La lavanda dei piedi: il vero volto di Dio
La kenosi di Dio, onnipotente nel servire. (Gv. 13, 1-20)
Abbiamo sentito nel vangelo
di oggi la prima parte dell’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli. Questa
cena del giovedì santo è ricordata perché in essa celebriamo l’istituzione di
due sacramenti: l’Eucarestia e il Sacerdozio. Ebbene, se guardiamo ai vangeli
si scopre che in Matteo, Marco e Luca vi sono poche righe su questo momento
così prezioso, tutte concentrate sull’istituzione dell’Eucarestia. Giovanni,
invece, vi dedica ben 5 capitoli, e, cosa strana, non vi è accenno all’istituzione
dell’Eucarestia. Egli dedica tutta la prima parte ad un gesto, la lavanda dei
piedi (cap. 13, 1-20), e poi tutto il resto al discorso di addio (capp. 13-16),
ovvero al testamento di Gesù che si conclude con la preghiera sacerdotale (cap.
17).
Il perché Giovanni non
parli dell’Eucarestia può essere facilmente spiegato: egli vi ha dedicato l’intero
capitolo 6, approfitta, invece, di questa cena per presentare un aspetto che
non risulta chiaro negli altri vangeli e che è inscindibile dal sacramento ed è
quello di mostrarci il vero volto di quel Gesù/Dio che ha deciso di rendersi
presente nel sacramento stesso.
La scena inizia con la
lavanda dei piedi, unico gesto della sera e perciò gesto altamente simbolico.
Essa è introdotta in un modo molto solenne.
In questa introduzione si
fa un richiamo alla sua ora: “Essendo
giunta la sua ora …” Di quest’ora abbiamo già parlato presentando le nozze
di Cana: “Non è giunta la mia ora”, quella in cui realizzerà quell’opera di
salvezza che con il miracolo di Cana vuole significare e iniziare . Quando poi,
prima della Pasqua, Filippo e Andrea gli avevano presentato alcuni pagani che
volevano incontrarlo lui aveva risposto: “Ora è giunta la mia ora di essere
glorificato”, ora in cui potrò mostrare veramente il mio volto.
L’introduzione prosegue: “…
dopo aver amato i suoi che erano nel
mondo li amò sino alla fine”. Tutta la vita di Gesù è riassunta nel verbo
amare. È un verbo (Agapàn) tipico del Nuovo testamento e che indica sempre
l’amore di Dio. Questo è ciò che lui ha fatto lungo tutta la sua vita, ed ora è
giunto il momento di amarli fino al punto massimo. A questo proposito Giovanni
ci ricorda che siamo in presenza anche di uno che ha già tradito Gesù e al
quale Gesù laverà i piedi.
Veniamo ora al gesto vero e
proprio. Durante la cena pasquale gli ebrei non stavano seduti a tavola come
siamo abituati a vedere dai dipinti. Essi erano sdraiati, questo indicava che
essi si ritenevano liberi. Questo gesto gli Ebrei l’avevano preso dai Greci: i
padroni mangiavano sempre sdraiati e i servi giravano attorno a servirli. Gli
Ebrei abituati a mangiare seduti per terra, avevano assunto l’abitudine di
sdraiarsi per la cena pasquale perché con essa celebravano la festa che
ricordava la libertà data loro da Dio facendoli uscire dall’Egitto. Essendo
essi sdraiati è stato facile per Gesù fare il giro a lavare i piedi che erano
in una posizione comoda. Gesù, probabilmente, non era al centro ma all’ultimo
posto del triclinio, quello del capo famiglia.
Come abbiamo detto, Gesù è
pienamente consapevole di aver portato a termine la sua missione in terra, e sa
che sta tornando al Padre e che il Padre gli darà gloria per questa sua
missione. Giovanni descrive la scena nei dettagli perché vuole che questo gesto
rimanga per sempre nella mente dei discepoli. “Si alzò da tavola”: questo ha creato sorpresa tra gli apostoli. Dal
racconto si capisce che questo e tutti gli altri gesti successivi creano
stupore perché non sono capiti. “Depose
le vesti”: tutti i dipinti tralasciano questo particolare, forse per un
senso di pudore, ma se Giovanni lo riporta, è perché ha un significato. Gesù si
toglie la tunica il che vuol dire, rimane con il perizoma cioè con l’abito
degli schiavi. Questo è qualcosa che non solo stupisce, ma addirittura
scandalizza gli apostoli. Qui è Dio che si fa schiavo dell’uomo, non è facile
accettare questo volto nuovo di Dio, un volto che sconvolge la mente dei
discepoli. Poi sopra il perizoma “si
mette il grembiule”, l’abito del lavoro, dei servi.
Attenzione alla simbologia.
