Misericordia o ipocrisia?
L'adultera o meglio l'eterna lotta tra l'ipocrisia e la misericordia. (Gv. 8,1-11)
Normalmente chiamiamo questo brano l'episodio dell'adultera, riferendosi alla donna che Gesù salva. Io lo chiamerei la lotta tra la misericordia e l'ipocrisia.
L'adulterio era considerato uno dei peccati più gravi perché rompeva la famiglia. Di solito la donna era considerata colpevole e veniva cacciata dal marito. Questo, oltre che danneggiare la sua famiglia, gettava anche disonore sulla famiglia di origine, e quindi spesso la donna non poteva tornare neppure da loro. Allora essa finiva in mezzo alla strada a mendicare o a prostituirsi. Nella mente delle persone, la colpa era tutta della donna, l'uomo era solo vittima della sua magia di adescatrice, mentalità purtroppo ancora molto viva in tante parti del mondo. Questa era un’infrazione grave in una società fortemente basata sulla famiglia e sui clan, allora, qualcuno più rigoroso nell'osservanza della legge, arrivava a chiedere la morte della donna attraverso la lapidazione, così si poneva fine al problema.
I farisei e gli scribi, trovandosi di fronte a un caso del genere hanno ritenuto che questo era un caso ideale per compromettere un giovane maestro come Gesù, metterlo in una posizione ambigua che ne rovinasse la fama e l'attrattiva che esso esercitava sulla folla. Tutti sapevano bene che la predicazione di Gesù era basata sulla misericordia e questo facevo colpo sulla gente poco abituata al rigore della legge. Cosa avrebbe detto di fronte a un caso così? Se Gesù si fosse pronunciato a favore della lapidazione della donna che ne sarebbe stato della sua fama di misericordioso? Inoltre, dal tempo della conquista da parte dei Romani, era stato tolto il permesso ai Giudei di pronunciare condanne a morte quindi Gesù si sarebbe posto in una posizione di ribelle, cosa che finora era riuscito ad evitare, lui portatore di pace a tutti i costi. Se invece si fosse pronunciato a favore del perdono avrebbe creato scandalo, confusione tra la gente perché il peccato era chiaro, la donna era stata colta in flagrante. Sarebbe stato come un giustificare questo tipo di crimini che nessuno era disposto ad accettare.
Questo è il punto centrale del vangelo di oggi; non tanto il peccato o l'adulterio in sé ma il cercare di sminuire l'attrattiva di Cristo, l'attaccamento al Vangelo basandosi su ragionamenti umani, contraddizioni, eccetera. Forse qualcuno di loro, magari pretendendo di sbagliare, il sasso lo avrebbe tirato più volentieri a Gesù che alla donna.
Gesù, come al solito, evita il tranello spostando il discorso. La giustizia ebraica era basata su un concetto di base: ogni colpa, per essere punita, deve essere provata dalla testimonianza di almeno due persone. Ora, l'importante non era tanto il riuscire a provare che quanto detto da essi era vero, ma piuttosto il provare che queste due persone erano gente credibile, onesta, non compromessa da secondi fini o guadagni. Gesù gioca su questo: tutti sapevano che il fatto in sé era vero, ma coloro che stavano lì a gridare erano davvero persone oneste? Lui si china a scrivere per terra, quasi piegato dalla sofferenza interiore di vedere tanta ipocrisia e tanto falso fervore che serviva solo a coprire il marcio morale che ognuno di loro si portava dietro. Sa benissimo che l'obiettivo della disputa non è la donna ma lui stesso. Si mette a scrivere, non importa cosa, ma il fatto di farli aspettare, di non dare subito la risposta che vogliono, fa innervosire la gente e li destabilizza dalla pedana sicura che si erano costruiti con il loro piano. E poi contrattacca: chi è senza peccato, chi ritiene di essere un testimone onesto senza secondi fini, senza secondi guadagni, senza niente da nascondere, scagli pure la prima pietra. Ha rigirato il processo. Ha rimandato a loro la palla del giudizio ma a partire da un'analisi di se stessi. Ora sotto accusa non è più l'errore della donna, e neppure la possibile sentenza di Gesù ma l'integrità morale di tutti i presenti. Chi avesse scagliato la pietra si sarebbe dichiarato giusto ma si sarebbe anche sottoposto al giudizio di chissà quante persone che potevano rinfacciargli errori. Allora tutti se ne vanno.
Gesù pretende di non fare attenzione a quello che succede, la lotta morale è prima di tutto un fatto privato di ciascuno e solo dopo che tutti se ne sono andati, riconoscendo in tal modo di non essere perfetti, Gesù può avvicinarsi alla donna, e partendo dal pericolo scampato può lanciarle un messaggio di perdono ma anche di conversione: Neanch'io ti condanno (eppure lui onesto e credibile lo era), va e non peccare più.
La misericordia di Gesù non è un negare l'esistenza dell'errore, neppure uno sminuirne il valore o la portata, non è un perbenismo o un atteggiamento di lassismo morale, è un porre al centro la persona con le sue debolezze ma anche con la sua dignità di figlia. È un dare una seconda possibilità perché l'amore, la relazione sono più importanti dei fatti in sé.
Non si può concepire la misericordia se non si parte dalla nostra stessa debolezza, dai desideri contraddittori che si combattono dentro di noi, che forse raramente si traducono in peccato, ma spesso rimangono repressi dentro di noi e ci tolgono la serenità di vita, la chiarezza del giudizio e ci portano a giudicare gli altri in modo spietato.
Io credo che le persone del vangelo, andandosene via, assieme alla rabbia per la sconfitta si siano portate dietro anche uno sguardo un po' più benevolo per quella povera donna che non si sono sentiti di colpire con i sassi che avevano già preparato con cura.
E noi? La domanda che il vangelo ci pone oggi, per la nostra conversione quaresimale non è tanto se siamo adulteri o no, ma se alle volte ci lasciamo prendere dal bisogno di giudicare gli altri, di condannarli, di impugnare la legge, la tradizione per difendere le nostre idee e buttar giù gli altri. Siamo sicuri che questa falsa rettitudine non è magari dettata dall'insoddisfazione di sapere che c'è tanto in noi che non va bene e che preferiamo evitare, che cerchiamo di coprire con gli sbagli degli altri? Dovremo piuttosto avere il coraggio di prendere in mano quel che c'è di sbagliato in noi e consegnarlo alla misericordia di Gesù.
Saremmo capaci di inchinarci di fronte a un peccatore che ci dà fastidio e dire con umiltà: “Anch’io sono peccatore come te ma la misericordia di Dio è grande, camminiamo insieme alla ricerca di questo amore”?