Non c'è maggior cieco di chi non vuol vedere


Tutti nati ciechi, ma solo qualcuno si lascia guarire. (Gv 9, 1-41)
L’episodio di oggi si svolge nel contesto della festa delle capanne, in autunno, la festa per eccellenza che indica la fine della vendemmia e della stagione agricola. Durava 7 giorni e il centro della festa era il tempio di Erode. A poca distanza dal tempio c’era la piscina di Siloe che riceveva acqua che dalla sorgente di Gihon era stata incanalata fino a qui. Siloe vuol dire “acqua inviata”. Cosa caratterizzava questa festa? 2 elementi: la liturgia dell’acqua e quella della luce. Durante questa festa Gesù si scontra con i Giudei proprio su questi riti. Troviamo la descrizione di questi fatti nei capitoli 7-9 del Vangelo di Giovanni.
La “Liturgia dell’acqua”.  Ogni mattina il sacerdote andava con una brocca d’oro a prendere l’acqua di Siloe che era considerata pura e con molta solennità tornava al tempio e versava l’acqua sopra l’altare. Si pregava per la pioggia che era molto importante per le semine. Proprio lì Gesù (Gv 7,37) aveva gridato: “Chi ha sete venga a me e beva”; l’altra è solo acqua materiale e non sazia mai. La vera sorgente di acqua viva è Gesù.
La seconda caratteristica era la liturgia della luce. Gerusalemme era tutta illuminata a giorno con fiaccole. Nella spianata del tempio ce n’erano 4 enormi e bisognava portare la luce anche agli ammalati. Anche qui Gesù aveva “gridato” presentandosi come luce del mondo: “Chi segue me avrà la luce della vita” (Gv 8,12).
Il racconto della guarigione del cieco va capito in questo contesto. Gesù ha guarito molti ciechi ma qui c’è il simbolo del cammino che ognuno deve fare dalla tenebra alla luce.
Cosa rappresenta la guarigione di questo cieco? La cecità è l’immagine della condizione in cui ciascuno di noi nasce. Noi nasciamo in una condizione che ci inclina verso il basso non verso l’alto; fin dall’inizio siamo portati a soddisfare la natura, le pulsioni biologiche, quelle che ci portiamo dietro fin dalla nascita. Abbiamo bisogno che durante il cammino della vita apriamo gli occhi per vedere chi siamo veramente, verso dove camminiamo. C’è il rischio che noi ci accontentiamo di quello che la natura ci offre e non guardiamo al vero destino che abbiamo come figli di Dio.
Di solito si dice che la Fede è cieca e solo il pensiero e la scienza ci vedono. È un’idea sbagliata. Non si può credere senza pensare, dobbiamo riflettere e poi con coraggio fare le scelte. La Fede non è irragionevolezza. Gesù è venuto proprio per portare questa luce che ci permette di vedere e riflettere. Zaccaria aveva detto che Gesù è “Luce per illuminare le genti” e Gv 1 diceva “È venuta la luce nel mondo”. Ecco il significato di questa guarigione.
Gesù è vicino al tempio, vede un uomo cieco dalla nascita. Non ha nome perché rappresenta tutta l’umanità che è nata cieca. Attenzione! Non è il cieco che chiede il miracolo, lui non ha mai fatto l’esperienza della luce per cui non sa cosa sia, in cosa consista. Molti giovani non hanno il gusto delle cose belle e importanti, non le ricercano, perché sono dei pecoroni trascinati dalla moda e non hanno mai fatto esperienza di qualcosa di diverso, il gusto del bello. È Gesù che va da lui per offrirgli una nuova vita.
Mentre si avvicina gli chiedono: “Chi ha peccato perché è nato cieco?” Era la mentalità normale pensare che ogni malattia sia un castigo. Gesù non vuole sentire questi discorsi. Per Giovanni la cecità non è colpa dell’uomo, è la condizione in cui tutti nasciamo, non è un peccato. Noi nasciamo bisognosi di qualcuno che ci apra gli occhi e Gesù dice: “Io sono la luce che vi può aprire gli occhi”.
Gesù sputa per terra e pone il “suo” fango sugli occhi del cieco. La saliva è il concentrato dell’alito, del soffio, impastato con la polvere della terra proprio come nella creazione dell’uomo dove il fango della terra con il soffio divino diventa uomo. Siamo alla ripetizione del gesto creatore divino. Ora Gesù prende il “suo” fango, cioè la sua persona la sua incarnazione di uomo autentico impastato della polvere della terra e dello Spirito di Dio, e lo mette sugli occhi dell’uomo perché possa finalmente vedere, capire la sua condizione.
Poi dice a questo cieco: “Va alla piscina di Siloe”, all’acqua dell’inviato. La guarigione del cieco non è un miracolo automatico, c’è bisogno che la persona faccia una scelta, si metta in movimento per prendere l’acqua dell’ “Inviato”.
Ma non appena il cieco comincia a muoversi in autonomia, comincia a scontrarsi con chi, invece, gli occhi non li ha ancora aperti. L’uomo che è stato illuminato non è più riconosciuto dagli altri. Prima era immobile e dipendente, ora non più; è lui che si muove e fa le sue scelte. Lo stesso capita anche a noi, prima magari eravamo scorbutici chiusi in noi stessi, ora, da cristiani siamo amorevoli servizievoli e gli altri non ci riconoscono più e ci chiedono cosa sia cambiato in noi. Si nota la differenza dell’uomo nuovo.
