La strada alla santità

Siamo tutti santi?

Buona festa! Oggi stiamo celebrando la nostra festa, non solo il nostro onomastico, perché il Signore vuole che tutti “siamo” santi. Attenzione! Ho detto “siamo”, non “diventiamo”.
Nei primi secoli della Cristianità, i fedeli si chiamavano tra loro “fratelli”, ma, quando dovevano parlare in generale dei credenti, usavano la parola “santi”. Ne sono prova le varie lettere di San Paolo che sono indirizzate “ai santi che sono nella Chiesa di …”. Siamo tutti membri di una comunità che è chiamata ad essere “santa”. In un mondo secolarizzato come quello di oggi, sembra veramente fuori posto mettersi a parlare di santità. Papa Francesco, nella sua omelia dello scorso anno, disse:
“Celebriamo, quindi, la festa della santità. Quella santità che, a volte, non si manifesta in grandi opere o in successi straordinari, ma che sa vivere fedelmente e quotidianamente le esigenze del battesimo. Una santità fatta di amore per Dio e per i fratelli. Amore fedele fino a dimenticarsi di sé stesso e a darsi totalmente agli altri, come la vita di quelle madri e quei padri che si sacrificano per le loro famiglie sapendo rinunciare volentieri, benché non sia sempre facile, a tante cose, a tanti progetti o programmi personali.”
Quindi questa festa è qui per ricordare a tutti noi la vocazione che abbiamo, che è quella di essere santi, forse non degli eroi, forse non destinati a fare cose che finiranno sui giornali o negli annali di storia, ma essere santi della quotidianità, o come lo stesso Papa li chiama: “I santi della porta accanto”. Ma come si fa a farsi santi?
La parola “Santo”, in Ebraico significa “separato”, e così si comportavano gli Ebrei verso tutte le persone che non erano della loro religione o verso coloro che comunque, con il loro comportamento, erano in qualche modo “impuri”, cioè non degni di stare davanti a Dio. Questa concezione è stata però completamente ribaltata da Gesù che, venendo sulla terra, è entrato in contatto con questa umanità impura, e che nella sua vita apostolica, è andato a ricercare proprio i peccatori, gli eretici, i pagani, i rigettati. Per Lui, la santità non consiste nel separarsi fisicamente dal mondo ma distinguersi per il modo diverso di vivere e di scegliere, in modo da provocare un cambiamento in quel mondo in cui siamo immersi. Qual è il modo di vivere e di scegliere che ci distingue dagli altri? Seguire lo stile di vita di Gesù e presentato dalle beatitudini. Ancora il Papa ci dice: “Le Beatitudini sono in qualche modo la carta d’identità del cristiano, che lo identifica come seguace di Gesù. Siamo chiamati ad essere beati, seguaci di Gesù, affrontando i dolori e le angosce del nostro tempo con lo spirito e l’amore di Gesù. In tal senso, potremmo indicare nuove situazioni per viverle con spirito rinnovato e sempre attuale: beati coloro che sopportano con fede i mali che altri infliggono loro e perdonano di cuore; beati coloro che guardano negli occhi gli scartati e gli emarginati mostrando loro vicinanza; beati coloro che riconoscono Dio in ogni persona e lottano perché anche altri lo scoprano; beati coloro che proteggono e curano la casa comune; beati coloro che rinunciano al proprio benessere per il bene degli altri; beati coloro che pregano e lavorano per la piena comunione dei cristiani... Tutti costoro sono portatori della misericordia e della tenerezza di Dio, e certamente riceveranno da Lui la ricompensa meritata”.
Non è questo il momento di fare una presentazione approfondita delle Beatitudini. Su di esse sono stati scritti centinaia di libri e fatte centinaia di prediche, ma per tanti che se ne scrivano non saranno mai a sufficienza per spiegarle bene, tanto profondo è il loro significato. Per capire le beatitudini dobbiamo guardare allo stile di vita di Gesù, perché Lui ce le ha presentate come programma di vita e quindi è in Lui che esse si realizzano.
Se qualcuno volesse una breve spiegazione di ciascuna di esse, può leggere la riflessione che ho pubblicato nel febbraio scorso e che si trova all’indirizzo qui sotto.

