Incontrare il Risorto per poi partire.
Dall’esperienza
del Risorto alla Missione. Gv. 20,19-31
Siamo alla sera del
giorno di Pasqua. Nel vangelo di oggi non si dice che nel cenacolo c’erano gli
apostoli o i dieci, si parla di discepoli, quindi il messaggio che Giovanni
vuol dare non si rivolge solo agli Apostoli
ma a tutti i discepoli cioè le modalità e le difficoltà nell’accettare il
risorto è un’esperienza che tutti i discepoli fanno o devono fare.
È già sera quindi i
presenti hanno già sentito cosa hanno detto le donne e hanno già visto la tomba
vuota, eppure hanno le porte chiuse per timore. È normale avere paura sapendo
che i Giudei li perseguiterebbero, il problema è che questa paura impedisce
loro di andare fuori ad annunciare. Ci troviamo di fronte all'avvenimento più
importante della storia e loro sono i discepoli, coloro che hanno condiviso con
il Signore tre anni, che sono stati i più diretti testimoni delle parole e dei
fatti di Gesù, che sono stati scelti direttamente da Gesù, preferiti a molti
altri, che hanno lasciato tutto per seguirlo, eppure fanno ancora fatica a
credere e hanno paura
Hanno paura di
coloro che si oppongono al messaggio di Gesù. Anche gli uomini di Chiesa alle
volte hanno paura di chi non accetta la proposta di uomo nuovo che essi fanno.
Di fronte a chi vive in modo diverso spesso ci si chiude, ci si arrocca perché
pensiamo di non saper dare le ragioni delle nostre convinzioni. La paura è
sempre una cattiva consigliera perché chi ha paura smette di dialogare e tende
ad imporre le proprie idee. Nei secoli ci sono stati momenti in cui la Chiesa
ha avuto paura della scienza, delle scoperte, dei cambi culturali, delle
novità, persino della democrazia. Anche oggi ci sono delle paure perché la
società è sempre più restia di fronte alle richieste esigenti del vangelo.
Come mai i
discepoli la sera di Pasqua hanno paura? Manca loro la luce del risorto che
deve illuminare ogni momento delle nostre scelte. Non è la stessa cosa parlare
del risorto, credere al risorto e aver fatto esperienza del risorto.
Si dice che Gesù “venne in mezzo” a loro. Qui non si dice
che compare per poi scomparire, la sua è una presenza che rimane. Per esprimere
questa presenza Giovanni usa il verbo “l’hanno visto” o meglio si è fatto
vedere. In greco ci sono tre verbi che in italiano traduciamo con “vedere”;
essi indicano tre gradi diversi di visione. Il primo è il vedere solo
esteriore, legato ai sensi, poi c’è un secondo che è legato alla conoscenza,
cioè un vedere a cui fa seguito una riflessione e un aumento di conoscenza, poi
c’è il terzo che è legato a vedere qualcosa che gli occhi materiali non possono
verificare: è lo sguardo della fede. Nel vangelo di oggi si usa questo terzo
verbo. La sua è una presenza che supera tutti i limiti del nostro mondo,
spazio, tempo ecc.
Il risorto dice “pace a voi” e poi mostra le mani e il costato.
Di solito chi vuol farsi riconoscere mostra il volto, qui invece Gesù vuol
farsi riconoscere per qualcosa di più profondo. Ricordatevi che anche la
Maddalena e i discepoli di Emmaus, pur avendo visto il volto della persona di
fronte a loro non lo avevano riconosciuto. Allora, mostrando le mani e il
costato, non è che voglia mostrare la sua corporeità risorta cioè far vedere
che è ancora quello di prima che è tornato tra noi. No! È già entrato nel mondo
definitivo di Dio in cui entreremo tutti noi. Lui mostra le mani e il costato
come indicatori di qualcosa più alto.
Le mani indicano le
azioni, le opere che uno compie. Le folle si meravigliavano dei prodigi
compiuti dalle mani di Dio, le mani imposte sui bambini, sui malati, o che lavavano
i piedi. Ma queste mani sono state inchiodate da chi ha mani che distruggono,
piene di violenza, mani che non donano ma si accaparrano e vogliono bloccare
l’azione di Gesù.
Poi mostra il
costato da cui uscirono sangue e acqua. Il sangue indica la vita donata per
amore, mentre l’acqua è la vita nuova dello Spirito.
Queste mani e questo
costato devono essere la carta d’identità di ogni figlio di Dio, persone che
devono agire soltanto per amore. Ma queste mani e questo fianco sono feriti per
amore, feriti da chi lotta contro l’amore. La pace che Gesù sta offrendo andrà
assieme alle ferite, non le nega e non le cancella, neppure la resurrezione ha
cancellato queste ferite. La resurrezione dà la forza per accoglierle, per
superare il dolore, il blocco, per far aprire le porte. Le ferite non
spariscono ma diventano una forza, un'arma potente.
