La vera fame
Gesù lo mangiamo o lo sfruttiamo? (Gv 6,24-35)
Il brano del Vangelo di oggi è l’inizio del lungo discorso sul Pane di Vita che ci accompagnerà nelle prossime domeniche. Tale discorso, per essere compreso nel suo vero significato, deve essere collegato con i due segni straordinari che ne fanno da preparazione e che troviamo all’inizio dello stesso capitolo 6 di Giovanni.
Il primo è quello che abbiamo letto domenica scorsa: Gesù prende 5 pani e due pesci e li condivide con la folla che ne riceve a sufficienza per essere sfamata. Con questo segno manda un chiaro messaggio: la soluzione dei problemi umani come quello della fame e della povertà si può trovare solo se entriamo nella mentalità del dono e della condivisione. La gente sembra non aver capito e cerca Gesù per farlo re. Gesù si ritira sul monte da solo a pregare mentre i discepoli, che avevano compreso cosa Gesù intendesse, entrano nella barca e attraversano il mare (segno del desiderio di conversione). Nella traversata, però, incontrano una forte tempesta che sembra sopraffarli. È il simbolo dei dubbi, della lotta interiore che deve combattere chi vuole incamminarsi dietro a Gesù e prendere sul serio la sua proposta di vita. La crisi si risolve solo quando Gesù va loro incontro camminando sulle acque e loro lo lasciano entrare nella loro barca (vita).
Ora sono a Cafarnao e la gente ritorna alla carica ma Gesù è scoraggiato perché si rende conto che essa non ha capito il senso del suo messaggio e lo ricerca per il motivo sbagliato. Allora va subito al punto importante: «Voi mi cercate, non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati»; voi non siete riusciti a cogliere il senso del miracolo, non avete fatto il passo dal naturale allo spirituale, vi siete fermati alla piccola soddisfazione della pancia piena e volete rimanere lì.
Gesù non ci chiede di trascurare la fame fisica o di fare rinunce insensate; lui stesso prima di invitarli a ricercare prima di tutto la spiritualità ha riempito i loro stomaci con pane materiale. Nel Padre nostro ci invita a chiedere il pane quotidiano, ma nella misura sufficiente per controllare il bisogno umano. C'è però un grosso pericolo: Se ci limitiamo ad aspettare i miracoli, dopo un po’ ci abituiamo ad essi e dimentichiamo tutto ciò che essi veramente significano; quando poi chiediamo qualcosa e non lo otteniamo, allora perdiamo la fede. I bisogni materiali vanno soddisfatti ma nella giusta misura perché non ci facciano dimenticare o non offuschino i bisogni spirituali. Nella prima lettura abbiamo visto che il popolo ebraico, stimolato dalla mancanza di cibo, stava cominciando a mettere in dubbio l’altro grande dono che Dio aveva loro dato: la libertà; stava dimenticando tutti i prodigi avvenuti per averla. Ora rimpiangeva la schiavitù che almeno garantiva uno stomaco pieno, cioè erano disposti a ridurre il valore della loro vita alla mera soddisfazione della loro fame.
Le attese di questa folla sono le nostre attese. È come se chiedessimo indirettamente: “Gesù, continuerai ad essere il mago che può risolvere gratis tutti i nostri problemi?” La soluzione dei nostri problemi non sta nella magia, ma nel mettere ogni bisogno al suo posto giusto, secondo la giusta gerarchia, dando preferenze alle cose veramente importanti. Troppo persone, anche oggi, ricercano il Signore solo per dei piccoli problemi concreti che non sono i veri problemi della vita. Questo avviene perché la natura umana è debole e soggetta a molte emozioni ed esigenze.
Gesù risponde: «Procuratevi non il cibo che perisce ma quello che dura per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà». Non ricercate da Gesù la soluzione degli affari terrestri. Lui vuole darci un nutrimento completamente diverso. Solo quando saremo nutriti di cibo vero, cioè, attraverso la spiritualità, saremo capaci di capire il vero senso e le vere priorità della vita, allora le altre forme di fame troveranno soluzione.
Quante persone riducono gli sforzi della loro vita a soddisfare una particolare esigenza terrena dimenticando o anche compromettendo tutto il resto. Potrebbe trattarsi di cibo, ma anche di ricerca di notorietà, di posizione sociale, di carriera, o anche più semplicemente un interesse come uno sport o un hobby, ma nel nome del quale ci rimettono la famiglia, le relazioni con gli amici, il tempo dovuto alla preghiera o alla carità, eccetera. Questi, più che bisogni, sono delle dipendenze e sempre ci svuotano e ci rovinano. La fede, però, non può limitarsi alle nostre emozioni o necessità. Dio esiste e si prende cura di noi nella buona sorte come nella cattiva.
