Maria madre e discepola di Gesù

Maria Madre e discepola di Gesù.

                                                             

Stamattina abbiamo parlato delle Beatitudini e abbiamo detto che esse sono il distintivo dei discepoli di Gesù. Ora vogliamo vedere come Maria ha vissuto questo stile di vita indicatoci da Gesù. Naturalmente sappiamo che essa viveva molte di queste cose, prima ancora che Gesù le pronunciasse, e forse, come madre, lo avrà aiutato a riflettervi e a formularle.

I Vangeli ci presentano Maria come modello per tutti i Cristiani, e soprattutto per noi che vogliamo essere strumenti nelle mani di Dio.

In tutti i momenti della vita di Maria si vede il suo atteggiamento di “discepola del Signore”. Io porrò l’accento, soprattutto su un aspetto importante: qual è il suo ruolo nel piano di Redenzione di Dio?

Prima però vediamo alcuni atteggiamenti caratteristici della Madre di Dio che ci possano ispirare nel nostro essere seguaci di Gesù.

Lo stile di Maria

Con una presentazione veloce potremmo dire che un primo atteggiamento che ha caratterizzato Maria è stata la sua “capacità di ascolto”. Maria sa riconoscere ed ascoltare la voce di Dio e vi aderisce con fede. L’ascolto fatto con fede chiede che si aderisca a quanto ci viene detto. Da questo scaturisce il suo sì all’annuncio dell’Angelo.

L’adesione al piano richiede un impegno attivo, allora parte per Ain Karim, intercede a Cana.

Esso poi diventa operativo quando offre Gesù ad Elisabetta e, a Betlemme, lo offre all’umanità affamata di Lui.

L’ultimo aspetto, quello forse più alto dal punto di vista della sua spiritualità, è quello dell’unione mistica con Lui e questo lo vediamo durante la passione.

Analizziamo brevemente questi aspetti.

Il silenzio e l’ascolto.

Maria vive in un atteggiamento adorante che si guarda bene dal rovinare l'opera di Dio con ogni falso protagonismo privo di umiltà. In tutte le cose che stavano succedendo, avrebbe potuto mettersi avanti, gloriarsi, e ne avrebbe avuti tutti i diritti. Avrebbe potuto spiegare, e ne avrebbe avute tutte le ragioni, e invece lei vive con umiltà, silenzio e adorazione.  Le uniche parole che abbiamo di Maria sono rivolte all’Angelo, per chiedere indicazioni su cosa fare, ad Elisabetta, sotto forma di preghiera di lode a Dio, e a Gesù, nel tempio e a Cana. Non parla ai pastori, non parla a chi sta crocifiggendo suo figlio.

Anche nei momenti difficili come il dubbio di Giuseppe, la profezia di Simeone, sul Calvario, Maria non chiede spiegazioni, non si lamenta, non dà spiegazioni agli altri. Il suo atteggiamento è quello della meditazione, ascolto, offerta. Lei ha uno stretto rapporto con Dio, non con i fatti o gli uomini.

Nel Vangelo di Luca ci sono tre frasi particolarmente illuminanti al proposito:

- 2,19 “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. Siamo a Betlemme quando i pastori vengono a vedere il bambino e narrano degli angeli. Maria avrebbe potuto confermare le loro storie raccontando del suo incontro con l'Angelo. Invece no; rimane in silenzio, prega e fa tesoro. Fino a pochi istanti fa, dentro di lei c'era Gesù stesso, adesso quel tabernacolo non rimane vuoto ma comincia a riempirsi della sua vita, della sua parola, per il momento in cui sarà chiamata a consegnare anche questo tesoro, cioè tra i discepoli dopo l'ascensione di Gesù al cielo.

2,33 “Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di Lui”. Qui siamo al tempio. Hanno ascoltato le parole di Simeone e Anna che non sono due ufficiali del tempio ma due devoti. Anche a loro Maria avrebbe potuto dare una parola di conferma, invece si limita a stupirsi. La scoperta di Cristo e lo svilupparsi del suo mistero produce sempre delle novità, ogni giorno richiede che ci mettiamo con “stupore”. Lo stupore non è sempre frutto della meraviglia di fronte a una cosa bella (come l’esperienza che i pastori ebbero dopo l'annuncio degli angeli), ma può essere frutto del trovarsi di fronte a qualcosa difficile da accettare, doloroso, impegnativo, di cui non capiamo il senso. Ricordiamo che Simeone profetizza a Maria la spada che le trapasserà l'anima.

