Povertà. Conferenza agli studenti di teologia FDP 2014


Breve presentazione del voto di povertà agli studenti.
Istituto Teologico Don Orione di Roma 9 Dicembre 2014.

È difficile mettersi a parlare di povertà, prima di tutto perché c'è il rischio di dire troppe cose, secondo perché c'è il rischio di dire cose che avete già sentito mille volte dal vostro noviziato in poi, infine perché c'è il rischio di fare discorsi aerei che poi non si traducono in pratica. D'altronde basta ascoltare i discorsi di Papa Francesco per capire quanto importante sia il discorso.
Di per sé lo sapete bene dalle Costituzioni, la parte più importante del voto di povertà sta nella dipendenza dal Superiore. Questo vi dice già che taglio deve avere il discorso che non è tanto nella quantità delle cose ma nella libertà interiore. Ma al di là del voto c'è lo spirito di povertà che è la parte più vistosa; difatti Don Orione ha chiesto che si facesse il giuramento di povertà e questo riguarda chiaramente l'aspetto materiale, come pure tutti gli altri numeri di costituzioni e norme.
Io mi permetto di dare un'impostazione più evangelica e più consona alla dottrina di Papa Francesco. Il voto di povertà lo si comprende in tutta la sua profondità a partire dal comandamento dell'Amore. Come il comandamento dell'amore anche il voto di povertà ha due direzioni una verticale cioè rapporto io Dio, uno orizzontale, che è secondo, ma simile al prima perché in pratica ne è la traduzione e riguarda il rapporto io l'altro.
Il Criterio è questo: nessuna cosa materiale deve diventare un ostacolo o ridurre in alcun modo il nostro amore per Dio, in ogni aspetto della vita (Cuore anima/mente forze), e lo stesso dicasi per il rapporto con gli altri: le cose materiali devono essere uno strumento per avvicinarci agli altri non per allontanarci o proteggerci da essi.
Capite che conseguenze pratiche derivano dal partire da questo principio. Devi uscire da te stesso per andare incontro a Dio e all'altro, niente diventa più importante di quello che possiedi se non che è uno strumento per aiutare l'altro.
L'amore è dunque la chiave della povertà, come d'altronde anche degli altri tre voti. Se voi fate un programma di povertà partendo da voi stessi fate come tante persone che fanno la dieta. In due mesi perdono 5 chili, poi quando cominciano a sentirsi soddisfatti del loro risultato, riducono l'attenzione e in men che si dica, senza accorgersi riprendono tutto il peso e diventano peggio di prima. Se voi donate qualcosa di vostro per amore di uno che ne ha più bisogno, beh, vi garantisco, si sparge la voce e in men che si dica vi troverete assediati da gente che chiede, altro che dieta, vi ridurranno a scheletro. Chi ama onestamente diventa necessariamente povero.
Il figlio dell'uomo non ha dove porre il capo: è un'affermazione di mancanza di dimora perché Gesù è sempre in movimento per amare e questo lo rende appunto senza dimora, cioè povero. Facciamo prima una scorsa veloce, senza approfondire, su alcuni aspetti collaterali della povertà, cioè vantaggi che ne ricaviamo.
