Bisogna pregare, sì! Ma quale Dio?
XXIX Domenica anno C
Bisogna pregare, sì! Ma quale Dio? (Lc 18,1-8)
Fratelli e sorelle, oggi il Vangelo ci parla di una cosa che tutti conosciamo bene: la preghiera. Gesù ci dice che dobbiamo pregare sempre, senza stancarci. Ma a volte ci chiediamo: “Perché pregare? Dio ci ascolta davvero?”
Viviamo in un mondo pieno di bellezze, ma anche di ingiustizie. Vediamo guerre, povertà, persone che soffrono. E ci viene spontaneo chiedere: “Ma Dio dov’è? Perché non interviene?” Quando preghiamo e non vediamo risposte, possiamo sentirci scoraggiati. Alcuni si arrabbiano, altri si rassegnano. È facile perdere la fede.
Anche i primi cristiani si facevano queste domande. Erano perseguitati, esclusi, trattati male. Pregavano, ma sembrava che Dio non rispondesse. È per loro che Luca ha riportato questa parabola di Gesù.
I protagonisti sono due: un giudice e una vedova.
Il giudice è un uomo potente. Il suo dovere dovrebbe essere difendere i deboli, ma non è un uomo giusto. Pensa al proprio interesse e a fare soldi. Non teme Dio e non ha rispetto per nessuno. Fa quello che gli conviene. La vedova, invece, è una donna sola, senza protezioni. Ha subito un torto e vuole giustizia. Non ha di certo la capacità economica di pagare il giudice, ma non si arrende. Va da lui ogni giorno anche se lui non la considera, lo disturba, lo pressa. Alla fine, lui cede, non perché è buono, ma perché non ne può più.
Attenzione! Gesù non ci sta dicendo che Dio è come quel giudice. Dio non ha bisogno di essere “stressato” per ascoltarci. Non è un Dio che cambia idea solo se insistiamo. Se fosse così, sarebbe un Dio capriccioso, che si lascia convincere come un bambino. Forse a noi farebbe comodo un Dio così, e forse è a questo Dio che spesso rivolgiamo le nostre preghiere, un Dio “magico”, che dovrebbe risolvere subito i nostri problemi. Ma il vero Dio non è una bacchetta magica.
Noi sappiamo che Dio non è così. Allora qual è il vero messaggio?
Gesù ci sta dicendo che dobbiamo pregare sempre, sì, ma non per ottenere miracoli su misura. La preghiera non serve a far cambiare idea a Dio perché Dio conosce cosa è veramente meglio per noi e la preghiera serve a tenerci uniti a Lui, a non perdere la speranza, a non diventare duri di cuore.
Dio ha creato il mondo e lo rispetta. Non lo cambia con un colpo di mano. Ma ci invita a collaborare con Lui. La preghiera non serve a far cambiare idea a Dio, ma a cambiare noi.
Quando preghiamo, non dobbiamo aspettarci miracoli immediati. Ma dobbiamo restare in contatto con Dio, per non scoraggiarci, per non diventare duri di cuore. Ma Dio ci ascolta o no? Bonhoeffer, un teologo protestante morto martire in un campo di concentramento nazista scrisse: “Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste, bensì le sue promesse.” Sì, Dio ci ascolta, ce lo ha garantito Gesù quando ha detto: “Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano a lui giorno e notte?”
Quando preghiamo, entriamo nel pensiero di Dio. Impariamo a vedere il mondo con i suoi occhi. La preghiera ci aiuta a capire la sua volontà, a crescere nella fede, a diventare strumenti del suo amore. Ci trasforma, ci rende capaci di agire, di portare giustizia, di costruire un mondo migliore.
La vedova del Vangelo ci insegna a non arrenderci. Il suo insistere è un grido contro l’ingiustizia. È come dire: “Non accetto che le cose vadano sempre così.” E questo è il cuore della preghiera: non rassegnarsi, ma credere che qualcosa può cambiare, a partire da noi.
Gesù stesso ha pregato così, nel momento più difficile della sua vita: “Padre, se possibile, allontana da me questo calice. Però non come voglio io, ma come vuoi tu.” Ecco la vera preghiera: fidarsi di Dio, anche quando non capiamo tutto.
Alla fine, Gesù ci lascia una domanda: “Quando il Figlio dell’uomo verrà,
troverà ancora fede sulla terra?”
È come dire: “Quando Dio verrà a cercarci, ci troverà ancora fiduciosi, pronti
a collaborare con Lui?”
Fratelli e sorelle, continuiamo a pregare. Non per cambiare Dio, ma per cambiare noi. Per diventare più forti, più giusti, più capaci di amare. Per essere, come la vedova, persone che non si arrendono mai.