Quali sono le tasse giuste da pagare?

 «Eccomi, manda me» giornata mondiale missionaria. Il tributo a Cesare (Mt 22,15-21)

Ogni anno il Santo Padre invia un messaggio per la giornata mondiale delle missioni. Il tema per quest’anno è stato preso dal racconto della vocazione del profeta Isaia: «Eccomi, manda me». È la risposta sempre nuova alla domanda del Signore: «Chi manderò?».

Le parole del Papa, vanno subito al concreto. Come ai tempi di Isaia c’era una grande crisi che stava colpendo il popolo di Giuda e il Signore sentì il bisogno di mandare un messaggero per assicurare la sua presenza e far sentire la sua voce, così oggi, la grande crisi mondiale ha bisogno di messaggeri che possano parlare al mondo a nome suo. Dio lancia a noi questo invito ed attende una risposta.

La crisi della pandemia ha colto tutti di sorpresa e ci siamo resi conto di essere tutti deboli, tutti assieme sulla stessa barca e con la necessità di remare tutti assieme, quindi tutti fragili ma anche tutti importanti.

Dice il Papa: “Molti sono veramente spaventati, disorientati e impauriti. Il dolore e la morte ci fanno sperimentare la nostra fragilità umana; ma nello stesso tempo ci riconosciamo tutti partecipi di un forte desiderio di vita e di liberazione dal male. In questo contesto, la chiamata alla missione, l’invito ad uscire da sé stessi per amore di Dio e del prossimo, si presenta come opportunità di condivisione, di servizio, di intercessione. La missione che Dio affida a ciascuno fa passare dall’io pauroso e chiuso all’io ritrovato e rinnovato dal dono di sé”.

Da sempre il tema missionario è caro a Papa Francesco che spesso ha insistito che tutta la pastorale della Chiesa deve avere un paradigma missionario. Il mondo si sta sempre più allontanando da Dio e c’è bisogno che tutti noi credenti ci sentiamo chiamati direttamente e personalmente da Dio come suoi messaggeri. “L’eccomi, manda me” deve essere la parola d’ordine di ciascuno di noi.

Ma che devo dire? Come devo fare? Nella missione di annunciare il Vangelo, noi ci muoviamo perché lo Spirito ci spinge e ci porta. La nostra vocazione personale proviene dal fatto che siamo figli e figlie di Dio nella Chiesa, sua famiglia, fratelli e sorelle in quella carità che Gesù ci ha testimoniato.

La missione è risposta, libera e consapevole, alla chiamata di Dio. Chiediamoci: siamo pronti ad accogliere la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, ad ascoltare la chiamata alla missione, sia nella via del matrimonio, sia in quella della verginità consacrata o del sacerdozio ordinato, e comunque nella vita ordinaria di tutti i giorni? Siamo disposti ad essere inviati ovunque per testimoniare la nostra fede in Dio Padre misericordioso, per proclamare il Vangelo della salvezza di Gesù Cristo, per condividere la vita divina dello Spirito Santo edificando la Chiesa?”

Ma veniamo al vangelo di oggi.

Il brano fa perno attorno a una domanda che viene rivolta a Gesù: è lecito pagare il tributo a Cesare? Per comprendere il significato profondo di tale domanda/tranello posto a Gesù vediamo da dove essa proviene.

Il tributo a Cesare era una tassa che a partire dal 6 d.C. tutti gli abitanti della Giudea, della Samaria e dell’Idumea dovevano versare al potere imperiale e dovevano farlo usando le monete romane. Oramai le monete romane erano il modo comune di pagare in tutto l’impero, le monete locali, quelle ebree erano usate pochissimo. Caratteristica delle monete romane è che recavano l’effige dell’imperatore. Forzare l’obbligo di usare questa moneta era anche un sistema per diffondere il culto dell’imperatore. La resistenza che un Ebreo provava davanti a questa imposizione non era solo di tipo economico e politico, ma anche religioso, dal momento che la Legge ebraica vietava di farsi immagine alcuna. Usare quella moneta poteva dunque anche essere considerato come un atto di idolatria. Allora, le offerte fatte nel tempio dovevano essere fatte con le monete locali che non portavano alcuna effige. Ecco perché nel cortile davanti al tempio c’erano i cambiavalute. Ho l’impressione che lo stile usato dall’imperatore romano sia spesso anche il nostro, quando nelle relazioni con gli altri facciamo attenzione soprattutto a promuovere la nostra immagine, attirarci lodi o complimenti, fare vedere agli altri quanto siamo bravi e buoni.

