4. Diacono uomo della Chiesa. Mie riflessioni
4) Uomo della Chiesa. Mie
riflessioni
Alle volte mi chiedo perché
Cristo abbia voluto creare una struttura che a causa delle persone
che la compongono è sempre a rischio di fallire. Già fin dagli
inizi sappiamo le tensioni e le differenze all'interno del gruppo dei
dodici e questo non solo per la presenza del traditore. Al momento
cruciale scappano tutti eccetto Giovanni, il più piccolo. Pietro che
era come il capo, al pericolo di essere riconosciuto lo rinnega.
Eppure Cristo dà loro fiducia. Lungo i secoli sappiamo che
nonostante le debolezze di molti suoi componenti la struttura ha
retto ed è stata ancora di salvezza. La barca di Pietro è passata
attraverso le tempeste di eresie e scismi ma non è affondata.
Conosciamo tutti le forti
espressioni di Don Orione sul Papa e sulla Chiesa. La nostra non è
una questione organizzativa ma di vera appartenenza. Pensando a
quanto detto nei giorni scorsi potremmo dire che lo scopo della
nostra vita è essere uno con Dio, l'azione pratica è la
testimonianza della parola e della carità, il nostro modo di farlo è
da figli della Chiesa.
2 scopi o ragioni:
1- è necessaria per noi e per la
nostra stabilità nella vocazione.
2- è necessaria alla Chiesa e al
popolo di Dio disorientato
1- Questa necessità la conoscete
da tutti i corsi che avete fatto e quindi non ne enumero gli aspetti
teologici. Al giorno d'oggi c'è un appiattimento di valori. La
superficialità e il secolarismo qui nel mondo occidentale stanno
oscurando i valori spirituali. Purtroppo questo lo stiamo esportando
anche in Africa e in Asia dove invece questi valori sono ancora
forti.
L'uomo ha perso la capacità di
organizzare il mondo emotivo cioè di darsi ragione delle emozioni e
usarle come punti di forza positiva, e siccome l'aspetto della
formazione cristiana è stato messo in forte crisi da duecento anni
di storia e filosofia atee, anche l'intelletto è disorientato.
Stanno prevalendo due aspetti preoccupanti:
a) La soggettività prevale
sull'oggettività
b) Il bisogno di avere tutto e
subito o niente (efficientismo)
Facciamo un esempio: di fronte ad
un caso morale la pastorale che orienta verso Dio ci fa dire: la
legge morale, la natura, la bibbia dicono che … Ora applicandoli
alla situazione concreta come dobbiamo agire? Invece il mondo di
oggi dice: La legge morale ecc. dicono che … ma data la situazione
concreta questa qui non si applica, ma si deve applicare quello che
sembra più adatto; e spesso si fa riferimento a pietismo, emotività
eccetera. Pensate a tutte le discussioni in corso riguardo alle
tematiche sulla vita, sull'eutanasia, l'aborto, la fecondazione in
vitro, la questione dell'omosessualità, del “gender”, ecc. Due
settimane fa il Papa, che pure è attentissimo al bisogno degli
uomini e apertissimo al dialogo, ha chiamato questo atteggiamento
“Falsa compassione e falsa misericordia”.
Inoltre è venuta meno la pratica
del sacrificio, del progetto a distanza. La società fa così tanta
pressione, cambia così in fretta che o una cosa ha effetto subito o
non è più valida. Allora perdono di valore parole come pazienza,
sacrificio, solidarietà, compassione, volontariato.
Ci sono ormai migliaia di profeti
del benessere, del sentirsi bene, contenti, liberi, di successo.
Ognuno di questi ha le sue ricette e filosofie. Per la gente, ormai,
la Chiesa è una delle tante agenzie sociali, spesso la meno
appetibile, la meno efficiente. Di lei si prende quel che piace e
serve, quel che potrebbe servire lo si cambia e manipola, quel che
non piace lo si butta senza riguardo.
Don Orione ci insegna che nella
Chiesa troviamo la strada sicura della dottrina vera, la certezza di
quella verità che spesso mi sfugge.
Ecco perché abbiamo bisogno di
stare dalla parte della Chiesa anche quando non capiamo.
2- Dall'altra parte la Chiesa ha
bisogno di noi e la gente ha bisogno di noi perché se la stampa
innalza e abbassa personaggi che oggi sono presentati come idoli e
domani come corrotti, con una facilità estrema, la gente semplice ha
bisogno di idee chiare, di esempi chiari da seguire, gente come loro,
che sta con loro, ma che percorre una via chiara.
Essere uomini della Chiesa vuol
dire, come abbiamo detto due giorni fa, essere uomini di Dio, dalla
dottrina chiara e pratica, uomini che parlano di Dio in modo chiaro e
semplice, uomini che fanno sperimentare l'amore di Dio in modo
sincero (come detto ieri), e uomini dalla condotta di vita chiara e
provocatoria. Il documento Vita Consacrata dice chiaramente, e questo
Papa lo ripete con altre parole che i voti che avete professato in
maniera perpetua l'anno scorso si devono vedere. Essi predicano da
soli. I voti non sono dati a voi da Dio per uso personale ma sono
doni dati per la Chiesa universale.
