Mangiare Cristo per avere la vita eterna.

Mangiare Cristo per avere la vita eterna. (Gv. 6, 51-58)

 I tre vangeli sinottici, quando parlano dell’Ultima Cena, riportano l’istituzione dell’Eucarestia fatta da Gesù e poche altre sue parole. Giovanni, invece, dedica ben 5 capitoli a questa cena e, sorprendentemente non vi compare il racconto dell’Eucarestia. Probabilmente la ragione per questa omissione è dovuta al fatto  che questo vangelo è posteriore agli altri tre, quindi, quando Giovanni scrive, non sente il bisogno di raccontare l’istituzione perché ne hanno già parlato sia sinottici che Paolo. Siamo ormai alla fine del primo secolo e le comunità cristiane hanno già preso l’abitudine di celebrare alla domenica il memoriale della cena e dello spezzare del pane. Forse questo stava già diventando un rito abitudinario, non collegato alla vita, allora Giovanni utilizza il suo vangelo per fare una catechesi profonda di cosa Gesù volesse veramente dire istituendo il sacramento dell’Eucarestia. Questa catechesi comprende due momenti. 

Il 1° insegnamento lo dà all’inizio dell’ultima cena inserendo l’episodio della lavanda dei piedi. Qui Giovanni ci vuol dire che il rito dello spezzare del pane, deve tradursi in pratica nella vita perché il servizio è il modo di imitare Gesù che spezzò se stesso e lo diede agli apostoli da mangiare. Se noi ci nutriamo di questo cibo ma poi non abbiamo il coraggio di dare la nostra vita per sostenere gli altri siamo ipocriti.

Il 2° insegnamento lo dà al capitolo 6, dopo aver raccontato il “segno” della moltiplicazione/condivisione dei pani, quando, in un lungo discorso, Gesù spiega cosa significa assimilare quel pane. All’inizio di questo discorso c’è una chiarificazione del “segno” che non era stato compreso dalla gente. Essi, come spesso accade a noi, si erano illusi che Gesù fosse venuto per risolvere tutti i nostri problemi concreti. “Voi mi cercate non perché avete compreso il segno ma perché avete mangiato il pane e vi siete saziati”. Tutti i bisogni dell’uomo saranno saziati non con miracoli dall’alto ma quando essi accetteranno la logica dell’amore e della condivisione.

Dopo aver chiarito questo equivoco comincia a parlare di un altro tipo di cibo, non più quello materiale, ma di uno che è sceso dal cielo per nutrire un’altra vita. “Non cercate il cibo che perisce ma quello che dura per la vita eterna”. La vita biologica può ridursi a un vegetare, quella vera è data da un pane che è sceso dal cielo e Gesù presenta se stesso come tale pane. Nella tradizione giudaica la manna del deserto, oltre che rappresentare il cibo che aveva permesso ai loro antenati di sopravvivere nel deserto, era anche simbolo della Sapienza di Dio che viene donata a noi per permetterci di vivere da uomini “giusti”. Lo abbiamo sentito nella prima lettura di oggi, nel passo del Deuteronomio che dice “L’uomo non vive solo di pane ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Quindi Gesù presentandosi come  pane disceso dal cielo si sta presentando come sapienza di Dio inviata dal cielo per guidare gli uomini alla vera vita umana. Gesù è questo pane che alimenta in pienezza la vita umana.

A questo punto inizia il nostro brano. Le parole usate sono più o meno le stesse dell’ultima cena: il pane è il suo corpo e noi questo corpo dobbiamo mangiarlo se vogliamo avere la vita eterna.

Mi chiedo: cosa avranno capito i discepoli nell’ultima cena quando Gesù, prende il pane lo spezza e dice questo è il mio corpo? Poteva usare qualsiasi altro segno, perché cibo e bevanda? Perché sono necessari per la nostra sopravvivenza. Noi di cosa ci nutriamo? Cosa è veramente importante per la nostra vita? Troppo spesso ci riempiamo di cose precarie, di stupidaggini che a un bel momento vengono distrutte dalle vicende della vita. Abbiamo vissuto per anni correndo dietro a cose vane e futili. Di cosa si vive veramente? Cosa è necessario? Ciò che esce dalla bocca di Dio, i suoi decreti. Questo i discepoli lo hanno capito bene.

Ecco allora che troviamo al centro del discorso il verbo “mangiare”, in queste poche righe ritorna ben 11 volte. Poi c’è 4 volte il verbo “masticare”, assimilare fino alle briciole, infine c’è il verbo “bere”. 

