Anche noi in missione

Dodici + 1, tu.                 Marco 6,7-13

 Nel brano di oggi vediamo che Gesù invia i suoi discepoli nei vari villaggi dei dintorni. Questa missione ha due scopi: prima di tutto far loro sperimentare in pratica quello che finora avevano imparato guardando e ascoltando Lui, poi ha anche lo scopo di preparare la gente per la sua venuta annunciando: “il Regno dei cieli è vicino”. Vi ricordate che domenica scorsa Gesù era andato a Nazareth e lì i suoi compaesani non avevano voluto lasciarsi coinvolgere da questo messaggio. Ora Gesù cambia tattica, manda avanti a sé gli apostoli.

Dalla presentazione di Marco risaltano subito alcuni aspetti principali necessari a tutti coloro che vogliono essere testimoni di Cristo nel mondo.

Il primo aspetto riguarda il modo in cui sono inviati. Ci sono tante raccomandazioni di andare con semplicità, sobrietà, quasi povertà: “Ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche”. Perché? Per due motivi. Primo per essere credibili, per far vedere al mondo che la Parola che annunciano è al centro del loro interesse, è la priorità. Noi parliamo più con l’esempio che con le parole e le persone devono vedere quali sono i nostri veri interessi. Ci sono tante persone oggi, che utilizzano il nome cristiano solo per interessi personali. C’è un proverbio orientale che dice: se un dito indica la luna, gli stolti guardano il dito. Spesso nella nostra predicazione facciamo di tutto per attirare l’attenzione su noi stessi e con tutte le nostre esteriorità distraiamo i nostri ascoltatori che non sentono più Dio che parla nel loro cuore.

Noi dobbiamo essere testimoni chiari e credibili, coerenti in quello che diciamo e facciamo, far vedere che ci fidiamo della Divina Provvidenza.

Il mondo di oggi ha bisogno di testimoni perché molte persone, anche se sono cristiani di nome, non sanno più chi è Dio e non ne conoscono il messaggio di salvezza. Chi lavora nelle scuole o nella catechesi può constatare che spesso i ragazzi a cui parla non sono per niente interessati a ciò che si insegna, non apprezzano i valori che presentiamo. Ci sono poi persone (e sono la maggioranza), che con la Chiesa non hanno più collegamento. Essi non vengono né a sentire le mie prediche né partecipano alle catechesi o agli incontri parrocchiali; probabilmente da anni non entrano in una chiesa. Queste persone, però, incontrano voi tutti i giorni per strada, sul posto di lavoro, magari sono anche vostri parenti o amici.  Essi sanno e devono sapere che siete cristiani, non tanto per quello che dite, ma per come vivete e agite. Il Cristiano non è colui che annuncia il messaggio cristiano a parole, ma colui che lo incarna.

Come discepoli di Gesù noi siamo in cammino sulle sue orme. Gli apostoli non sono stati mandati a nome loro e neppure per fare ciò che desiderano; è Dio che li manda, quindi Dio provvederà loro di tutto quello di cui hanno bisogno. La sobrietà di vita è un’arma indispensabile per l’apostolo perché più siamo attrezzati, più risaltano le cose materiali e umane e Dio viene messo in secondo piano. Più ci sentiamo bravi, capaci, attrezzati, più diventiamo indipendenti, più attiriamo l’attenzione su di noi, invece che sul messaggio di Dio.

La sobrietà di vita, non è importante solo per noi, ma anche per chi ci guarda, perché non si facciano illusioni. Ci potrebbero essere persone che cominciano a frequentare la Chiesa o addirittura entrano in un convento, per cercare successo, comodità, ricchezza. Quando vede la povertà in cui viviamo, se ha intenzioni sbagliate, se ne va.

Gesù ha detto agli apostoli di portare solo una tunica, un solo modo di presentarsi alla gente, non come chi  in casa ha un pensiero, in chiesa ne ha un altro e quando è con gli amici o sul posto di lavoro, un altro ancora. Ci sono molti che sono cristiani a compartimenti stagni; su alcune idee sono papalini e su altre dicono peste e corna degli insegnamenti della Chiesa. Queste divisioni a compartimenti, questi doppi sensi e compromessi, questo utilizzo sbagliato della religione, sono i demoni contro cui Gesù ha dato, agli apostoli, il potere di lottare.

C’è poi scritto che Gesù non li manda da soli ma a due a due. Nel Nuovo Testamento non si inviano mai delle persone da sole, ma a due a due. Essere in coppia, è simbolo di credibilità, comunità, essere parte di una chiesa. Il cristianesimo non può essere vissuto da singoli, bisogna essere in comunità perché il suo messaggio cristiano non è un affare privato, e, se vuol essere vero, non può essere basato solo sulle parole, sulle prediche, sulle catechesi di uno. Chi testimonia è parte di una comunità, di una famiglia e il messaggio è centrato sull’amore. Allora l’andare in due rende visibile questo aspetto famigliare attraverso l’aiuto vicendevole, la collaborazione tra i due, la condivisione, tutti sono elementi importanti di ogni rapporto di amore. Noi siamo chiamati a fare parte di questa comunità, non di un gruppo o di una massa ma di una famiglia, cioè una struttura basata su unità d’intenti e amore vicendevole.

Dobbiamo sottolineare anche lo scopo della missione: “Diede loro il potere sugli spiriti immondi”. Immondo è tutto ciò che è contro la vera vita, cioè tutte quelle strutture, atteggiamenti, di cui ci siamo rivestiti e che ci impediscono di vivere liberi cioè di amare. Abbiamo già accennato alle divisioni all’interno del nostro pensiero e del nostro agire; aggiungiamo ora ogni tipo di divisione o discordia esterna che impedisce la promozione delle persone e l’unità. Il Regno di Dio sarà veramente tra noi, solo quando l’amore regnerà, cioè quando toglieremo tutti i nostri stili di egoismo, divisione, giudizio, orgoglio, eccetera.

Un ultimo aspetto, infine, riguarda la capacità di entrare in rapporto con le persone a cui li manda. “Dovunque entrate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì”. Gesù invita i discepoli ad entrare nella casa, cioè nel contesto di vita delle persone e lì soffermarsi. La missione del testimone non è una toccata e fuga, una predica e poi chi si è visto s’è visto. Non è neanche un lavoro da professore che insegna dall’alto, ma un mettersi in relazione alla pari con le persone. Un vero testimone, dato che il contenuto della testimonianza è l’amore, deve dare spazio all’ascolto, all’interessarsi degli altri, al farsi aiutare dagli altri, lasciarsi coinvolgere. Se poi qualcuno questo coinvolgimento diretto lo rifiuta, allora sarete giustificati a volgervi dall’altra parte, non perché rifiutate quelle persone ma perché rifiutate il loro stile di chiusura all’amore.

La nostra testimonianza diventa vera ed efficace quando è cosciente che è Dio che agisce per mezzo di noi (cf. 1a Lettura di Amos) e quando tende a mettere Cristo a capo di tutte le cose (cf. 2a lettura di Efesini 1). L’essere dei veri Cristiani non porta appagamento, remunerazioni, soddisfazioni, comfort esterni; non viene per farmi più ricco. Ci chiede di non giocare un ruolo duplice, ambiguo. Ma se noi accettiamo la sfida postaci da Gesù abbiamo la garanzia di trovare in Lui la nostra gioia e la nostra realizzazione.

 

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