2,48 “Al vederlo restarono stupiti… non compresero le sue parole… Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore”. Siamo ancora nel tempio ma a distanza di 12 anni. Il soggetto di fronte a loro è Gesù stesso e ancora una volta quello che è successo è qualcosa di strano, diverso. Qui Maria esprime la preoccupazione sua e di Giuseppe. Di fronte alla risposta sconcertante di Gesù che ricorda loro che sono solo strumenti, facilitatori, Maria si pone ancora in atteggiamento di stupore, ascolto, riflessione: fa tesoro.

VC 38 ci dice: “La chiamata alla santità può essere accettata e coltivata solo nel silenzio e nell’adorazione”.

Considerando che di Maria si parla relativamente poco, il fatto che questo atteggiamento sia ribadito per ben tre volte, vuol dire che è importante. Questi passi poi sono paralleli a Lc 8,20. “Mia madre e i miei fratelli coloro che ascoltano la parola e la mettono in pratica”. Adesso capite che in quel momento Gesù non ha per niente offeso la richiesta della Madre di vederlo.

Quindi, alla nascita di Gesù, molti avvenimenti avrebbero potuto fare di Maria una star. Lei li vive con stupore e riflessione; il suo è un cuore dedito alla riflessione degli avvenimenti, lo tiene puro dalle tentazioni di scoraggiamento e disperazione. Lascia posto alla fede che è l’unica risposta ai dubbi.

Ecco allora il primo punto: il silenzio e l’ascolto generano un’obbedienza che non vuol dire capire il senso di quel che ci viene chiesto, ma capire che rientra nella volontà di Dio. Non so dove andrò a finire, ma se c'è Dio di mezzo tutto andrà bene. Non so cosa farò, ma se c'è Dio ci metterà una pezza lui. Non so che senso ha, ma se Dio è là non ha senso andare in direzione opposta.

Quindi l’obbedienza non è passività, ma si trasforma in gioia di accettare, di partecipare.

“E se ad obbedire ci rimetto, allora cosa succede?” Se lo scopo della mia vita è Dio, allora a seguirlo non ci rimetto nulla perché i miei talenti sono stati dati da Dio per il suo lavoro e quindi adatti a fare quello, non ad andare contro di Lui.

Maria non è rassegnata o passiva, lei chiede. La sua domanda, però non è fatta per porre una condizione o un ostacolo, ma per chiedere una chiarificazione su come dovrà agire. Lei non dice “non posso diventare mamma perché ho deciso di rimanere vergine”, quello che dice è: “Nella mia preghiera, ho capito che Dio vuole che io rimanga vergine ed ora Dio mi chiede di avere un figlio, allora in che direzione mi devo muovere per essere sicura di fare la volontà di Dio?” L'adesione a Dio è già data, si tratta ora di capire i dettagli pratici.

Obbedienza operosa

Questo ci mette di fronte al secondo aspetto importante: l’obbedienza è operosa.

Maria ha appena saputo dall'angelo che sta per diventare la madre del Messia. Ha saputo poi che anche Elisabetta è incinta. Entrambe sembravano destinate a rimanere senza figli: Maria per scelta, Elisabetta per l'età e per altri problemi fisici; ora tutte e due portano in grembo il frutto di un miracolo. Allora Maria sente la necessità di condividere l'esperienza del miracolo.  La comunicazione della fede, il condividere con gli altri le esperienze dell'amore di Dio ci fa crescere e fa crescere anche chi ci ascolta.

Maria porta ad Elisabetta la ragione della sua gravidanza. Zaccaria, nonostante il suo essere muto, le avrà spiegato quanto aveva sentito dall’angelo, ma essa cosa avrà capito? In concreto cosa bisognava fare? Cosa succederà? Maria le porta la risposta concreta. Gesù dà senso all’essere di Giovanni e quindi alla gravidanza di Elisabetta.

Papa Francesco ha definito il viaggio di Maria sulle colline di Giuda, la prima processione del Corpus Domini della storia.