I discepoli nel
vedere questa identità del risorto gioiscono perché ora si sentono di nuovo
introdotti nella vita nuova dei figli di Dio.
Poi il risorto
dice: “Come il Padre ha mandato me io
mando voi”. Li manda perché mostrino al mondo la vita nuova, vita di chi
vuole costruire un mondo di pace e amore non di violenza, un mondo in cui si
realizzino le opere di Dio, in cui si porti a compimento l’opera di Dio.
Gesù, nella sua
vita, ha potuto agire così perché mosso dallo Spirito, e questo Spirito ora lo
trasmette ai discepoli. Qui Giovanni usa il verbo “soffiare” lo spirito. Questo è il verbo che nell’AT si usa solo per
la creazione di Adamo “soffiò nelle sue
narici” e da Ezechiele quando lo Spirito soffia sulle ossa inaridite e le
riporta in vita. Animati da questo Spirito che il Signore ci ha donato dobbiamo
anche noi vivere una vita nuova e portarla al mondo. Il saluto di Gesù, da
solo, non ha cambiato i Discepoli; essi sono gli stessi di prima. Quello che ha
reso possibile il cambio è la venuto dello Spirito Santo. Si tratta di un
cambio non fisico, ma un cambio di fede che non toglierà le difficoltà ma darà
la forza di affrontarle, accettarle, sublimarle, offrirle. Le difficoltà e le
persecuzioni diventeranno il carburante che farà funzionare il motore della
crescita della Chiesa degli inizi.
Quindi pace e
Spirito Santo sono doni in funzione della nuova vita, della nuova missione,
dell'andare.
In questa missione
ha una parte centrale il potere, che Gesù dà loro, di rimettere i peccati.
Perdonare i peccati, letteralmente “portar
via” vuol dire far scomparire dal mondo tutto quello che il peccato ha
causato. Hanno ricevuto lo Spirito e ora si devono dar da fare per spazzare vie
le opere del peccato: l’ingiustizia, l’egoismo, lo sfruttamento, la divisione,
ecc. Se non riusciamo a fare questa pulizia nel mondo è perché nel nostro agire
non ci lasciamo guidare dallo Spirito.
Tommaso è assente
quella sera e dubita di tutto quello che gli altri gli raccontano. Non è solo
lui l’incredulo. In tutti i Vangeli si vede che tutti i discepoli hanno fatto
fatica ad accogliere questa notizia della risurrezione, infatti in varie parti
si parla di dubbi. Quindi non è solo Tommaso, ma tutti. Lui, come tanti di noi
si chiede: Quali sono le ragioni che mi possono indurre a credere al risorto?
Oggi è ancora possibile credere? Ci sono delle prove che ci mostrino il
risorto?
Tommaso è chiamato
col nome di “Didimo”, il gemello;
Giovanni lo chiama così ben tre volte. Tommaso è il gemello cioè è uguale agli
altri discepoli. È gemello anche nostro perché anche noi dubitiamo con lui.
Attenzione non è gemello di chi se ne va dalla religione o dalla Chiesa arrabbiato,
di chi disprezza quanto si fa o ciò che la religione dice. No! Lui non è
scappato, si è allontanato per un momento perché magari non capisce certe
scelte ma ancora crede e ama Gesù. Non dimostra disprezzo ma solo un momento di
difficoltà e poi torna perché sa che lì può trovare qualcosa di cui ha
ancora bisogno.
Nel vangelo c’è
scritto che i discepoli gli “dicevano”;
non è un’azione statica ma un verbo continuativo, continuavano a raccontare la
loro esperienza. Lui vorrebbe qualche prova concreta, non un racconto, ma le prove
che lui vuole non sono possibili perché qui non si tratta di cose materiali ma
di qualcosa che appartiene ad un altro mondo: l’esperienza la deve fare
personalmente per poter arrivare a credere. Quindi Gesù si presenta anche a lui
e usa sempre le stesse parole: “Pace a
voi”. Il risorto non rimprovera ma dice “pace” anche quando si trova in presenza
di chi arriva con debolezze .
Poi gli dice di
mettere la sua mano nelle ferite. Questo invito è per tutti noi, cioè ci chiede
di mantenere il nostro sguardo fisso su quelle mani e su quel costato di cui
ora conosciamo il significato. Se noi ci riusciamo, durante la settimana, nella
vita quotidiana, ogni volta che facciamo una scelta avremo di fronte il modo di
agire del Signore e il suo amore che ci dà una vita nuova, cioè un modo nuovo
di scegliere, priorità nuove.
La professione di
fede di Tommaso è la più bella di tutte: “Mio
Signore e mio Dio”. Chi è che
comanda nella mia vita? Su cosa baso tutto il mio essere e il mio agire?
Buona domenica
della “Misericordia”.