Invitati alle nostre nozze.

 

Gli invitati al banchetto (Mt 22,1-14).

Domenica scorsa abbiamo ascoltato una parabola che ci diceva che il popolo di Israele stava per rigettare Gesù, anzi per metterlo a morte con l’illusione che così facendo sarebbero rimasti padroni incontrastati del popolo; la morte di Gesù, invece, segna il passaggio dell’eredità che ora è consegnata all’umanità intera.

Anche la parabola di oggi va nella stessa direzione. Essa si serve di una seconda immagina cara alla letteratura dell’Antico Testamento per descrivere il rapporto tra Dio e il suo popolo, quella del banchetto nuziale.

Permettetemi una panoramica storica che ci permetta di cogliere il sottofondo culturale di tale immagine.

La società ebraica era principalmente fatta di pastori e di agricoltori; la loro vita era dura a causa del terreno sassoso. Il contadino lavorava per lunghe ore per procurarsi il necessario per vivere. I ricchi, invece, potevano permettersi lauti banchetti.

Quando, dopo la distruzione di Gerusalemme molti degli uomini abili furono deportati in Babilonia, i loro terreni rimasero liberi e i ricchi delle città ne approfittarono per accaparrarseli, cosicché quando circa 70 anni dopo gli esuli cominciarono a tornare da Babilonia trovarono che le case e i terreni dei loro avi erano stati occupati. Unica risorsa per sopravvivere fu di mettersi al servizio dei medesimi che, naturalmente li sfruttavano. Si creò, così una forte spaccatura nella società.

Nel 5° secolo, circa,  iniziò un movimento letterario chiamato apocalittico. Il temine deriva dal fatto che per descrivere i fatti del loro tempo e dare speranza a chi ne era vittima si servivano sempre di immagini ambientate nel futuro, tipo: “Alla fine dei tempi…” “Nel giorno del Signore…” “Quando verrà il Messia, l’unto di Dio…” eccetera. Era gente semplice ma sensibile alla condizione dei poveri e per infondere loro coraggio dicevano che Dio stesso interverrà a cambiare la società. La prima lettura di oggi ne è un esempio. Il futuro, se doveva essere un tempo di gioia e festa, era sempre descritto come un banchetto che il Signore organizza sul monte del suo Tempio.

Questo modo di parlare si sviluppò anche nei secoli successivi, fino al tempo di Gesù. Nelle prossime settimane, in preparazione all’Avvento e poi al Natale, sentiremo molte parabole e immagine presentate da Gesù utilizzando questo linguaggio molto efficace tra la gente.

Ecco quindi la parabola di oggi: il banchetto del re. Chi sono gli ospiti di Dio? A chi sono riservate le sue benedizioni? Quali sono le condizioni per potervi partecipare? I potenti, i capi del popolo, i sacerdoti, i Farisei, si ritenevano già benedetti da Dio e quindi nella loro mente essi erano gli ospiti principali, mentre i poveri, gli ammalati che dovevano la loro situazione alla maledizione di Dio, ne sarebbero stati esclusi.

Come al solito Gesù ribalta tutte le loro idee.

Nella parabola si dice che Dio organizza questa festa per le nozze di suo figlio. Ricordiamoci che Gesù sa di essere lo sposo venuto a prendersi la sposa che ama perdutamente: l’umanità.

Il re invita tutti. Anche i capi sono invitati da Gesù, ma loro si rifiutano di entrare. La parabola dice che lo fanno perché hanno altri interessi. A loro non piace un banchetto dove saranno seduti a tavola assieme ai malati e ai pezzenti, preferiscono il “loro” regno, quello che si sono costruiti sfruttando i poveri. Hanno il senso del godere, del mangiare, del bere, ma hanno perso il senso della festa, cioè della convivialità, del festeggiare assieme. Il cibo è più importante dei commensali.

Nella parabola, come al solito, ci sono dei dettagli che, in una storia normale, sembrano fuori posto: gli invitati non solo rifiutano (cosa improbabile ma possibile), ma addirittura maltrattano i messaggeri inviati; il re si vendica distruggendo le loro città; poi, quando la sala è riempita di storpi, ciechi, eccetera, uno viene cacciato perché non ha indossato l’abito nuziale. Questi dettagli sono messi lì apposta per far capire che non sta raccontando una storiella qualsiasi ma sta parlando di una situazione concreta e di cose che sono accadute o stanno per accadere.

