E se lo sentiamo assente?
Testimoni anche nei giorni feriali. (Gv. 21,1-19)
Il vangelo di oggi, se preso alla lettera presenta molte contraddizioni
rispetto a tutti gli altri racconti evangelici di ciò che è accaduto dopo
Pasqua. Inoltre leggendolo bene si vede che è un racconto pieno di simbologie
bibliche. Tutto questo ci dice che per intendere bene il messaggio di Giovanni
dobbiamo prendere questo racconto non come una cronaca ma come un racconto
didattico per passarci un importante messaggio per la fede.
Presentiamo alcuni di questi simboli. Il capitolo precedente aveva
parlato di due apparizioni avvenute entrambe in casa e di domenica, come se
volesse presentare la prassi di molti Cristiani di incontrarsi nel giorno del
Signore, e terminava con l’invito che Gesù aveva fatto agli apostoli perché
andassero in tutto il mondo ad annunciare il mondo nuovo. Ora vediamo gli
apostoli al lavoro, in un ambiente aperto, lontani da Gerusalemme, come se si
fossero dimenticati del comando del Signore. L’evangelista ce li presenta un
po’ svuotati, come se fossero lì non sapendo cosa fare, come se avessero
dimenticato l’incarico ricevuto da Gesù. Inoltre si trovano in riva al mare di
Tiberiade. Questo nome è pagano, tutte le altre volte il lago era chiamato mare
di Galilea o di Genesareth. Giovanni ci sta chiedendo: è possibile incontrare
il Signore anche lontano dalla Chiesa, nei giorni feriali, immersi nel lavoro,
in un mondo che è sempre più pagano? Spesso noi ci lamentiamo di quanto la
nostra società sia secolarizzata e quanto questo sia di ostacolo all’essere
buoni cristiani, ma a dire il vero la società atea non può essere per noi un
ostacolo alla fede, ma bensì la ragione per essere veri cristiani. Siamo qui
perché è proprio qui tra i pagani che il Signore ci ha inviati ad essere
modelli di vita. Pensiamo a quanti cristiani vivono la loro fede, il loro
rapporto con Dio come se fosse una cosa relegata alla domenica durante la S.
Messa.
“Gesù si manifestò così”. Non si dice che loro lo hanno visto ma che Lui
si manifesta, e naturalmente di nuovo non lo riconoscono perché come capita a
molti non si aspettano di trovarlo in questo luogo, quindi Lui passa davanti
agli occhi e loro non ci fanno caso.
Si parla di 7 apostoli (7 indica sempre la perfezione). 5 di loro sono chiamati per nome, persone che
conosciamo bene e caratterizzate da caratteri completamente diversi tra di
loro: Pietro uomo comunitario ma che fa fatica ad uscire dagli schemi
tradizionali, Tommaso, amante del Signore ma molto intellettuale nella sua fede
e con difficoltà a stare in comunità, Natanaele, uomo di per sé giusto ma un
po’ passivo, i figli di Zebedeo dal carattere forte, intransigente, malati di
protagonismo, e altri due che non nomina come per dire a noi: se non vi
riconoscete in nessuno di quelli sopra, comunque ci sono anche gli altri, cioè
ci siete anche voi.
Pietro dice: “Io vado a pescare”. Lui è il capo del gruppo ma non ordina,
dà l’esempio e gli altri lo seguono.
Qui c’è un’altra contraddizione: di solito la pesca è abbondante di
notte, qui invece di notte non prendono nulla, di giorno sì. Inoltre si
meravigliano del miracolo, eppure Gesù lo stesso miracolo lo aveva già fatto
all’inizio, quando li aveva chiamati. La notte, il buio rappresentano sempre
qualcosa di negativo, l’assenza di Dio, specialmente nel vangelo di Giovanni.
Quando noi lavoriamo senza Dio, nonostante tutte le nostre capacità, non
otteniamo nulla. Ecco perché Gesù chiede: “avete qualcosa da mangiare?” cioè
qualcosa di vostro da aggiungere, fatto da voi senza di me? La risposta è
“No!”. Quando viene l’aurora, cioè quando nella nostra vita entra la luce di
Cristo allora tutto diventa possibile e molto efficace. Quindi la rete si
riempie di grossi pesci.
Noi pretendiamo di cambiare il mondo ma spesso lavoriamo solo con risorse
umane, economiche, politiche, senza la luce che ci viene da Cristo e i nostri
sforzi non portano frutto.
Inoltre Gesù invita gli apostoli a gettare le reti dalla parte “destra”,
cioè dalla parte buona. Il loro istinto li aveva portati a gettare le reti
dalla parte cattiva. Noi dobbiamo costruire sulla parte buona di noi stessi
anche se spesso il nostro istinto ci farebbe agire sotto la pressione della
parte peggiore di noi stessi, quella ferita o quella egoista, quella arrivista
ecc.
Una terza contraddizione molto significativa la si ha in quello che fa
Pietro ora. Di solito quando si lavora di notte si è vestiti perché il vento è freddo, ma se ci si vuol buttare
in acqua allora ci si spoglia. Qui Pietro fa il contrario. Come nell’ultima
cena la veste è il simbolo della personalità. Il Pietro sulla barca è il Pietro
che stava agendo senza Cristo e quindi nudo, ma riconosciuto il Maestro ne
assume subito la veste, quel grembiule che nell’ultima cena Gesù si era messo
per lavargli i piedi, per indicare che si era reso servo e che proprio Pietro
aveva in un primo tempo rifiutato. Con essa si getta nelle acque del battesimo
per uscirne rivestito di Cristo.