La domanda rivolta a Gesù, pur fatta assieme dai due gruppi, ha però un duplice significato: da una parte gli Erodiani gli stanno chiedendo: tu che politica segui, pro o contro Roma? I Farisei, dentro di sé chiedono: tu che religione segui, Yahvé o l’idolatria?

La cosa interessante è che queste due parti nemiche tra di loro, sono alleate nel porre la domanda a Gesù per farlo cadere. Come più tardi quando i Sacerdoti del Tempio chiederanno l’intervento di Pilato e Pilato chiederà l’intervento di Erode, due nemici, si ritrovano a lavorare assieme contro Dio.

Questi due gruppi di persone iniziano il loro discorso con un lungo elogio a Gesù come se volessero accattivarsene la simpatia e spingerlo ad esporsi da una parte o dall’altra. Gesù, chiedendo di vedere la moneta sposta completamente il discorso.

 La risposta di Gesù non può essere affatto interpretata, come è avvenuto tante volte, nel senso di una separazione dei poteri: da una parte quello civile e dall’altro quello religioso. Gesù, vuole indicare all’uomo, nella sua totalità, la sua appartenenza a Dio.

 Se infatti ogni cosa appartiene a colui di cui reca l’immagine, è vero che la moneta appartiene a Cesare perché ne reca l’immagine, ed è dunque ammissibile che quelle monete ritornino a lui, ma è altrettanto vero che l’uomo reca in sé l’immagine di Dio, fin dalla creazione. Pertanto l’uomo deve ritornare a Colui di cui reca l’immagine, ovvero a Dio. Se dunque accettiamo di pagare il tributo, in virtù dell’immagine che le monete recano impresse, dovremo concludere che anche l’uomo, tutto l’uomo, in tutti i suoi aspetti, fisici, psicologici, spirituali, morali, intellettuali, sociali, appartiene a Dio, e a Lui deve ritornare. 

La prima lettura ci fa vedere chiaramente che anche Ciro, imperatore persiano, pur non essendo credente e senza neanche saperlo, è uno strumento nelle mani di Dio. Quanto più noi credenti, possiamo e dobbiamo essere disponibili per il lavoro di Dio.

Ecco il collegamento con quanto detto prima riguardo alle missioni. Il mondo ha bisogno di vedere persone in cui appare chiaramente l’immagine di Dio, che ricordino al mondo che tutto appartiene a Dio, anche le cose materiali. Tutto ciò che possediamo e usiamo deve essere soggetto a questo e mai prendere il posto di Dio. Allora cosa vuol dire “Manda me!”? Vuol dire che mi impegno a vivere una vita impostata sui valori del vangelo anche se spesso questo impegno mi porterà a fare scelte coraggiose che si scontrano con quello che la società vorrebbe vedere. Dobbiamo chiederci: “Io a chi appartengo?” E chiedere agli altri: “voi a chi appartenete?” Se il mio dio è il denaro, lui mi detterà le priorità e le soluzioni, ma se il mio Dio è il Padre dei cieli sarà Lui a dettare le priorità e le soluzioni. Se Dio è il denaro, senza di lui la vita umana perde valore e i poveri diventano scarti ingombranti; se Dio è il Padre, tutti i suoi figli sono importanti, le cose materiali no. Cesare ha posto la sua immagine sul denaro, Dio ha posto la sua immagine nell’uomo. Ridare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio vuol dire che possiamo usare le cose materiali, ma in modo da riconsegnare a Dio l’uomo e la sua dignità; vuol dire ristabilire tutte le cose nel loro posto giusto, cioè nelle mani di Dio e del suo amore. Questo è il carisma di Don Orione.

Come mi rapporto agli altri? Li promuovo o li sfrutto?

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