Diamo a Dio il primo posto e ogni cosa avrà il posto migliore
Amare di più o di meno? (Mt 10,37-42)
Il vangelo di oggi è la parte conclusiva del discorso missionario di Gesù, discorso che abbiamo già presentato domenica scorsa. Se vi ricordate avevamo detto che Gesù aveva scelto i dodici apostoli e deciso di inviarli nei vari villaggi, aveva dato loro delle raccomandazioni su come comportarsi, ma al tempo stesso aveva detto di non aspettarsi accoglienze trionfali, ma al contrario che spesso sarebbero stati cacciati dalla gente perché il messaggio che portavano era un messaggio scomodo, rivoluzionario che avrebbe sconvolto la vita tranquilla e comoda delle persone e quindi avrebbero trovato ostilità. Aveva poi aggiunto: “Non abbiate paura”.
Non c’è dubbio
che nonostante il messaggio di Gesù sia basato sull’amore e sulla pace esso,
nei secoli ha portato tanta divisione nella società. Infatti, fin dagli inizi,
i Cristiani furono perseguitati. I Farisei li scomunicarono, considerandoli
degli eretici. A causa di questo, non solo i neocristiani perdevano tutti i
diritti religiosi e civili ed economici, ma che anche coloro che in qualche
modo mantenevano rapporti con loro o li aiutavano, venivano a loro volta
scomunicati. Questo ebbe un impatto doloroso in molte famiglie, dove, spesso,
un membro si era convertito, gli altri no. Che fare?
Le parole di Gesù
sono chiare ma anche forti. Lui aveva previsto tutte queste divisioni perché
sapeva che non è facile per le persone, specialmente per quelle che si trovano
in posizioni di potere, rinunciare ai loro privilegi e alla loro vita comoda
per mettersi al servizio di coloro che invece loro trattavano come “inferiori”.
Gesù sapeva bene che tali persone avrebbero usato il loro potere per combattere
la nuova dottrina.
Il problema che i
neocristiani si ponevano era: se la nostra religione è la religione dell’amore
e del perdono, come possiamo accettare di essere espulsi da casa e odiati da
coloro che dovrebbero essere le persone più amate, i parenti?
Gesù dà 3 risposte,
o meglio fa tre richieste:
1) ai figli dice:
“Chi ama il padre e la madre più di me
non è degno di me”,
2) ai genitori
dice: “Chi ama il figlio o la figlia più
di me non è degno di me”.
3) infine a tutti
dice: “Chi non prende la propria croce e
non mi segue non è degno di me”.
Luca, nel suo vangelo, riportando il pensiero di Gesù usa parole anche più forti: Chi non odia, cioè non è disposto a perdere l’amore di suo padre o madre o figlio o fratello non è degno di me.
Come interpretare
tali parole?
Quando nasce una
nuova famiglia, si crea necessariamente un distacco con quella originale, e se
non si tiene presente questo, nascono un sacco di guai. Non si tratta di
dimenticare o trascurare la famiglia naturale, ma di porre la propria
attenzione e interesse nella nuova famiglia. L’amore per la famiglia naturale
non deve venir meno, ma non può essere un impedimento a vivere in pieno in
questa nuova famiglia che Gesù propone, dove tutti sono fratelli e sorelle. È
il tema della priorità: cosa mettere al primo posto, cosa amare di più. Gesù vuole
che mettiamo Lui come priorità nella nostra classifica affettiva. Quanti esempi
abbiamo anche oggi di persone, forse un po’ immature, dove l’amore per uno
diventa motivo di gelosia, paura, impedimento all’amore per l’altro. Non siamo
solo nel tema delle dipendenze affettive, o di relazioni asfissianti. Quando si
dipende, non si è più liberi: io non posso dire la verità a qualcuno da cui
dipendo, perché non saprei ricevere un no. Dobbiamo stare attenti a non
divinizzare qualcuno che non è Dio perché questo legame, se non è “liberante”
non può generare la vera vita. Papà e mamma mi hanno dato la vita biologica che
è una predisposizione a ricevere quella vera che Gesù ci vuole dare. Noi siamo
nel guado tra la vita naturale e quella soprannaturale. La vita cristiana è
passare quel guado che non vuol dire non amare, ma amare in modo diverso, amare
in Dio. Nelle nostre relazioni, anche quelle più intime, dobbiamo essere veri
padri, madri, figli, ma anche mariti o mogli che non hanno paura di dare il
messaggio vero all’altro, perché lo vede in Dio, lo ama in Dio. Quindi non si
tratta di fare contrapposizione tra Dio e gli altri, ma dire che l’esperienza
umana dell’amore, che puoi aver già fatto, è solo un’ombra di quella maggiore e
più bella che è quella di scegliere Lui.
Allora
l’espressione “non è degno di me” è
l’espressione dell’amante che parla all’amato e vuole un cuore puro e indiviso.
“Degno di me” vuol dire che sei uno che ha capito la portata del mio amore, del
mio messaggio ed sei disposto a viverlo, altrimenti è meglio che ognuno vada
per la sua strada. È un Dio che vuole l’amore esclusivo che vuole per sé tutte
le attenzioni. Il primo dei dieci comandamenti è: “Non avrai altro Dio fuori di me”. Gesù riparte proprio da questo
comandamento, deve diventare il centro di orientamento di tutte le scelte e
nulla può impedire questo coinvolgimento di adesione.