Gli altri arrivano pian piano con la barca anche perché non erano
lontani. Questa barchetta piccola e fragile e quella rete che sembra spezzarsi è
la Chiesa che anche se sembra incapace di contenere tutti i pesci, però li può
portare tutti a riva. Ci sono varie interpretazioni su cosa significhi 153
grossi pesci, ma alla fine pur per strade diverse tutte concludono nel dire che
questo numero rappresenta la totalità della popolazione del mondo. Ebbene
questa rete che era pesante per gli apostoli, ora Pietro da solo riesce a
portarla a riva.
Arrivati a riva “vedono la brace con sopra pane e pesce”. Questa parola “fuoco
di brace” è usata una sola altra volta nel vangelo ed è il fuoco di brace
attorno al quale si era seduto Pietro nel cortile del Sinedrio quando stava
rinnegando Gesù. Quindi Pietro non vede Gesù, vede la brace della sua
debolezza, ma sopra di essa si sta cuocendo il pane dell’Eucarestia e il pesce,
il icqus, che è l’acronimo di Gesù salvatore. E a questi simboli eucaristici che
Gesù ha preparato per loro Gesù invita ad aggiungere del loro pesce. La loro
salvezza richiede anche il loro contributo, l’Eucarestia si costruisce col
contributo di tutti anche se la parte essenziale è il contributo di Dio.
Il vangelo sarebbe
già sufficientemente ricco e profondo se si fermasse qui, e invece va avanti
con un altro episodio inaspettato. Dopo aver mangiato assieme, ricordiamoci che
nel vangelo il mangiare assieme rappresenta sempre la comunione, un momento di
conversione,e prefigura sempre l'ultima cena e quindi l'Eucarestia, il
banchetto eterno, ebbene Gesù prende in disparte Pietro e gli pone una domanda
imbarazzante: “Mi ami tu più di costoro?” Avrebbe potuto dire: Mi ami, e
sarebbe stata una domanda generica, ma il dire più di costoro indica che vuol vedere
se Pietro è degno di prendere il posto di leader del gruppo. Infatti subito
dopo aggiunge: Prenditi cura di queste mie pecorelle”. Non è una domanda
semplice buttata lì a caso. Per di più la domanda è ripetuta tre volte. Nel
mondo ebraico una cosa ripetuta tre volte aveva il senso della totalità, del
valore massimo, perfetto. Questo è un punto imbarazzante per Pietro perché
mentre sa di amarlo, sente anche profondo nel cuore di essere indegno di tale
amore perché lo ha tradito. Infatti l'averglielo chiesto tre volte gli ricorda
le tre volte in cui al momento della passione lui lo ha rinnegato. Gesù gli sta
chiedendo: il tuo amore è più forte del tuo rinnegamento? Il tuo volermi
seguire ad ogni costo è più forte dei tuoi peccati? Saresti quindi capace di
prenderti la responsabilità di guidare questi miei fratelli nonostante i tuoi
sbagli e le tue cadute? Io mi fido di te e non do importanza alle tue cadute,
ma tu saprai essere costante? È una domanda forte di sincerità, di costanza, e
di umiltà.
E non è ancora
tutto. C'è un ultimo aspetto che per essere compreso deve basarsi sul testo
originale greco di questo brano. Nella lingua greca ci sono varie parole che
indica quello che noi oggi chiamiamo amore. Tra esse c'è il verbo Agapao (usato
solo in ambito cristiano) che indica l'amore perfetto, come Dio solo sa, e il
verbo Fileo, che è un amore umano, più debole e imperfetto. Per rendere
semplice la cosa potremmo dire un Amore con la A maiuscola e un amore con la a
minuscola. Ebbene in queste tre domande del vangelo di oggi Gesù dice mi Ami
tu? (Agapao, amore perfetto) e Pietro risponde: ti amo (fileo, amore imperfetto).
Va bene, ti affido la missione, ma mi Ami tu (Agapao, amore perfetto) e Pietro
risponde di nuovo ti amo (fileo, amore imperfetto). La terza volta è Gesù che
usa la parola fileo e quindi dice mi ami tu (fileo, amore imperfetto). Quindi
Pietro si sente pieno di vergogna non solo perché le tre domande di Gesù gli
ricordano le tre cadute, ma anche perché si rende conto della sua incapacità di
raggiungere il livello che Gesù vorrebbe da lui e vede che è toccato a Gesù
abbassarsi al suo livello. Allora risponde: Signore tu sai tutto, tu lo sai che
il mio amore è limitato. Gesù riconferma per la terza volta la missione:
Prenditi cura delle mie pecorelle. Non importa chi siamo o come siamo, l'amore
del Signore sa superare tutti i nostri peccati e le nostre debolezze ma vuole
che il nostro cuore sia rivolto a lui e non si stanchi mai di tornare a lui, ma
con umiltà. Niente paura ma niente superbia. Siamo servi, servi indegni ma Gesù
è il nostro Signore e in lui ci possiamo gloriare.