Vediamole una alla volta. Il maltrattamento degli inviati riguarda fatti che abbiamo già visto domenica scorsa. Si riferisce a come sono stati trattati, lungo i secoli, i vari profeti inviati a riportare il popolo sulla strada giusta. Molti di essi furono perseguitati, alcuni anche uccisi. Quest’immagine, però, unita alla risposta violenta del Re, assume un significato nuovo e importante se letta considerando che Matteo scrive il suo vangelo subito dopo la distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio, da parte dell’Imperatore Romano Tito. Negli anni dopo la morte e resurrezione di Gesù il cristianesimo si era sparso in tutto il territorio del paese, ma c’erano state le persecuzioni in cui molti cristiani erano morti martiri. Tra questi ricordiamo Stefano, Giacomo fratello di Giovanni, eccetera.

L’instabilità politica della zona che diventava sempre più preoccupante, convinse l’imperatore ad iniziare una campagna militare che si concluderà, appunto, con la distruzione di Gerusalemme. A questi fatti fa riferimento la parabola. Difatti, se leggete la stessa parabola nella versione di Luca (Cap. 14) essa fa parla del rifiuto degli ospiti a partecipare al banchetto, ma non ha alcun accenno alla vendetta da parte del re.

Un significato importante, ci viene dalla questione dell’abito nuziale. Mi direte: “Se ha invitato mendicanti e ciechi, raccolti ai crocicchi delle strade, come poteva aspettarsi che si vestissero a festa?”. Nella tradizione ebraica, lo sposo provvedeva, come regalo per gli invitati, un mantello. Era un po’ come una nostra bomboniera. Oltre che essere un regalo prezioso per la sua utilità, serviva però anche a creare uniformità tra la gente, era come un distintivo che identificava chi faceva parte degli amici dello sposo. Insomma una specie di uniforme.

Mendicanti e ciechi rappresentano tutte le altre nazioni del mondo che siccome non hanno ricevuto la ricchezza della Parola di Dio, si trovano a vivere nell’oscurità . Esse mendicano la verità ma non riescono a raggiungerla finché rimangono nel loro ambiente. Ora tutti sono invitati a partecipare alla festa, ma c'è una condizione: vestire quell’abito che lo sposo ha loro offerto per farsi riconoscere. L’abito è quello che facciamo vedere di noi agli altri, il modo di esprimerci, che dovrebbe far trasparire all’esterno le nostre convinzioni, il nostro stile di vita. Non si può partecipare alla festa del mondo nuovo continuando a pensare come il mondo vecchio; venire a godere del cibo offerto da Dio e rimpiangere quello offerto dal mondo. Il Signore non pretende regali ma un cambio di vita.  Interessante il commento che Sant’Agostino fa su questo aspetto. Lui dice: se si trattasse di un abito esterno, i servi se ne sarebbero accorti e non lo avrebbero fatto entrare. Si tratta quindi di un abito interiore e io ritengo che l’unico abito degno della festa di nozze del Figlio di Dio sia la Carità. Ci vogliono gli occhi esperti del padrone per accorgersi che uno dentro non porta la carità.

Dio ci ha preparato un abito speciale ma dobbiamo permettergli di cambiare i nostri vecchi modi di vivere. Avete mai fatto caso a cosa capita oggi? Siamo nella società della comunicazione. Siamo a tavola con famigliari e amici e spendiamo buona parte del tempo parlando al telefono con assenti o mandando messaggi; andiamo a un cinema o a una gita e spendiamo tempo a guardare facebook, whatsapp; andiamo in visita in qualche luogo interessante e siamo impegnati a fare foto da postare invece di seguire e capire le spiegazioni che ci vengono date. Siamo in comunicazione con chi non c’è ma non siamo più in grado di comunicare con chi è davanti a noi, con chi è importante in quel momento. Siamo bloccati nel nostro mondo virtuale e perdiamo le ricchezze che quello vero ci vuole donare. Il Signore ci dice: butta via tutte queste cose false e godi la vita che io ho preparato per te, concentrati su di me e sugli altri invitati. La parabola dice: “Legategli le mani e i piedi e gettatelo nelle tenebre”. Il far finta di essere con il Signore ma continuare a vivere con gli stili mondani, ci toglie la capacità di agire (mani), non ci porta da nessuna parte (piedi), alla fine ci troviamo nelle tenebre della nostra solitudine e del vuoto esistenziale, invece che essere nella luce della festa. Ma in quel luogo ci siamo finiti noi, lui ci aveva invitati e ci aveva offerto il suo mantello.

Concludo con un piccolo particolare: ho detto che questa festa a cui siamo tutti invitati è quella delle nozze del Figlio (Gesù) con l’umanità. Allora gli invitati non sono ospiti ma sono la sposa stessa. Sono le nostre nozze. Voi vi presentereste alle vostre nozze con vestiti vecchi e strappati?

Buona Festa.

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