Un primo aspetto della povertà, vissuta per amore, è quello della Gratitudine. Con questa parola intendo la gioia e l'apprezzamento di quanto c'è senza lamentarsi di quanto non c'è, di quanto ci è dato senza lamentarci che sono cose vecchie, la mania di cambiare cose che ancora funzionano solo perché sono vecchie, ecc. Questo diventa uno strumento per vivere da veri poveri, ma anche un frutto interiore molto bello. Spesso si invoca l'efficienza, il risparmio di tempo ecc . Come ragione per giustificare acquisti di cose nuove. Tutto vero, ma fino ad un certo punto. Una volta si diceva, ad esempio, che un computer più nuovo, più veloce fa risparmiare tempo, ma poi non ci si preoccupa di sprecare ore con lo stesso computer in cose inutili o anche solo per tenerlo a posto. Il programma nuovo che mi permette di ottenere effetti migliori nella musica, nelle foto ecc. Tutto vero, ma io quando lo uso? In coscienza quanto ho bisogno di usarlo? Quanto tempo ci perdo solo per sollazzo personale? Gli smartphone che permettono di essere sempre aggiornati su tutto in qualsiasi istante: quanto ho bisogno di essere informato su tutto? Ormai sono diventate migliaia le barzellette basate sulla gente che è incollata allo smartphone per strada, sulla metro e non si accorge più di chi gli sta attorno, non parla più ecc. Una volta si metteva una specie di imbuto rovescio al collo dei cani perché non riuscissero a leccarsi le ferite. Ora c'è una pubblicità di una persona con lo stesso collare cosicché non può più guardare allo smartphone e la scritta: guarda le persone e le cose che ti stanno attorno.
Un altro punto è che la povertà garantisce l'efficacia della personalità. Gesù dice ai discepoli che invia a predicare: “Non portatevi due tuniche ecc.” cose che appesantirebbero, ridurrebbero la disponibilità apostolica. Quando ho gli attrezzi per tutte le soluzioni mi preoccupo di applicarle, divento dipendente, faccio fatica a gestire gli imprevisti, sono poco adattabile. Quando non ce l'ho dipendo da me stesso e quindi sviluppo le mie capacità come la creatività, dipendo dagli altri e quindi sono forzato ad entrare in relazione, comunione con un altro, dipendo da Dio (Provvidenza).
Una volta un parroco mi ha raccontato che quando trent'anni fa è arrivato in parrocchia, non avevano alcuna struttura, neppure la Chiesa, usavano un salone. La parrocchia era molto attiva c'erano un sacco di incontri per organizzare le varie cose, feste, catechesi, incontri ecc. e di solito quando gli incontri finivano si usciva assieme a bere un bicchiere o magari lo si portava lì ecc. Sono riusciti ad avere dei finanziamenti dalla CEI e a costruire una chiesa bella, grande, con annesse sale per catechismo, impianto audio e video ecc. Gli incontri organizzativi sono spariti, le feste pure, e così le bicchierate o le pizze. La gente ora è occupata a mantenere la struttura che è molto efficiente. Non c'è più niente da preparare tutto è già pronto. Da uno stile di famiglia si è passati a uno di impresa. Io sarei disposto anche a spendere di più per rimanere più povero. Mi spiego: Una macchina nuova, moderna, comoda, costa all'acquisto ma poi consuma di meno, ha meno bisogno di manutenzione della mia vecchia Punto. Basta trovare un benefattore che mi regali quella nuova e il gioco è fatto. Dimentichiamo due aspetti importanti del voto di povertà: la testimonianza (scandalo) che diamo alla gente, e il fattore educativo. La gente è confusa dal consumismo esasperato, è in crisi finanziaria sparata ma non sa rinunciare alle comodità, all'apparenza. Noi religiosi siamo chiamati ad essere provocazione, segno di contraddizione per la mentalità sbagliata del mondo. Allora meglio spendere di più per mantenere la macchina vecchia che mi avvicina di più alla gente, che dare scandalo con macchine grosse, magari ricevute gratis.
Un altro punto è che la Povertà è un investimento. Il vangelo della settimana scorsa sulla moltiplicazione dei pani. Quanti pani avete? Sette. Erano in dodici, non ne avevano a sufficienza neanche per se stessi. Gesù dice: “Datemeli”, e si ritornano con sette ceste piene. Se ci teniamo stretto quello che abbiamo, se pensiamo solo alla nostra fame non ne avremo mai abbastanza. Le cose materiali sono peggio della droga, creano dipendenza. Quando si ha il coraggio di donarle esse si moltiplicano. Attenzione si parla sempre di cose positive, utili.
