Chi non vuole essere felice?


Beati / guai, la realtà della vita del discepolo. (Lc 6,20-26)

Chi di noi non vuole essere felice? La felicità è una tendenza che abbiamo insita in noi stessi. “Beato te!”, o “Beato colui che...” sono frasi molto comuni in ogni cultura e in ogni epoca.
Anche la bibbia usa spesso questa espressione, felici o beati, specialmente nei salmi con le relative indicazioni di come fare per ottenere tale stato di beatitudine o la ragione per cui essa arriva.
Ma da cosa dipende tale stato di beatitudine? E in cosa consiste?
Noi siamo abituati a leggere le Beatitudini presenti nel capitolo 5 di Matteo, e meno spesso queste 4 di Luca, ma a dire il vero queste non sono le sole proclamate da Gesù. Nel corso dei Vangeli la parola “beato” ricorre 45 volte, senza contare le volte in cui si usa la parola opposta “guai!”. Matteo, nel suo vangelo utilizza 8 beatitudini come introduzione a quello che per lui è il discorso programmatico di Gesù. Luca, invece, usa frasi più scarne, 3+1, seguite da altrettanti “guai” dove in pratica ripete lo stesso concetto letto però dal lato opposto. Il vangelo di oggi ci invita a riflettere proprio su queste frasi di Luca.
Non è questo il luogo per fare un’indagine se Gesù abbia pronunciato le beatitudini nella forma lunga e spirituale di Matteo o in quella più breve e concreta di Luca, una cosa è certa ed è che il messaggio di fondo come pure la struttura dei due brani sono i medesimi.
Vediamo ora un po’ più direttamente il messaggio del Vangelo di oggi.
Per capire bene il messaggio dobbiamo guardare prima di tutto a chi sono i destinatari del discorso di Gesù. Il Vangelo di Luca è rivolto a tutte le nazioni, specialmente quelle derivanti dalla cultura greca e quindi a persone che non conoscevano la mentalità e la cultura ebraica. Ad esempio, per Matteo, che scrive per gli Ebrei, essere sul monte indica essere nella posizione di Mosè, il legislatore; per Luca, è importante essere nella pianura vuol dire essere in un luogo dove c’è posto per tutti, la folla rappresenta il mondo intero che viene a sentire la parola di Gesù. Gesù alzando gli occhi, in mezzo a questa folla vede i suoi discepoli, cioè coloro che hanno già fatto la scelta di seguirlo. Ricordate che questo brano viene subito dopo quello di domenica scorsa in cui Gesù aveva chiamato Pietro e i suoi collaboratori ed essi avevano abbandonato la barca e le reti per seguirlo. Gesù dice a loro “beati voi poveri”. Non è una frase generica cioè un dire che tutti i poveri sono beati. A Nazareth lui aveva detto “sono stato mandato a portare il lieto annuncio ai poveri” e questo lieto annuncio non era per dire che sarebbero rimasti poveri. Lui è venuto a riscattarli da quella situazione, ma qui sta parlando a persone precise, persone che per seguirlo hanno lasciato tutto, cioè si sono fatti poveri. In poche parole non è beato il povero di per sé, perché ci potrebbe essere chi questa povertà la maledice, la vive con rabbia, scoraggiamento, odio. Beato, cioè felice, è colui che invece abbraccia o addirittura ricerca una posizione di povertà, cioè un distaccamento delle cose materiali per ricercare qualcosa di più grande che è Gesù.
Attenzione! Non sto dicendo che i beati sono solo quelli che fanno una scelta formale, cioè i religiosi che fanno  il voto di povertà. Quella di Gesù è una richiesta rivolta a tutti quelli che vogliono essere suoi discepoli, cioè i Cristiani. Ma cosa comporta fare questa scelta di povertà? Dobbiamo buttare tutto dalla finestra? No! Gesù non ha mai disprezzato le cose materiali in sé, quello che Gesù intende è verificare  il nostro modo di rapportarci ad esse. C’è chi attacca il suo cuore a cose materiali, piccole o grandi che siano, e ne diviene schiavo: costui è maledetto. Ma c’è chi, invece, si rende conto che i beni non sono suoi, ma sono di Dio e ce li ha dati per