Nostalgia di senso

 Dove si trova la soddisfazione? (Lc 15)

Domenica scorsa il vangelo ci aveva fatto capire che ogni nostro errore o peccato contribuisce ad accrescere il male del mondo e irrimediabilmente ha degli strascichi che vanno al di là di quello che pensiamo, causando la sofferenza per molte persone che direttamente non centrano. Però il testo si era concluso con un messaggio positivo: Dio c’è e non ci abbandona e Gesù con il suo amore incondizionato e la sua morte in croce ha riaperto la porta della speranza facendoci capire che il male può essere estirpato.

Il vangelo di oggi riprende lo stesso argomento per spiegarci come si può vincere il male, e lo fa mostrandoci il vero volto del Padre. La parabola che abbiamo ascoltato era stata raccontata da Gesù ai Farisei per rimproverarli del loro atteggiamento. Credevano di potersi mettere al posto di Dio e condannare e punire i peccatori e pretendevano che anche Gesù facesse lo stesso nel nome di Dio. In quell'occasione Gesù racconta tre parabole, non una. La prima è quella della pecora smarrita, la seconda quella della moneta perduta. In entrambe si vede chiaramente l’atteggiamento di Dio: Egli ricerca ciò che è perduto, e appena trovatolo, fa una grande festa. Anche la terza, quella del Figlio prodigo, o meglio del Padre misericordioso, usa lo stesso schema, ma Gesù l’ha allungata per far comprendere le dinamiche di pensiero e di azione dei tre protagonisti. Il racconto, infatti, presenta l’interazione tra tre personaggi: il Padre e due figli, uno cattivo e uno buono.  Essi rappresentano Dio e gli uomini che la storia divide in due gruppi: i fedeli e i ribelli. Oggi potremmo dire che vuole farci vedere l’insieme dei cristiani divisi tra chi va in chiesa e chi invece non ci va più.

Il giovane figlio, il ribelle, aveva ricevuto tutto, ma non si accorgeva di quello che aveva; egli dava per scontato tutto, senza valorizzare le cose belle che aveva. Trovava vuota e noiosa quella realtà e cercava felicità, soddisfazione pensando che esse fossero fuori in cose esterne, diverse, esotiche, proibite. Lascia i tesori di casa in cerca di qualcosa di diverso, ma lo cerca in luoghi e cose sbagliate, che danno la gioia per breve tempo ma che poi lasciano il vuoto. Si è accorto che gli mancano ora, non tanto il cibo o i soldi, ma il papà, il fratello, la casa, cose che aveva e non si era mai reso conto di avere. Non tutti hanno il coraggio di fare il passo, Lui sì, perché ha in testa una parola chiara: papà. Lui è figlio, anche se disgraziato. L’esperienza del peccato gli ha fatto capire il valore delle cose. La nostalgia gli ha fatto venire la voglia di tornare indietro. Però il peccato lascia sempre degli strascichi, delle ferite nell’anima: il senso di indegnità, di incapacità, la poca stima di sé, la paura di essere giudicati, condannati, rifiutati. Il fatto di presentarsi come servo e non come figlio è segno proprio di questo stato: voleva ritrovare la casa e il papà pur sapendo di non meritarselo.

Ogni esperienza di peccato lascia in noi un senso di amaro, di vuoto che diventa insopportabile e che spesso, proprio per cancellarlo, ci spinge a ripetere il peccato perché almeno in quel momento sentiamo qualcosa di diverso e inebriante, anche se sappiamo che è un inganno.  Questa è la spiegazione del perché non riusciamo a cancellare le nostre brutte abitudini, perché continuiamo a ripetere gli stessi peccati nonostante che andiamo ogni volta a confessarli. In verità non sappiamo resistere alla tentazione di ripeterli perché quella è una strada che conosciamo e che ci fa sentire vivi per un attimo, mentre non abbiamo fiducia della nostra capacità di fare qualcosa di diverso. Più riconosciamo la nostra stupidità, più ci sentiamo attratti da essa.

Il figlio che era stato lontano entra nella casa per fare festa.  Il fratello , il fedele, che della casa è padrone, non vuole entrare. Per lui è più importante la giustizia umana. Le feste vanno meritate, non regalate, e i peccatori vanno puniti. Lui non si è mai sentito figlio, ma servo; ha sempre creduto di doversi guadagnare l’amore del Padre attraverso il suo lavoro, ma ora non è soddisfatto di ciò che ha ottenuto.

Il padre va a cercare anche lui, non fa differenza tra i due perché entrambi sono suoi figli. La differenza la facciamo noi con la nostra falsa rettitudine, e in nome di regole disumanizzanti, alle volte, siamo disposti a rovinare i rapporti di parentela che abbiamo. Se la regola è più forte dell'amore, vuol dire che non è vero amore. Non si accorge nemmeno della contraddizione del suo discorso: pretende che il Padre lo ami e in nome di quell’amore non ami più l’altro figlio. C'è stato un adattarsi all’ambiente, un coglierne quanto offriva, ma la condivisione delle cose non ha portato al senso di famiglia, di appartenenza. Non so se qualcuno di voi conosce la famosa lettera di Don Orione sul “religioso servo” e il “religioso figlio”. Noi ci sentiamo famiglia di Dio? Per noi, la relazione che ci lega a Gesù, e quindi ai fratelli, è più importante delle cose che abbiamo e che ci fanno sentire comodi?

Ma il vero centro di tutta la storia è il Padre. È una persona di poche parole ma molti fatti. Rispetta il figlio che se ne vuole andare, ma gli corre incontro per riabbracciarlo quando torna. Gli viene proposto di trattarlo come servo ma lui prepara la festa più grande. Va incontro anche al figlio maggiore che è arrabbiato. Con lui parla e spiega. Se entrambe sono suoi figli, lui vuole che siano fratelli, non competitori. Nel Cristiano, non c’è spazio per gelosia, per primati. Se vogliamo sentire il senso di famiglia, la famiglia di Dio, allora dobbiamo  costruire relazioni di amore, condivisione, perdono, aiuto reciproco. Forse, in passato, i due figli non si erano mai parlati seriamente, avevano solo convissuto.

Non c’è scritto se sarà ascoltato o no, io spero di sì, ma importante è che Lui è corso incontro anche a questo figlio. Io credo che alla fine anche il secondo figlio entrerà e i due si abbracceranno, non perché abbiano dimenticato il passato, ma perché sono stati conquistati dall’amore del Padre.

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