Un altro punto è che la povertà non solo favorisce il rapporto con gli altri ma anche la vera stima di sé. A mio parere molte strutture, gadgets, ecc. sono surrogati per una mancanza di capacità di amare che vogliamo nascondere. Io questa la chiamo paura della nudità. Una bella ragazza si copre il meno possibile perché sa che le sue forme attraggono gli altri. Chi invece sa di essere brutto si copre di pellicce e di oro per attirare. Ci sono religiosi che si vergognano della loro vita, dei voti, della preghiera o della loro incapacità di pregare e allora illudono se stessi rendendosi occupati con mille cose, facendo vedere tutto quello che hanno. Credono che il loro valore di persone derivi dall'efficienza, dal possesso e la gioia dalla loro comodità. Questo è tipico degli adolescenti immaturi che fanno a gara a far vedere la moto nuova grossa rumorosa, il tablet ultimo modello ecc. Tra voi, naturalmente, questo non c'è, ma alle volte più che convincere gli altri vogliamo convincere noi stessi.
Allora voglio lanciare un altro slogan: La povertà è libertà. Le cose ci rendono schiavi, ci impediscono di riscoprire noi stessi e gli altri. Il Papa ci invita a uno stile sobrio e provocatorio, ci vuole liberi per amare.
Ma veniamo, invece al vero volto della povertà come è sottolineato dal documento Vita Consacrata ed è la solidarietà. È il punto più importante. Il discorso fatto all'inizio sull'amore si gioca soprattutto qui. Quando si aiutano le persone non è tanto importante quanto si dà ma il come si dà. La nostra carità deve essere promozione della persona che riceve, non umiliazione. Il modo migliore per provare il senso di questo è di abbassarsi al livello del povero, comportarsi con gentilezza, ascolto. Cosa donare? Il nostro aiutare i poveri, se dettato dall'amore non deve essere uno sforzo dell'economo, ma deve diventare un coinvolgimento di tutti i membri della comunità. Nel corso di teologia della carità è uscito chiaro questo messaggio: nella carità, come nella pastorale, non è importante quanto si fa o si dà, ma è importante esserci dentro perché è solo l'amore che lascia il segno (specialmente dentro di noi). Mi ricordo una volta visitai il noviziato di una congregazione di suore dove le formatrici erano tutte europee e le novizie tutte locali. C'era una discussione in comunità e volevano una soluzione da me. Il problema era che molti poveri bussavano alla porta, la novizia che apriva si sentiva in dovere si aiutare (visto che le suore sono ricche), mentre le superiore volevano che le novizie fossero meno generose e comunque chiedessero il permesso prima di dare via. Le suore, che gestivano l'economia sentivano il problema dei soldi, le novizie invece ci tenevano a fare bella figura, la figura delle generose, soprattutto pensando che quei poveri erano gente delle loro tribù. Tanto quello che davano non le toccava minimamente. Io ho dato questa soluzione: Voi dite che noi abbiamo tutto, siamo ricchi, comodi, mentre le persone che bussano sono nel bisogno. Tutto vero allora poniamo questa regola: da oggi ognuna può dare tutto quello che vuole, a una condizione: che quello che dà venga da lei e lei ne stai senza. Vuol dare un piatto di pastasciutta? Bene, oggi la pastasciutta va al povero e lei sta senza, tanto abbiamo già tanto altro cibo. Vuol dare un vestito? Bene, uno dei suoi o rinuncia a comprarne un altro. Vuol dare dei soldi? Cosa può tagliare dalle sue spese personali per procurarseli?
