Un Eucarestia un po’ diversa.


Giovedì Santo: Un Eucarestia un po’ diversa.
I vangeli sinottici dedicano solo poche righe al racconto dell’Ultima Cena. Essi si concentrano sull’istituzione dell’Eucarestia e alcune altre parole in cui Gesù predice i tradimenti di Giuda e Pietro.
Giovanni, invece, vi dedica ben 4 capitoli all’interno dei quali pone un lungo discorso.
Per Giovanni questo è il Testamento di Gesù. È interessante notare che queste che sono le parole più importanti di Gesù siano preparate da un gesto sconcertante: la lavanda dei piedi.
L’intera scena è introdotta molto solennemente con frasi poetiche e teologiche profonde.
C’è prima di tutto un richiamo alla “sua ora”: “Quando era giunta la sua ora per essere glorificato”. A Cana Gesù aveva detto a Maria: “Non è giunta la mia ora”. Poi pochi giorni prima dell’ultima cena, quando alcuni greci gli avevano chiesto di poterlo vedere, Gesù aveva detto: “Finalmente è giunta la mia ora”. È l’ora di essere glorificato dal Padre, ma la gloria che riceve non è quella che penseremmo noi fatta di applausi, ma la gloria che deriva dal poter mostrare la sua vera natura, quella del Dio-servo e quella dell’agnello che deve essere immolato.
Poi continua “Avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine”. Il verbo “amare” riempie tutta la vita di Gesù. Il verbo “Agapao”, amare, è quasi sconosciuto nel greco classico ma usato ben 140 volte nel NT e sempre riferito all’amore di Dio, all’amore di chi si sente felice nel vedere la gioia dell’altro. Bene adesso è giunto il momento di amare i suoi fino al punto massimo oltre il quale non si può andare.
Viene poi introdotta la figura di Giuda che viene presentato come un “Diabolos”, un qualcuno che si mette di mezzo per impedire un rapporto tra Dio e l’uomo. Giovanni ricorda di proposito la figura di Giuda perché fra poco il Maestro si metterà in ginocchio anche davanti a questa persona che non ha accettato il messaggio di un mondo nuovo.
Sono “sdraiati a tavola”. Questa era la tradizione delle persone libere, ricche che per mangiare si sdraiavano comodamente su dei grossi cuscini. Gli Ebrei adottavano questa posa tipica dei Romani, solo per il pasto più solenne dell’anno, quello di Pasqua che celebrava la loro libertà dalla schiavitù d’Egitto. Allora, essendo stesi i piedi erano liberi ed era facile per Gesù fare il giro di tutti i discepoli per lavarglieli.
L’evangelista continua: “Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani, e che era venuto da Dio e a Dio ritornava …” La lavanda è la conseguenza di questa consapevolezza di essere Dio.
Come potete vedere si tratta di una introduzione molto solenne e dal contenuto teologico molto alto: Dio si mette all’opera per mostrare la sua natura.
La descrizione dei fatti è molto lenta e pone attenzione a tutti i dettagli. L’evangelista vuole che questo gesto rimanga impresso per sempre nella testa dei discepoli. Dopo un’introduzione tanto solenne ci aspetteremmo la descrizione dell’istituzione dell’Eucarestia, invece Giovanni non ne parla affatto, ma descrive Gesù che si alza e compie questo gesto. Dalla descrizione si capisce che i discepoli sono molto stupiti, non comprendono cosa sta succedendo. Gesù si alza, “depone le vesti”. Si è tolto la tunica, è rimasto solo con il perizoma. Questa è una cosa che ha di sicuro sorpreso e scandalizzato i discepoli perché quella era la divisa degli schiavi. Questo ci mostra il vero Dio. Non è facile vedere il nostro Dio in colui che appare come il più umile schiavo. Su quella nudità lui metterà il grembiule, segno del servizio, grembiule che non si toglierà nemmeno quando rimette la tunica. Non dimentichiamo che questa doveva essere la cena per celebrare la libertà, l’intervento potente di Dio a favore del suo popolo.
Vi ricordate la parabola in cui un invitato a nozze fu cacciato dalla sala del banchetto perché non aveva l’abito sponsale? Ebbene, al banchetto delle “nozze dell’agnello” l’abito nuziale che anche lo sposo e la sposa devono avere, è l’abito dello schiavo.