Vi ricordate la parabola degli invitati alle nozze? Uno degli invitati non fu
lasciato entrare perché non aveva l’abito dello sposo. Tutti per entrare al
banchetto dovevano avere un abito simile a quello dello sposo, abito che veniva
consegnato loro all’entrata, e che rappresentava una certa appartenenza e
somiglianza con lo sposo. Ora siamo al banchetto dell’agnello; se vogliamo
poter partecipare con verità a questo banchetto dobbiamo avere lo stesso abito
dello sposo, di Gesù, e l’abito che Gesù ha preso per questo banchetto è quello
dello schiavo (perizoma) e del servo (grembiule). Pensate a quante volte partecipiamo
alla Messa pieni di invidia, divisione, orgoglio o vanagloria, desideri di
potere, ecc. siamo completamente fuori dalla verità del banchetto, siamo
all’esterno “dove c’è pianto e stridore
di denti”.
Che senso aveva il gesto di
lavare i piedi? È il gesto tradizionale di accoglienza all’ospite. Era anche un
gesto servile, umiliante, doveva essere fatto da servi, oppure da qualcuno
molto legato come segno di riverenza ad esempio dalla moglie verso il marito o
dai figli verso il padre. Tutti questi significati sono presenti. Allora si
capisce la reazione di Pietro.
Nel presentare la scena del
rifiuto di Pietro ci sono parole un po’ misteriose. La lavanda dei piedi degli
altri era stata fatta in silenzio. Sappiamo che Pietro era sdraiato vicino al
Signore e quindi al termine, e lui rompe questo silenzio con una domanda: “Tu lavi i piedi a me?” Ti rendi conto
che stai rovesciando i parametri normali delle cose? Il maestro che si mette
sotto il discepolo?
Pietro sente che in questo
momento tutta la catechesi che lo ha formato per anni e lo ha sostenuto nella
fede per anni adesso viene ribaltata. Lui avrebbe voluto lavare i piedi a Gesù
e non il contrario. Dirà infatti: “io sono pronto a morire per te”. Noi siamo
convinti che deve essere l’uomo a servire Dio. Qui c’è un sottile gioco
psicologico: se Dio è l’onnipotente, il forte, e io lo servo, mi guadagno la
sua protezione, mi sento sicuro, posso in qualche modo reclamare dei diritti
verso di Lui. È questo il Dio amore che vogliamo: un Dio che si può comprare? La
risposta di Gesù è: Per adesso non riesci a capirlo, lo capirai dopo quando sul
Calvario ti mostrerò fino a che punto può arrivare l’amore di Dio. Se tu non ti
lasci lavare i piedi non hai parte con me. La condivisione con me avviene solo
se io riesco a scendere fino all’ultimo gradino, quello del servo, se il mio
amore, è veramente gratuito.
Noi facciamo fatica a
servire, ma facciamo ancora più fatica a lasciarci servire perché ci fa
sembrare bisognosi, incapaci, dipendenti. Facciamo fatica ad accettare un Dio
così perché la nostra logica è quella dello scambio, che mi fa sentire protetto
e in posizione di controllo. La logica nuova di Gesù è quella dell’amore
gratuito. Io ricevo gratuitamente e questo suscita in me non il desiderio di
ripagare ma di imitare cioè ridistribuire ad altri quanto ho ricevuto con la
stessa dinamica di gratuità. Pietro vorrebbe donare la sua vita per Gesù ma
Gesù dice il contrario: Io dono la mia vita per te.
La seconda risposta di
Pietro indica che non ha capito. “Lavami
anche la testa”, cioè segui pure i riti vecchi della purificazione. No! Chi
ha capito la logica del servizio non ha più bisogno dei riti di purificazione
perché è già nel nuovo regno.
“Poi si rimette le vesti” (attenzione! Non si è tolto il grembiule,
rimane il servo) e si adagia di nuovo alla mensa. Poi chiede: “Avete capito quello che ho fatto?” Il
suo non è stato un gesto introduttorio, ma un gesto fatto durante la cena,
quindi è un segno importante. Cioè quello che Gesù ha fatto non è un
introduzione che ci permetta poi, con il resto del discorso, di capire Dio, ma
è l’identità stessa di Dio. Tutto il discorso successivo sarà la spiegazione di
tale identità. Giovanni non ha bisogno di riportare l’istituzione
dell’eucarestia, non solo perché, come abbiamo già detto, lo ha fatto al
capitolo 6, ma anche perché per lui le due cose coincidono: l’Eucarestia è il
sacramento dell’amore, del servizio. Noi diventiamo uno (siamo in “comunione”)
con Dio, se ne assumiamo il volto, l’identità, cioè se come lui ci facciamo
schiavi e servi.