Altrimenti si faccia lo stesso discorso ma a livello comunitario: Come comunità, tutti insieme decidiamo di tagliare questo o quello, la cifra risparmiata è a disposizione di chi tra voi verrà messo in carico di attendere i poveri. Le novizie non si sono più lamentate e appena un povero suonava la porta andavano subito a chiamare l'economa. So che voi fate delle belle esperienze apostoliche di incontro ai poveri, quindi siete anche più esperti di me. Andateci da amici, da umili, da scolari che vogliono imparare dai poveri qualcosa su come si vive. Per fare questo non limitatevi a dare ai poveri quello che la comunità, la caritas, la parrocchia ha preparato. Assicuratevi che ci sia dentro qualcosa di personale, frutto di una piccola rinuncia, un sacrificio. Fatelo di nascosto, non importa se è piccolo ma quando aiutate gli altri, li guarderete con occhi diversi, più preziosi perché si stanno portando via un pezzo di voi. Ricordatevi che le esperienze che si fanno non sono tanto per salvare il mondo ma per imparare. Solidarietà vuol dire provare sulla nostra pelle la condizione dello stare senza qualcosa, imparare da loro a valorizzare le cose importanti e liberarci da quelle superflue.
Allora quando dono non sono il ricco orgoglioso che dà e commisera il povero, ma dono con uno sguardo diverso, più comprensivo, più amante.
C'è poi l'aspetto politico provocatorio della povertà. La società di oggi è basata sul consumismo. La teoria economica imperante è: se aumentiamo i consumi aumenta la produzione, se aumenta la produzione aumenta il lavoro, quindi gli stipendi, quindi i consumi e così via. È quello che anche il nostro governo sta cercando di fare. È tutto un impianto sbagliato. Aldilà dell'impatto ambientale dell'inquinamento, dello sfruttamento esasperato delle risorse basti pensare all'acqua, agli alberi tagliati ecc. si crea inoltre una divisione sempre maggiore tra ricchi e poveri, si da sempre più adito alla corruzione ecc. Una società basata solo sulla necessità di soldi non può sussistere. Vari documenti della Chiesa, già da tanto tempo parlano invece di cultura di solidarietà, condivisione, sobrietà. A parte il fatto che la maggiore produzione può essere anche frutto del fatto che do a più gente la possibilità di comprare quello di cui ha bisogno.
L'altro giorno sono andato ad un convegno della CISM. Ne potete trovare le relazioni e referenze sul sito Cism-italia.org. Tra i relatori, i migliori sono stati tre laici, Il primo è stato De Rita, sociologo, direttore del Censis. Nella sua analisi della realtà odierna ha detto che il problema della società italiana è che è stagnante, vecchia, non di età ma di idee. La gente si è abituata ad avere tutto ma ha perso il senso dell'aspettativa, della conquista, del rischio e i giovani hanno perso il desiderio di un miglioramento sociale che aveva invece caratterizzato i loro genitori. Per cui ora la gente non investe più soldi, allora se i soldi non circolano il governo deve aumentare le tasse. Lui diceva: per far rinascere nella gente questo desiderio, necessario per uscire dalla crisi odierna, bisogna ritornare alla sana vecchia sobrietà (cioè messaggio esattamente opposto a quello dei governi europei, e questo da un sociologo esperto laico). Il secondo è stato il prof. Cacciari, filosofo non credente. Parlando del linguaggio di Papa Francesco si chiedeva fino a quando il modo gentile e amorevole con cui parla Francesco quando si esprime sulla povertà resterà amorevole senza portare a uno scontro diretto con la società che invece adora un altro Dio, il Dio denaro. Quando gli fu chiesto di spiegarsi meglio disse: I credenti hanno un peccato sulla coscienza ed è quello di non aver combattuto sufficientemente contro il potere straripante del denaro e dell'individualismo. Si può naturalmente discutere la sua teoria però è interessante che un sociologo esperto in analisi economiche e un filosofo attribuiscano la crisi economica attuale alla sazietà e all'attaccamento al denaro che ha creato individualismo. Il terzo, un