Servi o Ladri?


Il Servo di YHWH, Giuda e noi.

Nel libro del profeta Isaia abbiamo 4 carmi chiamati del “Servo di YHWH”. La liturgia ce li ha presentati come prima lettura il Lunedì, Martedì, Mercoledì della Settimana Santa e Venerdì santo.

Essi rappresentano un po’ quella che è la vita, il modello di un servo del Signore, cioè si può adattare bene a chiunque ritiene di essere chiamato da Dio a una vita di consacrazione.

Nel primo carme troviamo la descrizione della vocazione. Dio dà un compito specifico alla persona che si è scelto. Nel secondo carme vediamo l’apostolato. La persona che dopo un certo tempo si dice molto contento del lavoro che svolge e di come va la missione. Dio gli rinnova il mandato. Nel terzo vediamo la spiritualità. La persona è ancora contenta della sua missione perché ha trovato nell’ascolto della Parola, la forza per continuare, nonostante che siano iniziate le difficoltà dovute all’opposizione di chi è contro tale missione. Si parla di flagellazione, torture, ecc. Nonostante questo lui rimane fedele, proprio grazie al suo attaccamento alla Parola di Dio. Il quarto ci presenta, invece, il servo già morto. Ora sono altre persone che descrivono l’avvenimento e ne parlano come qualcosa di mai inteso, inaspettato, straordinario, impensabile anche ai re. Tutti lo credevano un buono a nulla, uno stupido o stolto e invece lui si stava facendo carico di tutte le loro colpe ed è morto per i loro peccati. Il suo corpo è stato deformato dalle torture, ha perso tutti i connotati che lo rendevano accettabile agli uomini, eppure proprio quello diventa il suo punto di gloria per cui vedrà la luce e la sua discendenza sarà eterna.

Naturalmente questi 4 carmi si adattano perfettamente a Cristo nonostante che siano stati scritti oltre 500 anni prima.

Con Gesù vediamo tanti discepoli, in particolare i dodici apostoli. Anch’essi possono essere di modello per noi. Non ci sono dubbi che abbiano avuto il miglior formatore possibile (Gesù stesso), che abbiano sentito le migliori lezioni di teologia e spiritualità, dato che per tre anni hanno vissuto a stretto contatto con Gesù, ne hanno visto tutti i miracoli e sentiti tutti i discorsi, oltre agli insegnamenti particolari per loro. Eppure essi mostrano tutte le debolezze tipiche degli esseri umani: orgoglio, paura, gelosia, incredulità, l’oscillarsi tra entusiasmo e scoraggiamento.

Mi voglio soffermare su Giuda perché ci sono due aspetti che mi pongono dei quesiti ai quali faccio difficoltà a trovare risposte. Il primo riguarda lui stesso, il secondo riguarda il comportamento di Gesù verso di lui.

Non ci sono dubbi che Giuda sia stato onesto nell’unirsi ai discepoli di Gesù, che si sia sentito onorato di essere tra i dodici. Non ci sono dubbi che da uomo intelligente e intraprendente abbia seguito bene tutti i discorsi di Gesù e ne abbia visto delle prospettive per la sua vita e il suo paese. Però alla fine qualcosa scatta. Forse si sente deluso? Forse è preso dal panico? L’evangelista Giovanni, arrabbiato verso di lui, lo definisce un ladro, cioè uno che si appropriava dei soldi che non erano destinati a lui. Ma si può essere ladri anche senza toccare i soldi, quando ci appropriamo di altre cose che non toccherebbero a noi; pensiamo alla ricerca di onore, di potere, alla gelosia o all’invidia che ci spingono ad attirare su di noi l’attenzione che dovrebbe essere invece posta su Dio. Pensiamo a quando nelle opere mettiamo noi stessi al centro, posto che apparterrebbe a Dio e ai poveri. Questa sua bramosia di possedere gli fa perdere il valore delle cose. Quando a casa di Lazzaro, durante la cena, Maria entra col vaso di olio profumato, lui commenta dicendo: che spreco, si sarebbero potuti usare i soldi per i poveri, e ne precisa la somma: 300 denari (300 giorni di salario di un servo), ma subito dopo va a vendere Gesù ai Sommi sacerdoti per 30 denari e questi non li dà certamente ai poveri. Il suo Maestro, ora, vale meno di un vasetto di profumo.

