopo storpi, ciechi, ecc. vengono da Gesù e lui li guarisce, cioè rimuove quelle infermità che secondo la legge impedivano loro di poter entrare nel tempio a pregare. Qui cita il profeta Geremia “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera”. Marco e Luca dicono “la casa del Padre”, Matteo dice “la mia casa”, ulteriore segno del suo essere il Messia. Inizia allora una grande disputa tra i “Giudei” e Gesù, composta da varie parabole e dal discorso “escatologico”. Significato di questa disputa è che la struttura religiosa di Israele si era corrotta e non era più strumento di salvezza perché allontanava le persone da Dio invece di favorirne l’incontro. C’è bisogno di un nuovo strumento di salvezza ed esso è ben descritto al capitolo 25 la parabola del giudizio finale: “avevo fame e mi avete dato da mangiare …”. Questa, per i capi del popolo, è la goccia che fa traboccare il vaso e da qui la decisione di mettere Gesù a morte.


Chi guarda a questa storia dall’esterno potrebbe definirla una storia di fallimento umano; Gesù è un Messia sconfitto; tuttavia dopo venti secoli possiamo dire che questo è stato l’unico vero successo della storia umana. La lettera ai Filippesi che abbiamo letto nella seconda lettura ci parla dello svuotamento del Figlio di Dio: Egli si abbassa fino a prendere la forma di servo e si umilia fino alla morte in croce. Lui che è il “Tutto” si fa “niente”; ma poi aggiunge: “Per questo Dio lo ha esaltato”.


La passione di Cristo la conosciamo bene ma non la mediteremo mai abbastanza. Forse quest’anno avremo un po’ più di tempo da dedicare a tale lettura. Oggi vorrei soffermarmi solo su una frase di Gesù che ritengo centrale per capire il mistero del Dio fatto uomo. “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Siamo al punto centrale, al culmine della passione. Gesù ha un dubbio di fede? Ebbene sì! Lui si è fatto uno di noi in tutto e si è voluto caricare tutte le nostre debolezze per vincerle con il suo amore. Queste debolezze lo portano il più in basso possibile. Anche qui Cristo mostra tutta la sua forza: la forza dell'amore. Non cede neppure a questa prova e conclude con la frase seguente: “Nelle tue mani affido il mio spirito”. Nel deserto il diavolo lo aveva tentato a svendere la sua divinità per avere il potere, nell'orto degli ulivi lo aveva tentato facendogli desiderare di evitare la sofferenza, ora con un'ultima chance lo tenta facendogli pensare che magari un miracolo possa porre termine a tutto, e invece no! L'umanità deve essere purificata in tutte le sue debolezze per essere divinizzata in tutto. Per esprimere la sua situazione, Gesù si serve delle parole del salmo 21. Questo non sminuisce la sofferenza causata dalla prova, ma rinforza il fatto che anche in questi momenti di buio assoluto Gesù si attacca alla preghiera e alla bibbia, ultimo appiglio per l'uomo che sta per cadere. I sentimenti sono deboli ma la fede è forte e alla fine la fede trionferà. Lui non ha dubitato dell'esistenza di Dio ma del fatto che Dio si interessi di lui. Non è una tentazione contro la fede ma una tentazione contro l'amore. Il suo Amore, con la A maiuscola, trionfa sull'emozione legata ad esso perché anche quando non sente più niente, l'Amore e la Fede (che sono sempre inscindibilmente unite) vincono.


Quante volte anche noi dubitiamo che Dio si interessi di noi; quante volte ci siamo chiesti dei “perché” a cui non abbiamo saputo dare una risposta; quante volte abbiamo pensato di non essere degni del suo amore, di non essere importanti a sufficienza perché lui si interessi per noi.


Eppure no! Lui non ci abbandona mai, vuole solo che la nostra fede non venga meno e lo attendiamo con amore.


Dalle parole di Don Orione: “Per portare le persone a Dio e conquistarle, occorre, prima, vivere una vita intensa di Dio in noi stessi, avere dentro di noi una fede dominante, un ideale grande che sia fiamma che ci arda e risplenda; rinunciare a noi stessi per gli altri; ardere nella nostra vita di un’idea e di un amore sacro più forte”. ... “Noi siamo gli inebriati della carità e i pazzi della Croce di Cristo Crocifisso”.

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