Quando un prete vive nel lusso,
non è lui ad essere condannato da chi lo vede, ma la Chiesa che “è
ricca e vive un voto di povertà che è falso”. Quando un prete è
morbosamente attaccato alle persone o addirittura fa delle
scappatelle, è la Chiesa che dà scandalo e professa un voto di
castità che non ha più senso di esistere e forse non è mai
esistito. ecc. Capite adesso i discorsi di Papa Francesco? I Padri
Somaschi, alla fine del secolo scorso, quando gli scandali di
pedofilia stavano scuotendo la Chiesa negli Stati Uniti e Irlanda,
pensarono, come misura preventiva, di chiudere i loro orfanatrofi in
Nord America per evitare di essere accusate magari ingiustamente o
per banalità con risvolti di immagine o anche economici
imprevedibili. Il cardinale di Boston li invitò, invece, a
mantenerli aperti perché, diceva, ritirarsi vorrebbe dire
arrendersi e perdere per sempre quella gente. La gente ha invece
bisogno di vedere delle testimonianze sane che fanno loro capire che
non tutto è marcio nella Chiesa ma che esiste l'amore puro.
La crisi vocazionale che colpisce
la Chiesa non è una crisi di numeri ma di valori, di qualità, non
di quantità.
- Essere uomo della Chiesa vuol
dire anche essere uomo di comunione e comunità. La Chiesa è
struttura non per caso, perché l'amore deve passare attraverso la
condivisione, la collaborazione.
A questo riguardo dobbiamo fare
attenzione a quella tentazione che in Congregazione chiamiamo dei
“battitori liberi” e che la psicologia chiama la “sindrome del
Salvatore”. Ci sono religiosi, anche tra noi, che vivono
l'apostolato e anche i voti in modo più radicale degli altri, e fin
qui non c'è niente di male, ma hanno un difetto: in nome della loro
radicalità non sanno collaborare con gli altri, non sanno accettare
le strutture della comunità, sempre criticano l'inefficienza dei
superiori dall'alto dell'efficacia del loro agire, e davvero sanno
attirare le masse, davvero iniziano opere di carità che raggiungono
tanta gente. Spesso si vede però che a causa di queste lasciano la
Congregazione e dopo qualche tempo si sgonfiano e spariscono. Dov'è
l'errore? È l'errore del fondamentalismo, cioè quando uno
sopravvaluta le sue forze e le sue idee e queste diventano più
importanti o addirittura un ostacolo alla comunione, alla relazione.
Quella carità che pongono al centro non è vero amore perché
l'amore è relazione, quindi capacità di comunione, cioè di
scendere al livello dell'altro per salvarlo. Nella sindrome del
Salvatore, quello che succede, invece, è che ciò che si abbassa non
è il vero io ma l'esteriorità; l'io psicologico si innalza come
salvatore, e il “prossimo” diventa oggetto del mio sentirsi bravo
ecc. Quando le forze fisiche, la soddisfazione che ti viene dal
sorriso dei beneficati viene meno, la persona si sgonfia, sparisce,
perché non è pronta a dare la vita per l'altro.
Nell'apostolato è più facile
lavorare da soli e spesso è anche più efficace. Lavorando in
comunità uno deve spesso rallentare i suoi ritmi per aspettare
l'altro, tagliare alcune delle sue idee perché non condivise,
sprecare tempo prezioso per discernere cose che nella mia testa sono
già chiare. Però fino a che non c'è lavoro di comunità, non c'è
garanzia di verità perché non c'è nessuno che mette in dubbio le
mie idee e quindi queste non saranno vagliate e non cresceranno.
Quando uno hauna personalità
forte, attiva, creativa o diventa un santo come Don Orione, Madre
Teresa e tanti altri che hanno accettato la sfida della comunione e
condivisione e questo ha creato continuità, oppure diventano
dittatori destinati a fossilizzarsi e sgonfiarsi perché i loro
collaboratori sono schiavi non fratelli, esecutori e non
co-fondatori. Essi non sapranno garantire la continuità del futuro.
- Essere uomo della Chiesa vuol
dire essere uomo dell'unità. È ciò che Gesù ha chiesto al Padre
come dono per i suoi discepoli durante l'ultima cena (Gv 17). Essere
in unità non vuol dire negare o abolire le differenze, questo si
chiama uniformità e non è un valore. Non vuol dire, come vorrebbe
la società, che tutti mangiamo le stesse cose e usiamo le stesse
macchine, questo si chiama globalizzazione e non è un valore. Unità
vuol dire riconoscere le differenze nell'altro, accettarle come
ricchezza anche per me. Siamo diversi perché così possiamo aiutarci
a vicenda e completarci l'un l'altro (1 Cor 12, 4-13). Per fare
questo dobbiamo avere il coraggio di guardarci negli occhi con amore,
ma non fermarsi lì, questo è solo l'inizio del cammino, ma poi
cominciare a camminare assieme guardando nella stessa direzione, Dio
che dà senso all'esistenza di entrambi.
C'è un ultimo aspetto che
dobbiamo sottolineare: Siamo Orionini e la Chiesa è il centro del
nostro carisma, non i poveri. La Chiesa è il fine, la carità è il
mezzo e i poveri il target del mezzo. Dobbiamo rispettare le
priorità. Nel cercare i poveri per i poveri o per soddisfazione
personale ci si isola e al momento di difficoltà non abbiamo alcun
posto dove andare. Attaccandosi alla Chiesa non si rimarrà mai senza
lavoro.
Conclusione:
V008T006
A Don Pagella 1920
Cerca di essere un
grande e vero amante di Dio, e fà di Dio il tuo solo e stabile bene,
e vigila su di te, e non permettere che quanto vi ha in terra
sottragga mai neppure un minuzzolo dell'amore tuo pienissimo
che solo deve appartenere a Nostro Signore.
Sii pieno di
fraterna carità verso gli altri, - pieno di diffidenza verso te
stesso.
Pregherò per te,
che sii umile, che sii buono, che sii come il Signore ti vuole: santo
e grande santo, come ha detto Lui: Sancti estote sicut et
Pater vester qui in coelis est.
Dunque siamo
intesi: ci faremo santi insieme.