Il cammino salutare delle sconfitte. 3
Nella tua debolezza mostrerò la mia forza
- 3 parte
E
noi?
- Incapaci di pregare e di agire.
L’aspetto più intimo del nostro rapporto con Dio si chiama
preghiera. Tutti siamo chiamati a pregare, non solo, ma a tutti è
offerta la possibilità di contemplare. Eppure la nostra preghiera è
piena di distrazioni, di pensieri che si inseguono senza ordine;
sembra che nel tempo di preghiera ci sia spazio per tutti ma non per
Dio. Perché tutto questo?
Abbiamo bisogno di purificare il nostro modo di pensare e il fare
l’esperienza della nostra impotenza è l’elemento che ci aiuta di
più.
La freddezza e l’aridità ci dicono che forse dovremmo imparare a
lasciarci trasportare dalle onde dello Spirito invece di faticare a
nuotare nella direzione che riteniamo più opportuna. Ci preoccupiamo
di quello che dobbiamo dire o vogliamo dire e dimentichiamo di far
parlare lui. Ci spaventiamo di tutti i pensieri che tornano alla
mente mentre preghiamo e dimentichiamo che Dio è presente in tutte
le cose, vuol entrare in tutti i momenti della vita e quindi questi
pensieri che spesso rappresentano le preoccupazioni, il lavoro, le
fatiche, sono aree che Dio ci sta chiedendo di aprire alla sua grazia
beneficante.
Il freddo e il buio della preghiera hanno molte affinità con ciò
che proviamo nel nostro apostolato per cui dobbiamo evitare di fare
una divisione mentale tra l’apostolato e la vita spirituale. È lo
stesso Dio che cerchiamo in entrambe, ed è lo stesso Io che fa
questo lavoro di ricerca. In nome di questa divisione molti arrivano
ad affermare che le attività apostoliche sono un ostacolo alla vita
spirituale, e forse ciò non è del tutto falso. Infatti tante volte
le attività prendono il sopravvento e portano via tutto il tempo e
tutte le forze, però se guardiamo alla vita dei santi scopriamo che
erano tutti uomini di grande azione, anche mistici quali Teresa
d’Avila e Giovanni della Croce. Chi fa una vera esperienza di
preghiera non può fare a meno di reimmergersi nel mondo dove la sua
carica spirituale porterà frutto.
Allora il trucco sta nel passare da una vita incentrata su noi stessi
a una vita incentrata su Dio, tra il lavorare per Dio e il fare il
lavoro che Dio vuole da noi. Per fare questo passo c’è bisogno di
purificazione.
San Paolo dice che la follia di Dio è più sapiente della sapienza
degli uomini, questo significa che non sempre quello che facciamo nel
nostro apostolato, sia pure fatto con le migliori intenzioni, è
genuinamente secondo la volontà di Dio. Ci viene in aiuto Marta:
essa era affaccendata a preparare tante cose per il Signore, quale
cosa più nobile di questa, eppure il Signore la sgrida, perché da
lei vorrebbe qualcosa di diverso.
Quando ce ne accorgiamo subentrano le frustrazioni. Esse sono
l’occasione migliore per crescere, per rettificare il nostro modo
di agire. Spesso non ci accorgiamo che le critiche che vengono mosse
da varie parti al nostro apostolato sono strumenti usati da Dio
stesso per farci fare questo cammino di purificazione.
Abbiamo bisogno di imparare il "discernimento" che potremmo
definire come il punto in cui la preghiera si incontra con l'azione.
Quando riusciamo a subordinare tutto al vero scopo (servire Dio),
vuol dire che siamo sulla strada giusta, ma questa umiltà si
acquista solo attraverso la notte oscura della preghiera.
Finora Marta aveva lavorato per Gesù, ora lui ha parlato e lei è in
crisi perché ha capito che forse non era quello il regalo che Gesù
voleva. Questa crisi è un momento di grazia per Marta perché se
riesce a passare attraverso questo momento, a saper accettare la
sofferenza della sconfitta, a recuperare la pace essa comincerà a
fare il lavoro di Dio. Tutto dipende da come essa saprà reagire.