E Gesù cosa ne pensa di tutto questo? Senza dubbio si è accorto che qualcosa non funzionava in Giuda. Tutti gli evangelisti concordano nel porre sulla bocca di Gesù, durante la cena, la frase: “Uno di voi mi tradirà” e a segnalare che in qualche modo Gesù dà il via a Giuda per partire. Eppure non interviene a fermarlo, a farlo bloccare dagli altri, a sventarne il piano. Ma c’è molto di più. Nella cena del Giovedì santo noi celebriamo la creazione di due sacramenti molto importanti per la nostra religione: il Sacerdozio e l’Eucarestia. Abbiamo ragioni di pensare che Gesù, pur essendo cosciente di quello che sta per accadere, coinvolge Giuda in pieno anche in questo. Giovanni presenta la lavanda dei piedi come segno di purificazione e servizio e Giuda e tra quelli a cui Gesù lava i piedi. Gli altri evangelisti presentano l’istituzione dell’Eucarestia e la formula sacramentale e Gesù distribuisce il suo corpo e sangue anche a Giuda, addirittura, nel vangelo di Luca è scritto che subito dopo aver “consacrato” e distribuito il pane e il vino, Gesù rivela il tradimento che sta per accadere, come se volesse dire: io il mio perdono te l’ho dato, ora tocca a te decidere da che parte stai. Perché questo atteggiamento da parte di Gesù? La risposta la troviamo forse nel paragrafo che Giovanni ha messo all’inizio della cena, quando dice: “Gesù, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Io credo che Gesù, nell’ultima cena ha impiegato al massimo il suo amore per Giuda, tanto da non guardarne l’indegnità e la pericolosità, ma solo al suo grande bisogno di amore e di perdono. È stato il modo in cui Gesù ha caricato su di sé tutta l’indegnità di Giuda. Sicuramente, mentre era sulla croce, Gesù ha ripensato a Giuda, come pure Giuda avrà pensato a Gesù, ma con la differenza che Gesù muore per lui, per salvarlo, mentre Giuda si sente schiacciato dalla colpa e dal rimorso e muore per non pensare più a Gesù.

Se accogliamo Giuda nella lista dei sacerdoti consacrati all’ultima cena e di quelli che hanno ricevuto e distribuito l’Eucarestia, dobbiamo allora fare una riflessione seria sul nostro essere sacerdoti e consacrati. Questi due sacramenti, che, in quanto tali, sono strumenti di salvezza, non ci risparmiano dal peccato, anzi ci espongono ad esso in modo particolare. Quando noi da sacerdoti agiamo, sia celebrando la santa Messa che altri sacramenti, in modo particolare la confessione, agiamo nella persona di Cristo e diventiamo canali del suo amore e della sua grazia; ma quando noi lo facciamo rinnegando questa sorgente d’amore, lo facciamo con un atteggiamento da ladri, cioè ponendo noi stessi al centro, maneggiandoli come se fossero proprietà nostra, usandoli per accrescere la nostra posizione sociale, allora “l’ex opere operato” funziona e la gente riceve la grazia di Dio, ma noi perdiamo il valore di Cristo nella nostra vita, ci allontaniamo da Lui e rischiamo di fare la fine di Giuda.

Noi siamo abituati a porre al centro delle nostre riflessioni sull’ultima cena l’istituzione di questi due sacramenti, ed è giusto, però, spesso lo facciamo in modo da concentrarci solo su questi due, dimenticando da dove essi vengono e il perché sono stati creati. È come se, per un momento, noi ci dimenticassimo che siamo durante la settimana santa, a poche ore dalla morte di Gesù. Ogni volta che celebriamo l’Eucarestia noi celebriamo il sacrificio della croce! questo non dobbiamo dimenticarlo mai, specialmente noi preti, e così ogni volta che agiamo da sacerdoti, richiamiamo il momento e lo scopo per cui Gesù ci ha resi tali, per continuare la sua missione di amore che ha il suo punto più alto sul Calvario.

A noi ora scegliere se vogliamo essere servi secondo l’esempio del Servo di YHWH o ci lasciamo attrarre dalla tentazione di Giuda.

 

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