Gesù invita i suoi uditori ad accettare la sfida della libertà che non è mai un essere senza bisogni, ma un essere staccati dalle cose, senza dipendenze, perché con mente aperta si possa guardare a tutto e si possa scegliere, in modo responsabile e consono, ciò che veramente è meglio per noi, ciò che ci fa crescere in umanità e in completezza, considerando “tutte” le componenti della nostra vita.
La folla allora domanda a Gesù: «Cosa dobbiamo fare?» il che sembra voler dire: noi siamo brava gente, veniamo alla sinagoga tutti i sabati, facciamo tutte le preghiere rituali, seguiamo tutte le leggi della religione, cos’altro dovremmo fare? La risposta di Gesù è chiara: «Credere in colui che Dio ha mandato». Il credere non è un accettare che Dio esista, quello è facile e quasi scontato; credere vuol dire fidarsi di Lui, accogliere il suo modo di pensare e di vivere, fare nostra la sua proposta di vita dove al centro di tutto sta l’amore, l’uscire da sé e dai propri desideri per andare incontro all’altro, condividere con lui quello che abbiamo perché la condivisione ci fa simili a Dio e quindi realizza la nostra vera natura. Credere vuol dire che mi gioco la vita su quello che tu mi chiedi di fare. È una proposta molto impegnativa e la gente pur non capendo il tutto, capisce, però, che Gesù esige da loro dei cambiamenti importanti. Essi non sono disposti a farli così gratuitamente senza sapere cosa ci guadagnano, hanno paura e allora chiedono dei segni. Gesù rifiuta di basare la fiducia in Lui sui miracoli, sarebbe un ricadere nella magia. Lui vuole amore, non commercio. La gente continua a pensare che il pane che viene dal cielo sia quello materiale e quello che Dio ci dà siano solo le cose fisiche che riempiono i nostri desideri di ogni giorno. Ma Dio non ci imbroglia perché sa che queste cose alla fine periscono e ci lasciano vuoti. Quando ami o ti fidi o non ti fidi. Lui non dà segni, dà se stesso; prendere o lasciare!
Il vero innamorato non vuole segni dall’altro, sa solo che non può essere felice senza l’altro. Quindi lui di segni non ne dà ma presenta se stesso come segno, o meglio come pane.
Alla fine del brano Gesù ci dà una chiave di lettura del suo pensiero. “Io sono il pane della vita”. Gesù dona se stesso come cibo che può soddisfare tutti i bisogni dell’uomo. Sta entrando nel discorso che proseguirà nelle prossime domeniche, sull’Eucarestia, il sacramento dell’amore. Nella prima lettura Dio soddisfa la richiesta del suo popolo mandando loro la manna. “Man ha?” Cosa è mai questo? È il nome di un cibo che non rientra in nessuna classificazione culinaria e neppure scientifica, eppure riesce a soddisfare la loro fame e non solo quella, ridà la forza di camminare, la speranza di arrivare alla terra promessa, la fiducia in Dio, eccetera. La manna, cibo inclassificabile, con delle proprietà che vanno aldilà di quello che si può vedere, è la prefigurazione dell’Eucarestia, il cibo che soddisfa perché ci mette in comunione con Dio. Solo che, andando avanti nella lettura del libro dell’Esodo, vediamo che ad un certo punto, gli Ebrei cominciano a dare per scontato questo cibo facile, a viverlo senza fede e a stufarsene, reclamando qualcosa d’altro. Anche noi abbiamo fatto diventare l’eucarestia, una cosa abitudinaria che non ci nutre più perché non ci rendiamo più neppure conto di che cosa abbiamo fame.
Solo se facciamo posto nella nostra vita a Dio stesso che si presenta come amore, che si dona a noi e che ci dà la capacità di donarci agli altri, inizieranno in noi delle dinamiche di vita nuova, di vita piena, soddisfacente, realizzante. Solo così noi riusciremo ad uscire da tutte le routine che un po’ alla volta creano dipendenze e ci svuotano per fare spazio alla novità che ogni giorno l’amore ci presenza. Solo così saremo veramente ciò che dobbiamo essere: immagine di Dio.
I Giudei dicono: «Dacci sempre questo pane». La voglia, l’insaziabilità dell’uomo che vuole sempre. Avevano già dimenticato la lezione di domenica scorsa. Gesù aveva dato loro pane in abbondanza, ma come lo aveva donato? Attraverso quello che loro prima avevano donato a Gesù, i cinque pani. Il pane che ci sazia per la vita eterna, Dio ce lo dà, ma porta nutrimento in noi solo se noi cominciamo a donare lo stesso pane a Lui. Il suo amore in noi ha effetto se noi cominciamo a condividere questo amore con gli altri.