Gli altri, ora, sono preoccupati che lui non sia più quello di prima, può scappare dalle loro mani e disturbarli col suo nuovo comportamento, con le sue nuove idee. Quello che interessa a Giovanni, ora, non è più la guarigione in se stessa, ma il passaggio dalle tenebre alla luce operata dal Vangelo. Troppo spesso, in passato, si usava il Vangelo per giustificare le scelte del mondo, qualcuno però si è lasciato aprire gli occhi dal vangelo e ha cominciato a predicare in modo diverso, a minare le basi della vita tranquilla che ci eravamo costruiti;  chi è “troppo evangelico” diventa un problema per i benpensanti. È la mentalità che deve cambiare, non le singole cose. Cosa fanno questi benpensanti disturbati dal nuovo stile di vita del ex-cieco? Lo portano dai farisei e lo accusano di aver tradito la tradizione e voler destabilizzare la società. I Farisei sono il simbolo di chi è diventato schiavo del “Si è sempre fatto così”. I Farisei allora iniziano a interrogare il cieco, e alla fine gli chiedono “Cosa pensi di questo tale?” non lo citano mai per nome. Prima lui aveva detto che era un uomo, ora fa un passo avanti e dice “è un profeta”. I Farisei, non volendo credere a quello che è accaduto chiamano persino i suoi genitori. 
L’interrogatorio ora lo fanno i Giudei, non i Farisei. Nel vangelo di Giovanni i Giudei rappresentano sempre l’opposizione a Gesù, i capi della religione. Secondo le tradizioni di Israele era compito dei genitori educare i figli, per cui li interrogano sulle loro responsabilità. Loro subito, per paura, dicono: “noi non centriamo nulla con la nuova realtà, chiedete a lui da dove gli viene questa luce”. Si rendono conto che se il loro figlio si lascia guidare dalla nuova luce, alla fine sarà un perdente e allora hanno paura che anche loro saranno cacciati dalla sinagoga cioè dalla società tradizionale, perdendo quel supporto sociale che avevano dalla struttura di allora.
C’è un ultimo tentativo per cercare di far tornare il cieco dentro i ranghi della tradizione. Qui ci sono di nuovo i Farisei. Quando si tratta di proteggere i propri privilegi essi si compattano. Iniziano l’interrogatorio presentandosi come coloro che sanno: “noi sappiamo che lui è un peccatore per cui dai gloria a Dio” cioè allineati alle nostre posizioni. L’ex cieco, invece, è più libero; ammette di non sapere molte cose, ma ha la sua esperienza di guarigione. Loro vorrebbero provare che Gesù è andato contro le regole del sabato, lui, da uomo libero, si permette di fare dell’ironia “volete farvi anche voi suoi discepoli?” Hanno paura di mettere in discussione le loro convinzioni. Anche noi abbiamo paura che il vangelo ci chiami a rimettere in dubbio quello in cui abbiamo sempre creduto. Dobbiamo avere il coraggio di lasciarci provocare: se le nostre convinzioni sono solide, il vangelo le rafforzerà, se sono sbagliate è giusto che cadano.
Con la sua semplicità ora, l’uomo, può fare della teologia: se Gesù fosse un peccatore, Dio non lo ascolterebbe! I capi del popolo non sanno rispondere, allora usano un tono autoritario: “noi siamo i sacerdoti tu un ignorante” e lo cacciano fuori dall’istituzione.
Ora vediamo le caratteristiche di chi si è lasciato aprire gli occhi dalla luce.
1) ripete continuamente “non so”. I Farisei dicevano “noi sappiamo” lui replica sempre “non lo so”. È uno che si lascia mettere in causa, non ha delle convinzioni sue da difendere, accetta la verità senza paura, è aperto, non chiuso, nelle sue idee. Chi si vanta troppo di sapere tutto è uno che sa meno degli altri e ha paura della sua ignoranza.
2) è cosciente della sua identità. “Sono io”, sono un uomo nuovo e sono felice di essere nuovo.
3) è una persona libera nel presentare la propria convinzione. La fede vince la paura.
4) nel rapporto con l’autorità la rispetta ma non la idolatra, o divinizza. Prima viene il vangelo e poi l’autorità.
5) è una persona coraggiosa, riesce persino a fare dell’ironia, non ha paura di un confronto perché non ha nulla da difendere, vantaggi o privilegi. Non si lascia intimidire da chi gli si oppone con violenza. Non ricerca baciamani o adulazioni. È uno che non si lascia intimidire, non rinuncia alla verità, anche se questa è scomoda e sgradita a chi sta in alto.
6) è uno che resiste alle pressioni, piuttosto che rinunciare alla luce accetta di subire la violenza.
Ora ricompare Gesù che ha accompagnato il cammino dell’uomo senza essere presente. È di nuovo Lui che lo va a cercare e lo trova.
Abbiamo visto l’opposizione che deve confrontare il cieco nel suo cammino di conversione. Gesù aveva detto a Nicodemo che la gente preferisce le tenebre alla luce, chi è guidato dall’interesse, dalla passione, è disturbato dall’uomo nuovo, non vuole vederlo, ma restare uomo vecchio.
Gesù non lo lascia solo ma va a cercarlo e gli chiede: “Credi nel figlio dell’uomo?”, nell’uomo che ti ho fatto vedere? “Chi è?”Tu lo stai vedendo, colui che è davanti a te è l’uomo realizzato”. Credere è accettare assumere in sé nella propria vita lo stile dell’uomo nuovo. “Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi”, quando vivete con coerenza lo stile di Gesù sarete rigettati.
Lui dice “Credo”. Allora Gesù gli dice: “Stai attento a non perdere di nuovo la vista!”.
Sembra che di colpo ricompaiano di nuovo i Farisei. Forse Giovanni vuole dire che ora siamo noi che dobbiamo chiedere: “siamo forse ciechi anche noi?” Nascere ciechi non è un peccato, fa parte della natura umana, il peccato sta nel rinunciare a incarnare l’uomo vero, colui che ci viene presentato dall’incontro con il vangelo.

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