po' più schierato dalla nostra parte è stato il dott. Vecchiato direttore della fondazione Zancan. Anche lui esperto in analisi sociali e fondatore di una teoria chiamata del welfare generativo. Lui diceva che in 150 anni di storia italiana tutte le strutture di welfare sono state inventate da noi. Un po' alla volta lo stato le ha rilevate, le ha fatte sue, solo che le ha trasformate in agenzie distributive di welfare, è sparito il coinvolgimento personale, sono sparite le relazioni. Ora è un diritto del cliente ricevere quello che lo stato gli dà e un lavoro dell'agente dare. Non c'è più la gratuità delle suore che si prendevano cura del malato, la gratitudine del malato che si sentiva amato. L'aspetto economico si è fatto sempre più pressante, è diventato un business, ci si è messa in mezzo la corruzione ed ora tutto è allo sfascio e nessuno sa più cosa fare perché di soldi non ce ne sono più. Unica soluzione è che ci si rimettano dentro i religiosi con il loro spirito di gratuità per reinstallare le relazioni di mutuo aiuto, reciproca formazione. Anche per lui pecca della società di oggi è che è costruita sugli individui e non più sulle persone e sull'aspetto comunitario. L'aver tutto ha tagliato la capacità di relazioni e ha creato disuguaglianze e abusi. Una cosa che risalta ancora dalle ricerche del Censis è che oltre il 30% delle imprese aperte quest'anno sono state aperte da persone extracomunitarie arrivate da poco in Italia in cerca di lavoro. Loro hanno ancora sete di crescita. La crisi, dice lui, si risolverà se si lavorerà per rimuovere queste disuguaglianze. Dobbiamo uscir fuori, dice Papa Francesco, andare incontro ai poveri, lasciarsi provocare da loro, dal loro modo di vivere, dal sapersi accontentare di cose di base, dal sentirsi liberi dalle cose. San Francesco dopo essere tornato per baciare il lebbroso (da cui era scappato per ribrezzo e per paura) dice: “Dopo questo, ciò che era amaro divenne dolce e ciò che era dolce divenne amaro. EG 196: “I poveri hanno tanto da insegnarci”.
Quante ore riuscite a passare senza entrare in camera vostra ad usare il computer (non per studio, naturalmente). Quante ore riuscite a passare senza controllare la posta elettronica, what's app, facebook? Questa è falsa comunicazione, falsa informazione, falsa disponibilità. Controllate i contenuti dei vostri messaggi: sono veramente importanti? O sono banalità, cose che basterebbe inviare una volta a settimana? Sono di evangelizzazione, lode a Dio o sono l'autoreferenzialità di cui parla tanto Francesco, cioè un modo per mettersi in mostra?
La provocazione ci viene da VC 89-90 dove si parla di povertà in chiave di semplicità e accoglienza. Il nostro voto di povertà è in funzione anche della testimonianza da dare al mondo e questo è uno dei campi in cui c'è veramente bisogno di testimoniare.


Ricapitolando:
1) La povertà riguarda i soldi ma anche il tempo e l'utilizzo delle cose in generale.
2) Base per i religiosi rimane la dipendenza dal Superiore e dalle decisioni comunitarie anche per quanto riguarda la gestione del tempo.
3) Dobbiamo abituarsi a uno stile sobrio, laborioso, adattabile
4) Non esiste vera povertà isolata. Deve aprirsi alla solidarietà con chi ha di meno sia nello stile che nella relazione e quello che si dà sia qualcosa che ci costa personalmente (frutto di una rinuncia)
5) Teniamo d'occhio che limiti poniamo a noi stessi: ad es. quando devo comperare qualcosa mi chiedo se ne ho veramente bisogno? Posso chiederlo magari in prestito da un confratello? Che tipo compero: il migliore, il più efficiente, il più appariscente, quello con più optional, o il più sobrio, popolare?
6) Chiediamoci anche: quante energie, quanto tempo, quanti soldi spreco per procurare cose per me stesso, cose che mi fan sentire più comodo, cose che mi fan dimenticare gli altri, mi isolano? A tutte queste io devo rinunciare.

Ora lascio a voi la traduzione pratica di queste mie idee.

Post popolari in questo blog

Gesù è davvero un re?

I santi, nostri amici

Alle sorgenti della gioia