Essa non cresce più attraverso le soddisfazioni del lavoro ma
attraverso le frustrazioni che pian piano riesce a superare. (Sembra
che più si cresce spiritualmente e più queste apparenti
frustrazioni crescano).
Di solito si pensa che le frustrazioni siano opera del diavolo, e
quindi si accrescono gli sforzi nel lavoro. Pian piano si arriva a
scoprire che possono venire da Dio e allora si comincia a pensare che
tutto il tempo speso finora sia stato inutile. La frustrazione
diventa senso di sconfitta. Secondo San Giovanni della Croce molti si
fermano a questi punti della preghiera. La svolta è arrivare ad
accettare la frustrazione come mezzo per la mia crescita.
Frustrazioni che ci purificano
Ci sono tre tipi di frustrazioni che si incontrano nel cammino
apostolico. Le possiamo riassumere così:
A - Non sapere cosa fare o dire
B - Sentire il rifiuto dei nostri sforzi e il mettere in dubbio le
rette intenzioni del nostro agire, fatto da uomini buoni e pii (come
per Marta il rifiuto espressole da Gesù).
C - Essere trascurati e considerati nulla.
A - Il primo lo potremmo chiamare essere pronti a non essere pronti.
Nell’Apostolato e nella vita di preghiera, all'inizio normalmente
ci si sente efficaci e realizzati. È la grazia di Dio che agisce e
ci sostiene perché sarebbe pesante per noi lavorare su tutti i
fronti, non siamo ancora esperti. Poi si prova un alternarsi di
successi e insuccessi, e anche questo ci deve richiamare che dobbiamo
abbandonarci in Dio e lasciar fare a lui. Più si va avanti e più si
presentano incidenti di percorso cioè cambi improvvisi di programma,
ritardi, che spesso si abbattono sui nostri progetti. Questi
imprevisti non dipendono da noi, ma da mille fattori esterni. Il
problema è che non siamo preparati.
Di fronte a tante porte chiuse non dobbiamo affannarci a cercare di
aprirle ma immergerci nella scoperta delle cose che ci sono dietro le
porte aperte. Se mi lascio trascinare dallo Spirito Santo, scopro di
poter essere efficace nonostante la mia impreparazione.
B - Il primo tipo di tenebra poteva essere imbarazzante ma una volta
che si è capito come funziona si riesce a procedere bene. Il secondo
è un po' più doloroso: essere rigettati in quelle cose che
riteniamo le nostre intenzioni migliori. Questo può darci spesso
l'impressione di essere dei falliti. È l'esperienza che leggiamo in
alcuni passaggi della 2 Cor. Questa volta le difficoltà vengono da
fuori e non da dentro noi stessi. So di essere preparato, so di fare
bene il mio lavoro, ma poi vengo criticato di essere superbo,
indipendente, di agire per interesse.
In questo caso potremmo trovarci in crisi anche quando la vita di
preghiera sembra andare bene.
Un tipo di sofferenza potremmo averla alle volte quando troviamo
difficile comunicare con gente che è lontana dal nostro modo di
vedere le cose da un punto di vista religioso, gente fredda o che non
sa pregare, o che non apprezza la spiritualità, ma che magari è
legata a noi da amicizia o parentela o lavoro.
Ma la sofferenza più grande è quando non riusciamo a comunicare con
gente che sembra addentro alla preghiera come noi. Se entrambi
abbiamo dato la vita a Dio, perché il nostro modo di concepire i
valori non è uguale?
Di sicuro Marta si aspettava da Gesù un complimento, non un
rimprovero. Ricordiamo anche la critica rivolta a Gesù dai suoi
paesani. Gesù deve essere rimasto meravigliato dall'incredulità dei
suoi parenti e amici.
Spesso chi mi ascolta dà per scontato quello che dico o faccio e
quindi alla fine ho l'impressione di essere poco efficace mentre con
chi non mi conosce la cosa è diversa. Spesso sperimentiamo
incom-prensioni, non accettazione, non valorizzazione tra confratelli
nelle stesse comunità e persino tra i superiori.