Ma c’è un aspetto interessante da non sottovalutare: Maria, dopo aver dato l’annuncio, non torna a casa, ma si ferma per tre mesi. Che cosa avrà fatto lì? Quello che ora Elisabetta non riusciva più a fare, cioè pulire, cucinare, mettere in ordine la casa. Gesù, in Maria, fin dal suo concepimento si fa servo e lavora per l’umanità, nelle piccole cose concrete di ogni giorno.

Maria ci dona Gesù

Un altro punto è quello dell’offerta, che è più del semplice servizio. Abbiamo già parlato di Maria che offre Gesù ad Elisabetta, ora voglio dire due parole su quello che è successo a Betlemme. «E Maria diede alla luce suo figlio», lo rende presente, presenza vera in carne e sangue, e «lo depone nella mangiatoia», nel luogo del cibo. Prima di tutto ricordiamoci che Betlemme vuol dire “casa del pane”. Notiamo che la parola “mangiatoia” è ripetuta ben tre volte in poche righe. Uno come Luca, sempre attento a ciò che scrive, non può averlo fatto a caso. La ripetizione è segno che lui voleva dare un messaggio. Maria riempie il cestino vuoto di un'umanità affamata, con il pane della vita. Quell'umanità affamata di Dio che, da oltre due secoli, pregava e implorava da Dio la venuta del Messia, ora sta avendo una risposta alla sua fame, ma una risposta che avrà la sua manifestazione piena nel Cenacolo e si realizzerà sul Calvario. L'Eucarestia, è il sacramento dove il cibo si rende vera carne e sangue di Cristo, e Cristo si rende vero cibo posto sulla mensa per essere mangiato. Gesù dice: «Prendete e mangiate il mio corpo offerto in sacrificio per voi».

Il culmine della vocazione di Maria: l’unione mistica col Figlio

Ma veniamo al punto centrale del Mistero di Dio e della vocazione di Maria: il contributo dato da Maria al piano della Redenzione. Naturalmente la Redenzione è dono di Dio ed è opera esclusiva di Cristo con la sua morte e resurrezione, ma come in tutte le cose, Dio si serve, il più possibile, di noi uomini. Lui ci vuole rendere partecipi del suo piano perché è un piano d'amore e l'amore non può mai essere a senso unico, anche se è amore totale, anzi, proprio perché è amore totale coinvolge in tutto l'amato.

Tutti siamo chiamati a partecipare a questo piano attraverso i nostri sacrifici, il nostro amore, le nostre opere buone. Esse hanno valore redentivo non in se stesse ma in virtù dell'unione con Cristo a cui ci portano. È quello che normalmente viene chiamato il “tesoro della Chiesa” su cui si basa la dottrina delle indulgenze, la preghiera per le anime del purgatorio, ecc. Ricordate la frase di S. Paolo: “Completo con le mie sofferenze, quello che in me ancora manca delle sofferenze di Cristo”.

La nostra salvezza non è mai solo una questione individuale, siamo tutti parte del corpo mistico di Cristo. Allora se l'amore è importante, chi ha amato di più avrà avuto un ruolo più importante.

Nella sua attività all’interno del piano di Dio, Maria non si limita a relazionarsi con gli uomini ma diventa vero ponte verso il Figlio.

Il suo ruolo nel piano della Redenzione era iniziato nel momento del suo sì all'angelo perché quello ha reso possibile la venuta del Redentore. Poi prende forma durante i momenti vissuti assieme nei trent'anni del nascondimento di Nazareth: l'educazione, le cure, il lavoro, la vicinanza, l'unione dei cuori, specialmente in occasione della morte di Giuseppe. Questo è stato un cammino di crescita nella fede. Ma forse, il momento più alto è stato accettare che Gesù prendesse la sua strada, perché, in un certo senso, questo significava una separazione, e un incamminarsi verso quel destino che avrebbe provocato che la spada le trafiggesse il cuore.

Maria avrà avuto paura? Certo, come donna e anche come madre, e avrà insegnato a Gesù ad avere paura. Questo è un sentimento umano importante: paura del pericolo, paura della sofferenza, sua e di suo figlio. Se non c'è paura non c'è fede, non c'è amore. La fede non cancella le fragilità umane, ma dà la forza per superarle. La paura potrebbe bloccarci, impedirci di agire, allora rimane umana ed è negativa, oppure può diventare fonte di fede e di abbandono in Dio.