La frase “Chi non prende la propria croce e non mi
segue non è degno di me” dà forza a tutto il resto. Questa è una delle
tante frasi del vangelo che sono spesso male interpretate a causa di una
spiritualità tipica dei secoli passati che poneva molta enfasi nella necessità
di fare penitenza, soffrire, ecc. Spesso sentiamo dire: mi rassegno a portare
con pazienza le croci che mi sono capitate. Qualcuno poi arriva a pensare che è
Dio che gli manda le croci. Queste sono idee errate. Gesù ci vuol dire che non
vuole discepoli qualsiasi, senza spina dorsale, senza impegno. Se Lui è “più”, anche il nostro impegno deve
essere un più, anche a costo di prendere la croce. La croce, nella mentalità
del tempo di Gesù, non rappresentava la sofferenza, ma era segno di vergogna,
di essere rigettati. Quindi quando nel passato si interpretava dicendo Dio
vuole che sopportiamo la sofferenza, è sbagliato. La sofferenza dobbiamo
cercare di curarla e superarla. Dio non vuole la sofferenza. Tribolazioni
malattie dispiaceri presto o tardi arrivano a tutti e non c’era bisogno che
venisse Gesù per dire che dobbiamo portarle con pazienza, ma ci sono cose che
sono inevitabili quando si sceglie Gesù come quella di essere considerati dei
rigettati, gente di cui vergognarsi, gente da evitare. Siete disposti ad
accettare questo stigma sociale per essere fedeli a Gesù. Gesù parla di questa
croce, quella che lui ha portato al Calvario, quella che chi la portava era
additato da tutti come maledetto da Dio e beffeggiato da tutti. Di solito la
croce veniva data a chi era un sovvertitore delle istituzioni religiosi e
politiche. La religione giudaica riteneva benedetti da Dio i ricchi e quelli
che stavano bene. I poveri erano castigati, maledetti. Gesù ha abbracciato
questa croce. Avrebbe potuto evitarla rinunciando al suo messaggio. Se avesse
accettato di vivere comodo come gli altri lo avrebbero lasciato tranquillo,
magari avrebbe anche fatto carriera date le sue indubbie qualità e
intelligenza, ma lui ha accettato di essere considerato un maledetto.
La croce dice che
devi fare una scelta cosciente di accettare questa sua proposta sapendo le
conseguenze. È la scelta dello schiavo, del servo, uno che agli occhi di questo
mondo è considerato un fallito, uno a cui tutti possono dare ordini.
Chi sono le
persone che ti faranno soffrire di più con il loro rifiuto o la loro critica? I
tuoi stessi parenti, perché sono le persone che ami di più e che dovrebbero
amarti di più.
C’è poi la frase
“Chi perderà la vita …” è una frase
ripetuta ben sei volte nei vangeli, forse la frase più ripetuta. La croce è il
luogo dove si perde la vita, o meglio, dove la si dona agli altri. Se sei
disposto a donare la tua vita, allora sì che puoi seguire Gesù e trovi la vita
vera, entri nella logica di Dio, altrimenti rimani aggrappato a cose materiali
che presto periranno.
Gesù invita i
discepoli a non tenere per sé la vita, ma ad avere il coraggio di perderla. È
la sfida di ogni madre che per vivere deve dare vita. Una madre genera se non
tiene per sé la vita che ha dentro. Per questo davanti alla scoperta di essere
incinta, una donna è anche attraversata da un momento di paura, la paura di
perdersi.
La grande
tentazione è infatti quella di preoccuparci solo di noi stessi. E molto spesso questa tentazione assume anche il volto di una
proposta ragionevole e buona: devo occuparmi della MIA vita, devo
pensare al MIO percorso, alla MIA carriera, persino talvolta al
MIO cammino spirituale.
Siamo talmente ossessionati dalla nostra vita che
non arriviamo mai a viverla!
Gesù è convinto invece che
arriviamo a vivere pienamente la vita solo quando siamo capaci di perderla per qualcuno, ma anche
quando siamo capaci di perdere
qualcuno. Ci sono legami infatti che possono soffocarci e impedirci
di andare verso la pienezza della nostra vita: «Chi ama padre o madre più di me
non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me». Spesso
sono legami in sé buoni, ma che ci soffocano dentro una culla da cui non
usciamo mai.
Nell’ultima parte del discorso, Gesù si rivolge a coloro che hanno già abbracciato la croce e usa parole dolci. “Chi accoglie voi accoglie me e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”; “Chi accoglie un profeta …”;“Chi accoglie un giusto…”. È l stessa frase ripetuta in tre modi diversi. Ricordiamoci che siamo nel discorso rivolto a coloro che dovevano andare in missione tra la gente, quindi è rivolta a tutti quei Cristiani che prendono sul serio il loro impegno di testimoniare il Regno di Dio e la legge dell’amore. Anche oggi, quando vediamo una persona coraggiosa la chiamiamo ”un profeta”. Dio parla attraverso questi profeti. E noi come possiamo accogliere questi profeti? Prima di tutto accogliendo il loro messaggio, poi dando sostegno morale a questi che sono osteggiati. I profeti vengono spesso emarginati, anche con delle belle scuse, che li mettono da parte. Accoglierli vuol dire difenderli. La terza accoglienza del profeta è di aiutare anche concretamente chi svolge questa missione. La ricompensa consiste che avranno la stessa ricompensa del profeta cioè sarete considerati parte della missione che egli sta portando avanti.