https://orestereligiouslife.blogspot.com/2020/02/beato-chi-ha-il-coraggio-di-imitare.html

Oggi preferisco parlare prendendo spunto da un altro brano. Anch’esso ci aiuta a comprendere cosa voglia dire essere santi, cioè come vivere in pienezza lo spirito delle beatitudini per essere cristiani veri. Lo prendo dal libro dell’Apocalisse che la liturgia ci presenta come prima lettura.
In questo racconto, Giovanni descrive la visione che ha avuto e parla di una folla di 144.000 persone segnate col sigillo dell’Agnello, un’immagine che rappresenta la globalità di coloro che, tra i discendenti di Israele, hanno accettato di seguire e appartenere a Gesù. “Dopodiché apparve una moltitudine innumerevole di persone di ogni razza, popolo e lingua”. Qui sta chiaramente parlando di noi, cioè di tutte quelle persone che in ogni tempo e luogo hanno vissuto da santi, o meglio salvati; infatti ce li presenta davanti al trono di Dio e di loro Dio dice: “Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l'Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7,16-17).
Quali sono le caratteristiche di questa folla?
1) Stavano in piedi. È il segno della Resurrezione. Noi siamo dei risorti. Godiamo di una vita che non è solo quella biologica, ma siamo già partecipi di quella eterna che la resurrezione di Cristo ci ha meritato. Il primo atteggiamento, quindi è essere positivi, proiettati al futuro, pieni di speranza.
2) Avevano una veste bianca. È il simbolo della luce di Cristo in noi e, come sarà detto più avanti, è il frutto della sua Redenzione. Questa luce è ciò che ci differenzia dagli altri. È l’abito del battesimo che indica che siamo creature nuove. Se viviamo questa vita nuova, alla luce di Cristo possiamo vedere tutte le cose in un modo diverso, come le vede Dio.
3) Portavano palme nelle loro mani. La palma cresce nel deserto. È il simbolo della vittoria della vita sul deserto arido del mondo. Per questo la palma è diventata il simbolo del martirio. Non ci dobbiamo mai scoraggiare davanti alle difficoltà, la perseveranza, alla fine, verrà premiata.
4) Gridavano a gran voce le lodi del Signore. L’uomo realizza se stesso quando prende coscienza della propria identità di essere amato e inviato dal Signore. La lode non è altro che celebrare questa coscienza della propria identità. Pensiamo a come oggi il culto viene dato ad altri, agli idoli, alle cose materiali, alle persone di successo, al denaro, alla carriera; ci riconosciamo in queste cose e ci sentiamo realizzati solo fintanto che queste cose ci sono. E poi? Guai quando sono queste a dettare le nostre scelte morali.
Quindi la caratteristica dei Cristiani dovrebbe essere quella di vivere proiettati alla vita eterna, con la forza del Risorto e con il carburante della preghiera e della lode a Dio. Ma chi può dire di appartenere a questa categoria?
Giovanni prosegue nella spiegazione: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell'Agnello». Non mi piace quella parola “tribolazione” perché ci viene spontaneo pensare che sia una cosa riservata ai “martiri”. Le beatitudini ci dicono chiaramente che, se noi accogliamo il messaggio del Vangelo e ci sforziamo di metterlo in pratica, non avremo una vita facile, perché chi segue la mentalità del mondo farà una forte opposizione al nostro operare e porrà molti ostacoli. Qualcuno, magari, dovrà soffrire anche fisicamente, ma tutti, comunque, dovremo accettare rinunce, opposizione, sconfitte. Questa è la porta stretta attraverso cui passare per entrare nella “beatitudine”.
Siamo disposti? Gesù ci ha aperto la strada, ci accompagna e, con il suo sangue, ci ha dato la forza per fare le scelte coraggiose. Dobbiamo avere fiducia in Lui.

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