l’utilità dell’umanità. I beni sono fatti per essere al servizio di tutti, per costruire relazioni; attraverso la condivisione di essi possiamo mettere in pratica il comandamento dell’amore. Tutto ciò che possediamo, se ce lo teniamo stretto, lo perderemo alla dogana della vita, ma quello che abbiamo trasformato in amore, allora possiamo portarcelo anche di là. Ci sono allora le altre 3 beatitudini che descrivono il modo pratico di vivere la prima. La fame, che non è l’indigenza, l’avere lo stomaco vuoto. Ognuno di noi sperimenta la fame dell’avere sempre di più, del riempirci di tutte le cose che le mode di oggi, la società del consumo ci propongono, e noi questa tentazione la sentiamo in continuazione, ma se siamo coerenti nel nostro essere poveri, cioè distaccati, allora saremo saziati dalla presenza di Dio in noi e dal suo amore.
Beati “voi” che “ora” piangete: non vuol esaltare la tristezza, il soffrire, la tendenza ad essere miserabili, lamentarsi, farsi del male, eccetera. “Ora piangete”, è la scelta che il discepolo fa di seguire Gesù nella costruzione del mondo nuovo, in una realtà in cui il mondo vecchio non si lascia mettere da parte facilmente, ci combatte, cerca fino alla fine di mantenere la sua posizione. Il pianto del discepolo non è tanto la sofferenza fisica ma il pianto di passione per la situazione di questo mondo e il desiderio della sua situazione. Vi ricordate Gesù che avanzando verso Gerusalemme, dal monte degli ulivi vede la città santa, piange per  la sua situazione di rifiuto e ne desidera la conversione. Ebbene, questo vostra sofferenza spirituale, questo desiderio di vedere il Regno di Dio all’opera, sarà consolata, sarà soddisfatta.
La fame fisica come pure il dolore fisico sono invece racchiuse nella quarta beatitudine: “Beati voi quando sarete perseguitati…”. Questa beatitudine è più lunga delle altre e non descrive la condizione attuale “ora”, ma una proiezione futura: “quando sarete perseguitati”. Perché? Come abbiamo già detto sopra, voi volete instaurare il mondo nuovo quello dell’amore di Dio, del servizio, ma il mondo vecchio non ci sta a lasciare il suo posto. La sete di potere, di autoaffermazione, di rivalsa, sono troppo forti in ciascuno di noi e lotteranno fino alla fine per mantenere la loro posizione. La vostra testimonianza cristiana destabilizza la struttura egoistica su cui è basata la società di oggi, allora essa si ribellerà e vi combatterà. La persecuzione è il destino che da sempre caratterizza tutti i giusti, lo dice Gesù parlando dei tanti profeti che furono uccisi dagli Ebrei perché portavano un messaggio diverso. Fu anche la situazione di Gesù che fu messo a morte perché portava un messaggio scomodo per i suoi connazionali che si vedevano spodestati dalla loro posizione di potere. È la situazione di ogni nazione dove all’inizio del cristianesimo ci sono sempre dei martiri.
Mi faccio una domanda: se oggi io sono accettato, non ho nessuna contrapposizione, o se per caso io cerco solo il consenso della gente, non è che, per caso, sto annacquando il messaggio di Cristo e abbracciando la mentalità del mondo? Non è che sto cercando una consolazione terrena invece di quella della fede e della “sequela Christi”? Allora per chiarirci meglio le idee e dare più forza al suo messaggio, Gesù inserisce i 4 “guai.”
Nella bibbia l’espressione “guai a voi” non è una minaccia, ma una constatazione di sofferenza, cioè non si predice una sciagura, ma si parla come se uno si trovasse davanti a una bara e constatasse, “peccato che ha vissuto così ed ora ti rendi conto di dove ti ha portato questa strada che hai scelto”.
La felicità della nostra vita non arriva da quanto abbiamo costruito o guadagnato ma dalla presenza di Dio in noi, dalle grandi grazie che Lui può operare in noi quando gli facciamo posto.

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