Di chi è la colpa

Di chi è la colpa? (Lc 13,1-9)

Una delle prime domande che l'uomo si è fatto fin dagli inizi della storia è stata: Perché avvengono cose brutte? Da dove viene il male? 

Il popolo di Israele aveva un’idea chiara: Se sei fedele a Dio lui ti benedice mille volte, ma se sei infedele, lui ti punirà. Con questo modo di pensare, rimaneva aperta la questione delle disgrazie che accadevano a persone che non avevano fatto niente di male. Questo argomento era stato affrontato nel libro di Giobbe, ma la risposta non era sufficiente. 

Anche oggi molti di noi si pongono la domanda: se Dio è buono, perché permette che degli innocenti soffrano? 

La prima lettura ci presenta Dio che appare a Mosè e dice: Il mio nome è “Io sono”. Dio è colui che c'è; questa è l'unica risposta che possiamo trovare nell'Antico Testamento riguardo alla situazione del male. Noi non sappiamo da dove il male provenga, né il perché avvenga, ma una cosa è certa: anche nella situazione più penosa, come quella della schiavitù del popolo d’Israele in Egitto, Dio c'è, e trova una soluzione. 

La stessa domanda è stata rivolta anche a Gesù nell'episodio narrato nel Vangelo di oggi. Gesù risponde portando i due esempi che abbiamo ascoltato nel brano evangelico di oggi. Il primo riguarda delle persone che erano state uccise da Pilato mentre pregavano nel tempio e il secondo riguarda una torre che era crollata e aveva ucciso delle persone che passavano lì vicino. Gesù sa che Dio non punisce mai, neppure il più grande peccatore, ma al tempo stesso sa che la violenza genera violenza e le conseguenze di ciò si riversano su tutti indistintamente. La risposta che Gesù dà è questa: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.”. Cosa vuol dire questo? Intende dire che noi abbiamo qualche colpa? Se è così, essa è direttamente connessa al male che soffriamo, oppure no? E che cosa dobbiamo fare allora? 

Il senso della risposta di Gesù è molto concreto. Il male nel mondo c’è, ed è esso che produce la maggior parte dei danni e della sofferenza, però, da chi è causato il male? Molto contributo a questo lo diamo noi stessi. Attenzione qui non si tratta di dire: io faccio uno sbaglio e ne subisco le conseguenze, e neppure dire che Dio mi punisce per questo; il discorso è molto più allargato, molto più globale. Si parla di cose grandi e generiche, ma anche di quelle piccole e concrete, prendiamo ad esempio la corruzione, l’ingiustizia, l’inquinamento, eccetera. La corruzione fa sì che le cose siano fatte male, produce la povertà, l’ingiustizia, la divisione. Finché non si lavora bene, si fanno le cose senza la dovuta attenzione e non si usano i materiali opportuni, incidenti del genere si ripeteranno e magari persone innocenti ne verranno coinvolte, gente che con la corruzione non c'entra. Quindi non si può dire che esse soffrono a causa di qualche loro errore, ma neppure che soffrano per causa di Dio. Il dolore è provocato dall'ingiustizia, dalla corruzione che noi a volte approviamo in altri ambiti. Bisogna cambiare mentalità di vita. Bisogna mettere al centro del nostro modo di pensare e di scegliere concrete l’interesse di Dio e quello degli altri, non gli interessi personali. Bisogna lavorare assieme per costruire un mondo migliore, non un mondo a me più comodo e proficuo.

C’è poi anche da considerare la fragilità, non solo delle persone, ma anche dell'intero creato. La precarietà e la temporaneità sono insite alla nostra natura e quindi c’è sempre la possibilità che qualche cosa vada storto. Questo si applica a tanti fenomeni naturali, terremoti, vulcani, ma molti dei problemi della natura sono causati anche dall'inquinamento, dai disboscamenti, dalla cementificazione, eccetera. Finché noi accettiamo che si possano fare le cose male, che si possa arrivare a dei compromessi su cose in sé sbagliate perché tanto non ci toccano direttamente, anzi magari per guadagnarci, contribuiamo a costruire una società basata su fondamenta fragili e sbagliate di cui, poi qualcuno pagherà le conseguenze. Quindi la domanda di Gesù è: Voi da che parte state? Il vostro comportamento aiuta la società, il mondo, la natura e il rapporto con Dio, oppure siete anche voi entrati a far parte di questo gioco fatto di compromessi col male? 

Esiste poi una forma di male di cui forse non ci rendiamo conto, ed è il male interiore. Vogliamo veramente bene a noi stessi? Quante volte noi ci buttiamo giù, ci sottovalutiamo, oppure ci valutiamo esageratamente, in modo sbagliato per coprire i nostri stati di ansia, di scoraggiamento; quante volte non prendiamo delle iniziative buone solo perché abbiamo paura, o perché non abbiamo fiducia in noi stessi; quante volte agiamo dimenticandoci che Dio è con noi, che Dio ci ama, perché non ci riteniamo degni di questo amore. Queste sono tentazioni che non vengono dall'umiltà, ma vengono dal demonio che non vuole che Dio porti i frutti nella nostra vita.

Allora Gesù racconta la parabola del fico. Il fico rappresenta la civiltà e la religione dei Giudei che si rifiutano di portare i frutti indicati da Gesù. Luca è l’evangelista della misericordia quindi ci presenta un immagine in cui il fattore (Dio) vorrebbe tagliare l’albero diventato ormai inutile, ma il contadino (Gesù) intercede per dare all’albero ancora un’occasione in cui Lui metterà tutto il suo impegno. Siamo già nel viaggio verso Gerusalemme, vicini alla Pasqua e di lì a poco Gesù morirà; questo è l’ulteriore cura che Gesù vuol dare a questo fico. Con la parabole, però, vuole parlare anche a tutti noi. Pensiamo a tutti gli anni in cui abbiamo ricevuto una formazione cristiana, il catechismo, i sacramenti, abbiamo visto tante cose belle e preziose, ma nonostante questo, ultimamente, la nostra vita non produce più i frutti di una volta, magari siamo più stanchi, più sfiduciati, abbiamo perso l'entusiasmo degli inizi, ci siamo lasciati attirare dai compromessi con il male, non abbiamo più uno stile di vita chiaro. 

Qualcuno può pensare che ormai non c’è più niente da fare, bisogna buttare via tutto.

Gesù risponde: No! Dammi un'ultima possibilità. Tutto quello che è stato fatto finora era buono, ma io voglio provare qualche cosa di più. Quel qualche cosa di più è un concime tutto particolare che è la sua morte in croce, il suo amore incondizionato. Forse finora abbiamo vissuto il rapporto con Lui in maniera esterna, senza il cuore. Solo il suo Amore potrà far sì che il nostro albero torni a portare frutto.

Allora la proposta che Gesù ci fa è questa: di fronte a tutto il male del mondo, di fronte ai momenti negativi della vostra vita, provate a metterci il concime della preghiera e della riflessione basate sulla croce di Cristo. Riflettete su quanto Gesù vi ama, non perché ve lo meritiate, non perché voi siate bravi, ma perché Lui è Amore e non può fare altro che amarvi, e vi ama così tanto da permettere a se stesso di soffrire per voi e anche di morire per voi. Cerchiamo di avere questi momenti di riflessione e forse i frutti torneranno nella nostra vita. Chiediamo al Signore la grazia di comprendere la quantità è la qualità del suo Amore, perché veramente ci sentiamo spronati a trasformare in opere di bene, e in scelte di bene, tutto quello che riguarda la nostra vita e non ci lasciamo attrarre da tutta la negatività che ci sta attorno.

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