Il gesto di lavare i piedi era un gesto tradizionale di accoglienza all’ospite. Indicava anche il mettersi a disposizione dell’ospite. Poteva anche essere un gesto di riverenza della sposa verso il marito o dei figli verso i genitori. Tutti questi aspetti sono presenti nel gesto di Gesù che vuol rivelare la natura del Padre del cielo.
Lo shock dei discepoli lo si capisce bene dalla reazione di Pietro. Quando Gesù arriva da lui, si esprime con una domanda: “Tu lavi i piedi a me?” Gesù sta sconvolgendo l’ordine logico accettato da tutti, cioè che il Maestro sia in alto onorato da tutti. Pietro non accetta questo gesto di Gesù. Era riuscito ad accettare che Gesù parlasse a nome di Dio, ma se questo era vero, in questo momento era Dio stesso che veniva offeso dal gesto di Gesù. Dio deve essere servito e riverito dagli uomini, non può essere il contrario, perché lui è l’Onnipotente e noi i suoi schiavi. Pietro vuole conservare dentro di sé l’immagine che lo ha accompagnato per tutti gli anni, l’immagine della sua tradizione, il Dio degli dei, il Signore dei signori, il Dio forte e terribile. Certamente è difficile conciliare questa immagine con il gesto di Gesù. Noi ci fidiamo di Dio perché è forte e ci proteggerà, come fidarsi di un Dio debole e perdente?
Quello che io faccio, tu ora non riesci a capirlo, lo capirai dopo”. Lo si capirà solo sul Calvario, quando l’amore si mostrerà nella sua pienezza.
Di fronte al rifiuto di Pietro Gesù aggiunge: “Se tu non mi permetti di scendere fino a questo gradino del servizio, non si può realizzare in pienezza la natura di Dio, solo lì puoi conoscere e condividere la sua vera gloria”. Il problema di Pietro, non è nel servire, ma nel farsi servire. Dio ci ha fatti bisognosi del dono dell’altro. Noi vogliamo sentirci autosufficienti, forti, capaci di aiutare gli altri, perché questo ci mette un gradino sopra, siamo più forti di loro; Dio, invece, ci ha creati con il bisogno degli altri e questo ci pone al di sotto di loro. Questo squilibrio richiede uno scambio di amore.
Allora lavami anche il capo e le mani”. Non ha capito niente! Lui pensa alle purificazioni rituali. Gesù spiega che nel mondo nuovo non ci sono più le purificazioni rituali che ci rendono degni di essere ammessi alla presenza di Dio. Noi siamo già degni, per il semplice fatto che Lui ci ha scelti e ci ha serviti, anche se c’è “uno” che questa scelta l’ha rifiutata. L’accenno è chiaramente a Giuda che, vendendo Gesù, ha dimostrato di non voler accettare la logica del nuovo mondo.
Gesù si rimette la tunica e si adagia di nuovo alla mensa. Chiede: “Capite quello che ho fatto per voi?” Questo gesto profetico non è stato fatto prima della cena per prepararla, ma durante la cena, come parte di essa, simbolo e spiegazione di essa.
Giovanni che finora ha notato tutti i dettagli, ora non dice che Gesù, prima di mettersi la tunica, si toglie il grembiule. Quello, la divisa del servo, rimane con Gesù, è per sempre la sua divisa ufficiale, e allora può dire “quello che ho fatto io dovete farlo anche voi”. La lavanda dei piedi non è un gesto di umiltà, non è un’azione fatta una volta e basta. Quella è la presentazione della sua identità, della sua natura che non cambierà mai.
Giovanni non ha il racconto dell’istituzione dell’Eucarestia? La teologia dell’Eucarestia l’aveva già sviluppata al capitolo 6, in occasione della moltiplicazione dei pani e della sua spiegazione nel lungo discorso sul Pane di Vita. Qui c’è l’attuazione pratica, o meglio il volto concreto del gesto sacramentale. L’Eucaristia la si comprende solo se la si accetta come gesto d’amore e di servizio che il Dio-servo fa per noi. Non c’è Eucarestia senza Amore e il vero amore si trasforma automaticamente in Sacramento. Quando dirà: “Fate questo in memoria di me”, cioè ripetete quello che ho fatto, si riferisce anche e soprattutto a questo: l’Amore.

Post popolari in questo blog

Gesù è davvero un re?

I santi, nostri amici

Alle sorgenti della gioia