Mangiare e bere significa accogliere nella nostra vita quello che ci viene presentato da Cristo e dalla sua persona. I Giudei che ascoltano questo discorso reagiscono. Hanno capito che il pane è la persona di Gesù e il suo messaggio e, per loro, è una proposta scandalosa. La sapienza per un Giudeo è la Torah; Gesù dice la Torah non è tutto, devono andare oltre perché la sapienza di Dio si è fatta carne. Devono assimilare questa sapienza come pane della vita. Mangiare significa assimilare la sapienza divina che si è incarnata in Gesù e se vogliono che si realizzi la vita che ci è donata, dobbiamo accoglierla nella sua incarnazione. Gesù è questa sapienza discesa dal cielo.

Gesù va oltre. Non si riferisce solo a una dottrina ma a un mangiare concreto. Ora non nomina più il pane e il vino ma direttamente quello che per Lui essi significano: la sua carne, e il suo sangue. Per il semita, la carne indica la persona nella sua fragilità, vulnerabile, effimera, destinata a morire, il suo modo di essere di agire, di pensare. La sapienza di Dio si è fatta uno di noi con tutte le fragilità della nostra natura. L’immortale si è fatto mortale come noi? Per i Giudei questo era una bestemmia. Il sangue rappresenta la vita della persona. Gesù ci dice: Dovete bere il mio sangue, la mia vita, il mio spirito. Quando si mangia quel pane e beve quel vino si fa la scelta di accogliere Gesù con tutta la sua vita.

Poi ripete lo stesso concetto con il verbo “masticare”. Quella persona di Gesù dobbiamo averla masticata nei dettagli, assimilata bene, perché altrimenti compiamo un rito di cui non comprendiamo la portata e non possiamo mettere in pratica l’impegno che esso comporta.

Alle volte noi pensiamo di poter andare avanti nella nostra vita con una preghiera occasionale, pensando di accettare la volontà di Dio solo quando ne avremo estremamente bisogno (ma ne faremmo volentieri a meno). Tanti dicono di vivere di Cristo ma poi brontolano su ogni cosa, manca loro sempre qualcosa. Cristo è il vero cibo. Quando le cose sono impastate di Cristo, la sua presenza in tutto lo rende buono e saporito e ci basta molto meno di quello che pensiamo .

Gesù sta dicendo loro di entrare in un rapporto di intimità, di unione nuziale con Lui, unione che non è semplicemente un vivere l’uno accanto all’altro, ma un assimilare, fare proprio, diventare un tutt’uno con Lui, con il suo modo di pensare e di agire.

La sua predicazione ha creato scandalo e divisione. Si è fatto uno con i peccatori, ha mangiato con loro, si è reso impuro toccando i lebbrosi e i feriti, si fermava a parlare con le donne e ad alcune di loro pretendeva di perdonare gli adulteri; come si può attribuire tutto questo a Dio? Gesù chiede alla gente di rinunciare al potere per mettersi a servire, di rinunciare alla loro prerogativa di popolo eletto per far spazio a tutti, peccatori e pagani. Come si può accettare tutto questo?

In passato abbiamo insistito molto sull’adorazione Eucaristica, aspetto importante e bello e che ancora oggi viene praticato, ma dobbiamo stare attenti a un pericolo. Nel nostro linguaggio devozionistico spesso ispiriamo l’idea di dover stare vicino a Gesù, consolarlo, fargli compagnia, ecc. Queste sono idee sbagliate se riducono la nostra preghiera ad una forma intimistica che non porta cambiamenti nella nostra vita pratica. La richiesta che Lui ci fa non è di essere lì a fargli compagnia ma a lasciarsi coinvolgere nella sua vita.

“Chi mastica la mia carne dimora in me e io in lui”. È l’immagine sponsale dell’Eucarestia, rimanere in Cristo. È la stessa formula usata nel Cantico dei Cantici quando parla dell’amata e del suo rapporto con l’amato. Il banchetto eucaristico è l’incontro sponsale con Cristo. Siamo disposti ad unire la nostra vita alla sua? Quando mangiamo Gesù, diventiamo un’unica persona con Lui come lo sposo con la sposa. Quindi la nostra adorazione eucaristica deve essere il momento in cui mi riempio d’amore per Lui e del desiderio di essere sempre più uguale a Lui e unito a Lui.

Gesù, presentandoci l’Eucarestia, non ci sta dando l’obbligo di andare a Messa la domenica, e nemmeno di ricevere la comunione. Ci sta facendo un invito a entrare in “comunione” con Lui, ad accettare il suo amore gratuito, a lasciare da parte il nostro modo stolto di vivere e condividere il suo modo di pensare e di agire che rappresenta per noi l’unico modo di vivere la vita in verità e pienezza, cioè una vita secondo quello per cui Lui l’ha creata.

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