Dopo la partenza del Figlio, Maria rimane attiva. La vediamo a Cana, dove forse si stava sposando un parente e dove lei, probabilmente era tra le persone incaricate della cucina o del servizio. Qui essa intercede per i commensali che hanno terminato il vino. Maria si fa intermediaria. Prima di tutto va detto che nella mente dell’evangelista, in questo caso Giovanni, lo scopo dell’episodio non è farci vedere che Maria può intercedere per noi. Questo aspetto lo vedremo sul Calvario, ma qui Giovanni vuol farci vedere che Maria, come rappresentante dell’umanità, interviene per collaborare col piano di salvezza di Dio. Per non dilungarci troppo su questo fatto, faccio una panoramica dei segni presentatici da Giovanni. Come sapete, nell’Antico Testamento il banchetto rappresenta la festa eterna che noi siamo chiamati a condividere con Dio e il vino rappresenta ciò che rende gioioso questo banchetto. Ora il popolo eletto ha finito il vino della fede e il banchetto della loro unione con Dio è triste. Maria invita Gesù ad inaugurare il piano della Redenzione che potrà riportare la gioia vera. Le parole di Gesù ce lo spiegano. «La mia ora», di cui parla, è quella del capitolo 13 «sapendo che era giunta la sua ora...» e 17 «Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo», l’ora della passione, e la parola «Donna» che egli usa è l’anticipo di quella che userà nel capitolo 19 sulla croce, mentre sta realizzando il piano di salvezza.

Quello che io voglio sottolineare, è la sollecitudine di Maria nel mettersi all’opera nel piano di Dio.

A Cana Maria invita Gesù ad intraprendere la sua strada e Lui, con la frase «Donna che c'è tra me e te», le ricorda che in questo viaggio saranno profondamente uniti, un piano che è iniziato alle porte del paradiso terrestre. Maria ha vissuto quel momento con una certa paura e questo dà ancora più valore al suo gesto.

Il passo di Giovanni che presenta Maria sul Calvario ai piedi della croce è la continuazione di quello di Cana. Se ci fate caso, Nel Vangelo di Giovanni non ci sono, né l'annunciazione, né degli episodi legati alla nascita o all'infanzia di Gesù, ma Maria appare solo a Cana e ai piedi della croce, nonostante che lui sia l’apostolo che ha vissuto con Maria dopo la Resurrezione («e il discepolo la prese con sé nella casa»).

Questa è l'ora di cui si parlava a Cana e Maria, la Donna, la madre, è lì con il Figlio per schiacciare la testa al serpente. Come vi partecipa? Qual è il suo ruolo? Giovanni Paolo II nell'Enciclica “Redentoris Mater” ha questa espressione: «Soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata», in questo modo Maria «serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce».

Soffrire con il Cristo che soffre, accettare con amore questa sofferenza. È vera sofferenza perché è dettata dall'unione di amore, ma è anche accettazione perché la fede gli dice che questa è la strada scelta da Dio per la salvezza di tanti, compresi quelli che, in quel momento, sono la causa prima di questa sofferenza. Qui si sviluppa il mistero redentivo del dolore. Cristo in croce soffre, da una parte perché il suo corpo soffre: le ferite, il corpo che perde in capacità di sopportazione, ecc., ma soffre anche e soprattutto perché vede che in quel momento in cui sta offrendo tutto per salvare tutti, c'è gente che forse questa salvezza non l'avrà perché si ostina a rigettare la sua offerta d'amore.

