Siamo invitati a nozze: chi si sposa?

 Invitati a nozze. Chi si sposa? (Mt 22:1-14)

Gesù è ormai in Gerusalemme, pochi giorni prima del suo arresto e della sua condanna a morte. Si sta preparando. Sa che non potrà evitarla, ma vuole che ognuno abbia il maggior beneficio da essa.

Si concentra ora su quelli che lo condanneranno. A loro ha già dedicato le due parabole che abbiamo sentito nelle due domeniche scorse. Anche la parabola di oggi è per loro. Si parla della festa di nozze del figlio di un re e degli invitati a tale festa. La storia, in sé, presenta molti punti difficili da accettare in un racconto normale, ma se la prendiamo per quello che è, cioè un modo figurato di raccontare la realtà, si vede che tutto ha senso. Gesù sta parlando del popolo di Israele che è stato invitato a partecipare alle nozze di Dio con l’umanità celebrate tramite suo figlio. Coloro che lo stanno ascoltando in quel momento, cioè i capi del popolo e i sacerdoti del tempio, sono i primi invitati, in quanto popolo eletto, ma essi rifiutano perché non sono veramente animati da amore verso Dio, ma dalla ricerca del proprio interesse personale. Alcuni arrivano addirittura a maltrattare i servi mandati ad inviarli; è ciò che è avvenuto lungo i secoli a molti dei profeti.

Questo rifiuto, che li porta ad una rottura definitiva del loro rapporto privilegiato con Dio, diventa la benedizione di tutto il mondo, perché ora le porte della festa sono aperte a tutte le altre nazioni, indipendentemente dalla loro origine e dalla loro situazione religiosa o politica. Con la morte di Gesù, il messaggio del Vangelo è rivolto a tutte le nazioni.

Oggi, siamo noi gli invitati a nozze. Accettiamo di entrare in questa festa e di lasciarci coinvolgere attivamente a questo banchetto condividendo la vita, lo stile, le scelte dello sposo?

Chiedo questo per un motivo molto semplice: nel racconto c’è un particolare misterioso e preoccupante. Quando il re visita il banchetto si accorge che uno degli invitati non indossa l’abito nuziale. Il re gli chiede come sia entrato, e lo fa cacciare. È un dettaglio misterioso perché il re aveva chiaramente chiesto ai servi di andare agli incroci delle strade e far entrare nella sala del banchetto chiunque passasse di lì. Come può pretendere che un povero di passaggio abbia con sé l’abito nuziale per entrare a una festa a cui non aveva mai pensato?

Dicevo che è un dettaglio inquietante perché se leggiamo il brano come presentazione degli avvenimenti che riguardano la passione, morte e resurrezione di Gesù, allora il dettaglio può avere una sola spiegazione. Noi tutti siamo invitati a partecipare alle nozze di Gesù con l’umanità, ma non siamo invitati come spettatori ma come sposi. Accettare di entrare nella festa di Gesù vuol dire sposarne la causa, gli ideali, il modo di vivere, di pensare. Questo è l’abito nuziale, l’unico che dà senso al nostro rimanere nella sala di nozze. Gesù ci invita perché vuole condividere con ciascuno di noi il suo progetto, la sua vita. L’abito è la prima cosa che qualcuno nota quando ci guarda, copre la maggior parte del nostro corpo. Chi ci incontra, vede che siamo sposati con Cristo? Si nota che la nostra vita è uguale a quella del nostro sposo e che ne condividiamo idee, scelte e stile?

 

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