La sete di Dio che ci salva


Assetata di Dio senza saperlo (Gv. 4, 1-42)

Quello che abbiamo ascoltato oggi è un brano molto conosciuto e che ha diverse chiavi di lettura tutte interessanti. Cercherò di presentarvene una che ci possa aiutare nel cammino quaresimale. Se qualcuno fosse interessato ad altre letture può vedere la mia omelia di tre anni fa: https://orestereligiouslife.blogspot.com/2017/03/la-donna-di-samaria-il-riscatto-di-una.html .
Alcune indicazioni storiche e geografiche utili da conoscere. La città da cui proviene la donna è Sichar, l’antica Sichem di Abramo e di Giacobbe. Essa sorge all’imbocco di una gola tra il monte Garizim, sul quale era posto un tempio che i Samaritani adoravano, e il monte Ebàl, monte considerato maledetto. Questa gola era un passaggio obbligato per chiunque volesse andare dalla Samaria verso Gerusalemme. Dall’altra parte della gola c’è la città di Samaria, capitale della regione. I samaritani erano una parte del popolo di Israele sempre in lotta con i Giudei perché nei secoli, dalla distruzione di Samaria ad opera degli Assiri in poi, si era spesso mischiata con gente di altre nazioni e quindi sia il loro sangue ma anche il loro modo di credere si era alquanto inquinato. Proprio a causa delle lotte nel 330 AC si erano costruiti un tempio sul monte Garizim che fosse l’alternativa al tempio di Gerusalemme. Tale tempio, però fu distrutto da Giovanni Ircano nel 160 AC e quindi ai tempi di Gesù non c’era più. Qui si trova anche la tomba di Giuseppe, figlio di Giacobbe che scelse proprio questo posto per la sua sepoltura per ricordare il luogo dove era stato tradito e venduto dai suoi fratelli. A circa un chilometro da Sichar c’era il pozzo di Giacobbe, mentre in periferia della città ce ne sono altri due. Ci si chiede: perché questa donna fa una strada così lunga per andare a prendere l’acqua quando ha dei pozzi più vicini? E perché va a mezzogiorno quando fa così caldo? Di solito le donne andavano al mattino o alla sera. Veniamo al testo.
C’è scritto che Gesù era in viaggio da Gerusalemme alla Galilea e “bisognava” che passasse dalla Samaria. Questa è un’incongruenza perché seguendo il racconto Gesù si trovava in Giudea e voleva andare in Galilea. A quei tempi la strada più veloce e sicura era quella che passava lungo la valle del fiume Giordano. Allora il “bisogno” di Gesù non è legato al viaggio ma al fatto che deve incontrare questa donna. Una curiosità: Marco nel suo vangelo non parla mai dei Samaritani, Matteo solo una volta di sfuggita; Luca ne parla con la parabola del buon Samaritano e poi nell’episodio in cui si dice che gli abitanti di un villaggio si rifiutarono di lasciar entrare Gesù e i suoi discepoli. Da questo si nota quindi la rivalità di cui ho parlato prima. Il vangelo di Giovanni ha questo episodio.
Per capire il significato di questo episodio partiamo dalle frasi del Battista che si trovano nei capitoli precedenti. Lui aveva detto: “Io non sono lo sposo ma l’amico dello sposo che sta arrivando, io ne sento la voce”. Subito dopo queste parole abbiamo le nozze di Cana e poi questo incontro. Lo sposo sta per arrivare e abbiamo l’incontro di Gesù con questa donna che ha avuto tanti amanti ma non ha mai avuto uno sposo vero. Gesù le dice di andare a cercare il suo sposo se no non sarà mai contenta. In tutto l’Antico Testamento, specialmente da Osea in poi, Israele è chiamato la sposa di Dio. In Osea si dice chiaramente che lo sposo viene a cercare la sposa che è infedele e ogni volta che lei scappa lui torna sempre a riprendersela. La chiave di lettura che vi voglio proporre per il brano di oggi sta proprio in questa metafora nuziale, le nozze tra Dio e l’umanità.
Gesù viene a Sichar, vicino al pozzo di Giacobbe. Il pozzo esiste ancora è profondo 32 metri ed è ancora in uso. Perché l’incontro avviene al pozzo?  Il pozzo nella bibbia è il luogo di incontro dei pastori, dei commercianti, delle donne che vengono ad attingere acqua e qui si incontravano anche gli innamorati; nell’AT abbiamo vari incontri al pozzo: il servo di Abramo che cerca moglie per Isacco, Giacobbe in Mesopotamia incontra Rachele, infine Mosè incontra Zippora. Giovanni fa incontrare lo sposo annunciato dal Battista con una donna che ha una storia di tradimenti alle spalle e deve andare a cercare lo sposo, allora c’è un richiamo al simbolismo del pozzo. Mi viene spontaneo pensare che a chi frequenta i nostri corsi prematrimoniali si potrebbe chiedere: “A quale pozzo vi siete incontrati, quale acqua stavate cercando?”.