Maria diviene «corredentrice» proprio perché entra nel mistero di questa seconda sofferenza di Cristo, la più intima, la più profonda che solo lei, che ha condiviso in tutto il piano del Figlio in tanti anni di vicinanza e condivisione, riesce a capire. È un soffrire, non in sé, ma per il piano della salvezza. Ecco allora che quando suo Figlio le affida l'umanità «Donna (collaboratrice del piano) ecco tuo figlio», lei prende su di sé la premura che nulla vada perso di quel dono che Lui sta facendo in quel momento, e si adopera perché tutti, il più possibile, arrivino ad accettare la passione redentrice di Gesù. Io mi immagino Maria che cammina per le strade di Gerusalemme, o del mondo intero, guardando la gente e dicendo tra sé: “anche questa persona mio Figlio la vuole salvare, anche per lei è morto”. Il povero, l'ammalato, il rifiutato, ma anche e soprattutto il peccatore, il blasfemo, il ribelle, diventano oggetto del suo interesse, della sua premura, del suo amore per trovare un modo per far breccia nel loro cuore perché accettino il Cristo. Non so se avete visto il film “La Passione di Cristo” di Mel Gibson. Dopo la flagellazione portano via Gesù; Maria riesce ad entrare sul luogo e vede il sangue di suo Figlio per terra. Corre, prende uno straccio e comincia a raccogliere quel sangue. Nulla deve essere perso del sangue sparso da suo Figlio. Questa è un’immagine bellissima che ci aiuta a comprendere il posto di Maria in quel grande mistero.

Elisabetta aveva detto: «Beata colei che ha creduto» e questa beatitudine si realizza in pienezza proprio lì, dove il dolore la strugge ma non la schiaccia. Maria, è un “beata” in piena consonanza con le Beatitudini di Mt 5 e Lc 6.

L’unione diventa unità

Durante la Passione di Gesù, Maria avrà ripensato alle parole di Elisabetta come pure alle parole dell'angelo che parlando di Gesù aveva detto «Sarà grande e Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre». Contraddizione? Noi uomini diremmo di sì. Invece no, se i due fatti sono vissuti con fede. La natura umana le ricordava allora le parole di Isaia quando parlava del servo innocente condannato per i peccati di molti. Quanto sono imperscrutabili le parole di Dio, inaccessibile la sua volontà. In quel momento Maria partecipa alla spoliazione del Figlio, lui spogliato dei vestiti e un po' alla volta della vita, lei spogliata dell'onore di essere madre, dell'attaccamento a tutto quello che di umano era rimasto della loro relazione.

Il culmine della scena, non raccontato dai vangeli ma rappresentato da tanti grandi artisti, si ha quando depongono Gesù dalla croce e lei, madre, lo prende tra le sue braccia. Qui c'è il culmine della passione umana, ma anche la morte di essa. Maria racchiude tra le braccia l'uomo e il Dio, e consegna a Dio l'uomo, a cui lei è stata talmente attaccata, in un atto supremo di rinuncia, per rimanere identificata con Lui solo nella missione, nella divinità. Risuonano le parole di Giobbe: «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto. Sia benedetto il nome del Signore».

Non so se avete mai avuto l’occasione di vedere le “Pietà” scolpite da Michelangelo. Senza dubbio conoscete quella in Vaticano, considerata la scultura più perfetta di sempre. Ebbene essa è stata scolpita all'età di 24 anni, all'inizio della carriera, ma molti anni dopo il maestro ne scolpì altre tre. I critici le definiscono opere incompiute, ma Michelangelo non le ha lasciate incompiute perché non aveva la capacità di finirle o perché non gli piacessero, ma perché aveva capito che non poteva dare forme perfette umane dove si celebrava la distruzione dell'umanità. In esse Maria perde la perfezione della bellezza umana femminile e, attraverso il dolore che la deforma, diventa simile, unita, quasi un tutt'uno col figlio che sorregge. Addirittura in una di queste c'è Dio Padre che sorregge entrambi, Maria e Gesù, e lì a fianco c'è il giovane Giovanni che rappresenta l'umanità testimone di questa fusione.

Sempre Giovanni Paolo II dice: «È questa, forse, la più profonda "kenosis" della fede nella storia dell’umanità. Mediante la fede la madre partecipa alla morte del Figlio, alla sua morte redentrice; ma, a differenza di quella dei discepoli che fuggivano, era una fede ben più illuminata. Sul Golgota, Gesù, mediante la croce, ha confermato definitivamente di essere il "segno di contraddizione", predetto da Simeone. Nello stesso tempo, là si sono adempiute le parole da lui rivolte a Maria: "E anche a te una spada trafiggerà l’anima"».

La costituzione conciliare “Lumen Gentium” dice: «Il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l’obbedienza di Maria;».

Anche noi, con la nostra fede ci salviamo, ma con l'unione al sacrificio di Cristo possiamo salvare gli altri. Dobbiamo fare nostro questo sguardo mistico di Maria che vede in ogni suo figlio colui che suo “Figlio” ha voluto salvare.

