La strada difficile dell’Avvento
La strada difficile dell’Avvento. (Lc. 3,1-6)
Domenica scorsa abbiamo sentito che Gesù viene e non lo fa attraverso fatti grandiosi ed eclatanti, ma nella quotidianità, però proprio per questo è difficile riconoscerlo. Ecco allora che la liturgia ci presenta una persona che con il suo esempio e la sua parola, per tre settimane ci guiderà verso questo incontro: Giovanni il Battista.
Ci impressiona la solennità con cui Luca si preoccupa di precisare bene le date e l’ambiente storico in cui si svolge l’apostolato di Giovanni. Parla di date precise e di persone ben conosciute, sette per l’esattezza, tutti potenti di quei tempi, alcuni Romani, altri locali e addirittura i due sommi sacerdoti del tempio. Perché? Perché Luca vuol farci capire che non sta raccontando una favola ma dei fatti concreti ben situati nella storia. Dio entra nella storia reale dell’uomo. Quando noi vogliamo riferirci ad un determinato periodo storico, lo facciamo citando i grandi del tempo, ma i grandi, pur influenzando con le loro scelte lo svolgimento di tale periodo, sono spesso staccati dalla realtà concreta del 99% della gente a loro sottomessa. Dio, invece ci offre, un messaggio legato alla vita quotidiana, che deve coinvolgere tutti gli uomini di ogni età e nazione e quindi si serve di uno che ha rinunciato ad essere grande, Giovanni è il figlio di un sacerdote del tempio di Gerusalemme lascia il tempio e la capitale e si reca a predicare nel deserto. Non possiamo vivere la nostra fede e la nostra vita di ogni giorno come due cose separate che non hanno niente in comune; necessariamente una influenzerà l’altra. Non c’è fede che non esiga di essere calata nella pratica, e senza la fede non c’è vera vita. Dobbiamo quindi sforzarci di rendere attuale il messaggio del Battista.
Giovanni ci viene presentato come un profeta dell’Antico Testamento, una persona che si muove e annuncia la conversione. Se ha un messaggio così importante da portare, perché scegliere il deserto? Il deserto è il luogo privilegiato per prepararsi all’incontro con Dio. La gente di Israele con Mosè aveva girovagato per quarant’anni nel deserto prima di entrare nella Terra promessa, Elia aveva camminato per quaranta giorni nel deserto per raggiungere l’Horeb dove poi ha incontrato Dio; Dio, attraverso il profeta Osea, aveva detto che il popolo d’Israele si comportava come una moglie infedele, ma poi aveva aggiunto: “Ma io l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”. Gesù stesso, all’inizio del suo apostolato ha trascorso 40 giorni nel deserto in preghiera.
Il deserto è il luogo dove mancano tutte le comodità, le distrazioni, l’appoggio di altre persone; lì uno è obbligato a confrontarsi con le sue debolezze, i suoi bisogni. Dio lo si accoglie nella povertà, provando il bisogno; lì non esistono cose superflue, si deve andare all’essenziale, lì ci si deve abbandonare con fiducia nelle mani di Dio. Infine il deserto è il luogo del silenzio dove si può ascoltare la voce del Signore senza essere distratti dai mille rumori della nostra società. La nostra è la società dell’indipendenza, dell’autosufficienza, che senza volerlo ci toglie ciò che è più importante per noi: le relazioni umane; ci libera dal bisogno l’uno dell’altro, e ci rende schiavi delle cose materiali.
Gesù viene per ristabilire la verità della nostra natura umana: siamo esseri di relazione. Abbiamo, quindi, bisogno di conversione e il tempo di avvento è il tempo propizio. La preparazione per accogliere Gesù va fatta con sincerità, cambiando il nostro atteggiamento di vita, togliendo tutta quella struttura che ci distoglie dal pensare e spesso ci impedisce di vedere la realtà di noi stessi.
A questo riguardo, il Vangelo cita un passaggio del profeta Isaia, il capitolo 40 chiamato libro della consolazione. Esso porta una lieta novella al popolo di Israele: la sua liberazione imminente. Si tratta del popolo schiavo a Babilonia e che libero potrà attraversare il deserto per tornare nella sua terra. Voi conoscete bene la geografia; Babilonia si trova nell’attuale Iraq, e più esattamente è la capitale Bagdad. Per tornare in Israele, gli Ebrei devono attraversare tutto il deserto dell’Iraq e della Giordania. Proprio questo deserto diventa il simbolo della nostra conversione. I monti rocciosi, le valli sabbiose che lo formano rappresentano la nostra vita: i colli del nostro egoismo e della nostra superbia, e tutti gli altri vizi, i burroni dell’ingiustizia, della paura, che ci separano dai nostri fratelli, diventano ostacoli al cammino, ci impediscono di vedere cosa c’è di fronte, ci obbligano a fare dei giri larghi dove è facile perdersi, ci fanno sentire la fatica di viaggiare verso la meta giusta. Ebbene, se seguiamo l’invito del Signore, in questo deserto la strada sarà dritta, segno di verità e rettitudine, ogni colle sarà abbassato e ogni burrone sarà riempito.
In questi giorni che ci separano dalla grande festa saremo occupati a ricoprire i nostri muri di decorazioni e a riempire le nostre case di regali, cibo, eccetera. La festa ci deve essere e deve essere vera, ma la preparazione non la si fa coprendoci di cose in più, ma spogliandoci per vederci come siamo, lavorando su noi stessi e su tutte quelle nostre attitudini che ci separano dagli altri, che sono un ostacolo all’amore, alla gioia, alla condivisione. Dobbiamo rivestirci di Cristo che è colui che dà il vero senso alla festa. Bisogna tagliare quelle corde che ancora ci tengono legati ai nostri peccati, proprio perché non ci capiti che, come a molte persone al tempo di Giovanni, Gesù arrivi in mezzo a noi e noi non lo sappiamo riconoscere.