Gesù, dopo il lungo cammino è stanco e seduto, è l’unica volta che i Vangeli fanno accenno alla stanchezza di Gesù. I discepoli vanno a Sichar, perché Gesù no? Perché vuole che l’incontro avvenga in privato.
Facciamo attenzione ad un dettaglio: non è la donna che cerca Gesù, lei, sposa infedele, avrebbe continuato tranquilla la sua vita; è lo sposo che non può stare senza di lei e va a cercarla, proprio come Osea e come il Dio dell’Antico Testamento.
Arriva la donna; non ha nome. Di solito in un racconto banale si mette un nome, qui l’unica indicazione è che è Samaritana. Lo sposo innamorato, che vuole recuperare la sua sposa infedele, di fronte a lei mendica: “Dammi da bere”. Nella cultura semitica chiedere da bere indica chiedere ospitalità. Il salmo 63 dice: “Di te ha sete l’anima mia” e il salmo 41: “Come la cerva anela a corsi d’acqua così l’anima mia anela a te, o Dio”. Il bisogno di amore è presentato con l’immagine della sete, la stessa sete che Gesù espresse anche sul Calvario: “Ho sete!” e che Don Orione commentò dicendo: “era sete di anime non di acqua”.
L’uomo si è abituato a tirare avanti la vita con i suoi idoli, chi sta male è Dio.
Dio chiede amore, ma a chi lo chiede? Non ai santi, ma a una scapestrata. Il nostro Dio ha bisogno di queste persone, quelle lontane, quelle perdute. Noi questo Dio possiamo rifiutarlo ma Lui è fatto così, fa un lungo viaggio per riprendersi questa sposa.
Se tu conoscessi il dono di Dio gli avresti chiesto tu da bere e ti avrebbe dato acqua viva”. Lui che è innamorato di te vuole farti un dono che non ha più rapporto col pozzo; ora riconosci che anche tu hai sete e solo Lui può placarla. Questa è “sete di Dio”, la sete di infinito; noi possiamo tentare di placarla con cose materiali o con gozzoviglie ma non si può placare, siamo fatti per l’infinito e come dice Sant’Agostino: “Il nostro cuore è irrequieto finché non riposa in Te”.
Questa sete e l’acqua viva del suo amore per placarla, sono un dono di Dio. Nella vita ci sono cose che possiamo conquistare, come una posizione o i favori di qualcuno; le cose materiali possono essere conquistate, ma queste non possono placare quel che solo il dono che Dio ci offre può placare. Esse sono la vita, l’amore, la luce della fede. Queste non possono essere conquistate, sono dono di Dio.
La donna non capisce, perché è ripiegata solo sulle cose materiali e questo è il comportamento di molti di noi ripiegati solo su ragionamenti terreni. Chiunque beve dell’acqua terrena avrà sete di nuovo; noi siamo fatti bene, siamo fatti per essere saziati dal dono di Dio. “Chi beve dell’acqua che io darò non avrà più sete e diventerà una sorgente zampillante che risolverà tutti gli altri problemi”.
La donna di Samaria chiede quest’acqua “viva” solo per calcoli suoi materiali: “Non dovrò più tornare al pozzo”. Attenti che anche noi possiamo entrare in un rapporto con Dio solo per interesse materiale, siamo dei mercenari, cioè andiamo con Lui solo se paga, se ne vale la pena, se mi ricompensa coi suoi miracoli.
Gesù dice: “Va e chiama il tuo sposo e poi vieni qui”. È la richiesta che Gesù fa a tutti noi: cerca il tuo sposo perché forse stai adorando un idolo, non il vero Dio.
La donna è onesta e dice: “Non ho sposo, ho avuto 5 mariti”. Di questa frase ci sono molte spiegazioni. Gesù non le fa un rimprovero, la sua tecnica di approccio è di farle notare la sua insoddisfazione profonda e il bisogno di incontro con Dio “sposo” che dà senso alla vita. Finché non si fa questa esperienza profonda dell’amore di Dio c’è il pericolo di fare tanti piccoli matrimoni idolatrici che non soddisfano mai e durano poco.
Finalmente la donna introduce l’argomento del Tempio: “Dove dobbiamo pregare?”. La risposto di Gesù è semplice: “Credi a me”. Credere vuol dire innamorarsi, affidare la propria vita a un’altra persona. La chiama di nuovo donna, non è nominata perché non sta parlando a una persona specifica ma a tutti noi: “Credimi sarai felice solo rispondendo a questo amore”.
La conclusione è bella. La donna lascia la sua brocca (il termine usato è lo stesso temine delle giare di Cana), che ora è lì vuota, per terra, perché la donna non ha più bisogno di altra acqua ma si è trasformata lei stessa in sorgente di acqua viva capace di attirare a Gesù tutta la gente del suo paese.
Il nostro Dio è pazzo, pazzo d’amore per noi ed è grazie a questa pazzia che siamo stati salvati.

Post popolari in questo blog

Gesù è davvero un re?

I santi, nostri amici

Alle sorgenti della gioia