Imparare ad essere furbi
L'esempio di un imbroglione (Lc 16, 1-13)
Oggi il Vangelo ci propone una parabola che, a prima vista, ci lascia un po’ perplessi. Gesù sembra elogiare un uomo disonesto, un amministratore che ha imbrogliato il suo padrone. Ma come può essere un modello per noi?
Per capirlo, dobbiamo fare un passo indietro e immergerci nel contesto storico. Al tempo di Gesù, la terra era spesso in mano a grandi proprietari che vivevano lontano, magari in città o addirittura all’estero. Le loro terre venivano coltivate da contadini, ma gestite da amministratori locali. Questi amministratori avevano ampio margine di manovra, e spesso approfittavano della situazione per arricchirsi. Era un sistema che favoriva imbrogli, ricatti, e ingiustizie.
Ecco, in questa parabola, uno di questi amministratori viene scoperto. Il padrone lo convoca e gli chiede conto della sua gestione. È la prima scena: il momento della verità. L’amministratore sa di aver sbagliato, non si difende, non cerca scuse. Ma non si arrende. Si ferma, riflette, e si pone una domanda fondamentale: “Che cosa farò?”
Questa domanda è il cuore della seconda scena. L’amministratore sa che presto perderà tutto: il lavoro, il prestigio, la sicurezza. Non ha la forza per lavorare nei campi, non vuole mendicare. Allora pensa: “Come posso prepararmi al futuro? Come posso fare in modo che, quando non avrò più nulla, ci sia qualcuno che mi accolga?”
E qui prende una decisione sorprendente. Non accumula per sé, non cerca di rubare ancora un po’. Al contrario, rinuncia al suo guadagno personale e lo restituisce ai debitori del padrone. Cancella la parte che aveva aggiunto per sé, e così si guadagna la loro gratitudine. Si fa degli amici. E Gesù lo elogia.
Attenzione: Gesù non ci sta dicendo di imitare la disonestà. Ci sta dicendo di imitare la saggezza. L’amministratore, pur avendo sbagliato, capisce che il futuro non si costruisce sulle cose materiali, ma sulle relazioni. Non sui soldi, ma sull’amicizia. Non sul possesso, ma sulla condivisione.
E allora Gesù ci provoca: “I figli di questo mondo sono più scaltri dei
figli della luce.”
Chi vive senza scrupoli sa come muoversi, mentre chi cerca di seguire il
Vangelo spesso si trova in difficoltà, perché non vuole usare mezzi ingiusti.
Ma proprio per questo, deve essere ancora più creativo, più coraggioso, più
lungimirante.
Gesù ci lascia quattro insegnamenti chiari:
- “Fatevi degli
amici con la ricchezza disonesta.”
La ricchezza materiale non è disonesta perché frutto di rapina, ma perché si presenta come la vera ricchezza ma non lo è. Solo le cose spirituali ci arricchiscono veramente. Le cose di questo mondo passano. Ma possiamo usarle per costruire amore, solidarietà, relazioni. Se non trasformiamo le ricchezze in amore, non ci rimane nulla. - “Chi è fedele
nelle piccole cose è fedele anche nelle grandi.”
La nostra vita quotidiana è il campo in cui si gioca la nostra fedeltà. Se sappiamo essere onesti e generosi con ciò che abbiamo, anche se poco, stiamo già vivendo da figli di Dio. - “Se non siete
stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?”
Tutto ciò che abbiamo — tempo, talenti, beni — non è veramente nostro. È dono di Dio, da amministrare per il bene degli altri. La vera ricchezza è la figliolanza divina. - “Non potete
servire Dio e la ricchezza.”
Dobbiamo scegliere: vogliamo vivere secondo la logica del possesso o secondo la logica dell’amore? Le due strade non si incontrano.
Fratelli e sorelle, le cose materiali sono necessarie, certo. Ma portano con sé un rischio: quello di farci credere che siano tutto. E allora diventiamo schiavi. Schiavi del denaro, del successo, dell’apparenza. E spesso, per inseguire queste cose, perdiamo ciò che conta davvero: le relazioni, la famiglia, la salute, la pace interiore.
Pensiamo alla parabola del figlio prodigo: ha voluto tutto subito, ha rotto
con la famiglia, ha sperperato tutto. E si è ritrovato solo.
L’amministratore, invece, capisce che sta per perdere tutto, e sceglie di
investire nelle relazioni. Rinuncia al guadagno facile per riacquistare la
fiducia, l’accoglienza, la possibilità di ricominciare.
E noi, come viviamo il nostro rapporto con le cose?
Ci sono oggetti, beni, desideri che ci hanno reso schiavi?
Ci sono cose che hanno causato litigi, divisioni, freddezze in famiglia?
Come vuole Dio che usiamo ciò che abbiamo?
La risposta è chiara: Dio ci invita a usare tutto — beni, tempo, capacità — per costruire amore. Per servire la dignità dell’uomo. Per vivere da figli, non da padroni.
Allora, come l’amministratore della parabola, fermiamoci anche noi.
Chiediamoci: “Che cosa farò?”
E scegliamo di investire non in ciò che passa, ma in ciò che resta: l’amore, la
relazione, la comunione con Dio.