Sempre Giovanni Paolo II dice: «Quale intesa profonda c’è stata tra Gesù e sua madre? Come esplorare il mistero della loro intima unione spirituale? Ma il fatto è eloquente. È certo che in quell’evento si delinea già abbastanza chiaramente “la nuova dimensione, il nuovo senso della maternità di Maria”. … Nel testo giovanneo, dalla descrizione dell’evento di Cana si delinea ciò che concretamente si manifesta come nuova maternità secondo lo spirito e non solo secondo la carne, ossia “la sollecitudine di Maria per gli uomini”, il suo andare incontro ad essi nella vasta gamma dei loro bisogni e necessità. … Maria si pone tra suo Figlio e gli uomini nella realtà delle loro privazioni, indigenze e sofferenze. Si pone "in mezzo", cioè fa da mediatrice non come un’estranea, ma nella sua posizione di madre, consapevole che come tale può – anzi "ha il diritto" – di far presente al Figlio i bisogni degli uomini.». È come se dopo ogni nostra preghiera Maria dicesse a Gesù: ti ricordi quanto abbiamo sofferto sul Calvario per questo povero nostro figlio? Vogliamo sprecare quello che abbiamo fatto là?

Conclusione

Ricapitolando, qual è l'insegnamento di Maria per noi?

1) Dobbiamo salire il Calvario con lei, accettando le prove, i momenti difficili. Non lasciarci bloccare dalla paura, ma guidare dalla Fede.

2) Lasciarci bagnare dal sangue di Cristo che cade, goccia dopo goccia dalla croce e ci purifica, ci insegna ad accettare con amore le sconfitte, le incomprensioni, le calunnie, le sofferenze. Questi sono i momenti dove ci purifichiamo, ci rendiamo più simili a Lui.

3) Dobbiamo prendere con noi il resto dell'umanità e con essa scendere dal Calvario per rientrare nel mondo e lì sostenerla con Fede, compassione, Amore, perché nulla di quello che Cristo ha redento con il suo sangue vada perduto.

Permettetemi di citarvi un testo scritto dal nostro santo fondatore. Si tratta di appunti buttati giù su un foglio di carta, una riflessione poi buttata nel cestino. Il ragazzo incaricato di vuotare i cestini recuperò i fogli e li passò al vicario che li conservò.

«La perfetta letizia non può essere che nella perfetta dedizione di sé a Dio e agli uomini, a tutti gli uomini, ai più miseri come ai più fisicamente, moralmente deformi, ai più lontani, ai più colpevoli, ai più avversi.

Ponimi, o Signore, sulla bocca dell'inferno, perché io, per la misericordia tua, la chiuda.

Che il mio segreto martirio per la salvezza delle anime, di tutte le anime, sia il mio paradiso e la suprema mia beatitudine.».

 Per la riflessione e la revisione di vita

 Ad alcuni anni di distanza dalla mia prima professione, ho ancora gli stessi sentimenti di quel giorno?

 La mia consapevolezza della volontà di Dio è cresciuta, è la stessa, è diminuita?

 Pensando che ho un ruolo importante nel piano di Dio, come mi sento? (esprimi 3 emozioni, ad esempio: orgoglio, gioia, entusiasmo, indegnità, paura, dubbio, stanchezza, ecc.)

 Sento Dio vicino a me, presente nella mia vita?

 Sento che Dio mi ama, si prende cura di me, oppure è lontano, indifferente, si impone con la sua volontà?

 Come vedo il mio futuro? Con fiducia, con paura, con apprensione?

 Quale è la cosa che mi dà più forza di andare avanti? La mia capacità, le mie qualifiche, la mia preparazione, la mia fede, la mia preghiera, la mia umiltà?

 Quanta importanza ha la mia preghiera personale nel mio apostolato?

 Quanto tempo dedico a riflettere?

 Quanto importante è la Volontà di Dio nelle mie scelte quotidiane?

 Come vedo le persone che mi trovo ad aiutare? Sento per loro pietà, compassione, mi irritano, mi sembrano degli imbroglioni, li sento come fratelli? Riesco a vedere in loro dei figli di Dio?

 Quando ho una sofferenza, fisica, spirituale o morale, come reagisco? A cosa penso?

 
 

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