C - Infine possiamo pensare di essere considerati inutili, incapaci,
e quindi che le critiche di cui sopra siano sparite, non perché mi
sono fatto capire, ma perché non valgo niente.
Questo tipo di purificazione è molto importante per la nostra vita
spirituale. Non impareremo mai a sufficienza ad abbandonarci in Dio,
e a capire le vie che lui vuole usare per purificarci.
La sofferenza viene perché non ci decidiamo a lasciar andare, ad
arrenderci totalmente a Dio. Lui un po' alla volta ci purifica da
questa resistenza attraverso la notte oscura.
Amare
è dare agli altri potere su di me.
Tutte
le volte che si parla di Dio si parla di amore. Se noi siamo chiamati
a condividere la vita di Dio, siamo chiamati a vivere secondo
l’amore. Naturalmente non voglio fare un trattato sull’amore cosa
che diventerebbe lunga e fuori posto, ma solo accennare ad un aspetto
interessante. Quando cominciamo ad amare una persona, gli diamo
potere su di noi, gli diamo il permesso di farci soffrire, di
comandarci e questo non perché l’amore in sé voglia dire
comandare, ma perché quando si ama viene di conseguenza il fidarsi
dell’altro, il preoccuparsi per lui, il condividerne la situazione
e anche il soffrire se da parte sua non vediamo una corrispondenza o
addirittura se cogliamo un rifiuto. Chi non ha fatto esperienze del
genere nella sua vita? Tutti sanno che amare vuol dire essere
disposti a soffrire. In un certo senso, umanamente parlando, l’amore
ci indebolisce, ci rende meno inattaccabili e meno sicuri. Affidiamo
agli altri la nostra felicità.
San
Paolo, nel suo inno all’amore della prima lettera ai Corinzi, parla
delle caratteristiche dell’amore, ed esse sono tutte
caratteristiche che all’occhio degli uomini sono debolezze:
pazienza, benignità, calma, mitezza, pensar bene, coprire il male,
sperare ecc.
Chi
è disposto a fare questo cammino oggi?
Questa
è la strada che Dio ha scelto nei nostri confronti. Lui che mai
potrà rifiutarci ha accettato il rischio di essere rifiutato da noi.
E la verità vi farà liberi.
Mi chiederete: che centra questo? La frase è presa dal vangelo di
Giovanni e suona così: “Se voi rimarrete nella mia parola sarete
veramente miei discepoli e conoscerete la verità, e la verità vi
farà liberi”.
Ogni persona è chiamata a realizzare pienamente se stessa perché è
chiamata a vivere con Dio e Dio non vuole delle mezze persone. Molte
persone e anche molti religiosi vivono continuamente in atteggiamento
di crisi forse perché inconsciamente temono di non poter essere
felici, di non poter realizzare noi stessi.
Due sono i padroni della nostra vita: l’intelligenza e i
sentimenti. Dobbiamo imparare a coordinare i due. Quando uno dei due
prende il sopravvento subentrano problemi. La verità di cui parlo è
prima di tutto la capacità di mettersi davanti a se stessi e senza
paura chiedersi: cosa voglio? Cosa amo? Dove sto andando? Cosa vuole
Dio da me?
È facile mentire a se stessi o meglio cercare mille scuse, mille
impegni per non fermarsi a pensare. Così facendo creiamo delle
illusioni che ci possono lasciare tranquilli per un momento ma non
risolvono i problemi. Solo la verità ci farà liberi e la verità è
mettersi di fronte a Dio e creare con lui questo rapporto di
amicizia. È un lavoro di coscienza.
La verità va a braccetto con l’umiltà che non è un negare le
nostre doti, ma al contrario un riconoscerle, riconoscere da dove
vengono e quindi la necessità di farle fruttificare. Per la persona
veramente umile c’è poca tranquillità. Certo che Dio ci chiama a
qualcosa di molto più alto della situazione in cui vorremmo rimanere
sprofondati a piagnucolare su noi stessi. Lui ci chiama a vivere, a
correre, ad essere felici, ad essere uno con Lui.