Contro l'ipocrisia c'è solo la misericordia

 Solo la misericordia può sconfiggere l’ipocrisia (Fil 3,8-14.  Gv 8,1-11)

 La liturgia di oggi ci propone una bella frase di San Paolo: “Tutto io ritengo una perdita di fronte alla conoscenza di Cristo”. Questa frase trova un commento pratico nel vangelo di oggi. Qual è la differenza tra la scienza dei Farisei, esperti della legge, e quella di Gesù? Uno che ha tutta la scienza del mondo, è un esperto in legge, di fronte al caso che è stato presentato a Gesù di una donna che ha infranto la legge e portato disonore alla sua famiglia cosa decide? Io credo che la condannerebbe senza esitazione. La legge parla chiaro: chi è colto in flagrante adulterio deve essere lapidato.  Gesù, invece, ha il coraggio di oltrepassare la legge e tutta la conoscenza che queste persone avevano della vicenda, e prende in considerazione un aspetto che nessun esperto umano può riuscire ad accettare: Dio non condanna nessuno, ma vuole salvare tutti.

San Paolo, che di origine e di formazione era un Fariseo, da giovane si vantava della sua conoscenza e osservanza della legge, ma quando ha incontrato Gesù sulla via di Damasco, ha capito che doveva cambiare modo di pensare e lasciarsi guidare dalla misericordia di Dio. Ecco perché, verso la fine della sua vita, dopo tutte le esperienze dei viaggi e della predicazione, ha potuto scrivere: “Tutto io valuto come spazzatura e degno di essere gettato via, di fronte alla sublimità della conoscenza di Dio”.

Domenica scorsa abbiamo ascoltato il vangelo del figliol prodigo e abbiamo capito a che errori di giudizio poteva arrivare il fratello maggiore applicando la sua rettitudine intellettuale, non animata dall’amore. Guidato dal suo falso senso di giustizia, arriva a chiedere a suo padre di rigettare suo fratello, il traditore. Lo stesso accade nel vangelo di oggi, dove questa errata rigidità è praticata dai Farisei contro la donna peccatrice. La frase che essi usano è terribile: “Mosè ci ha ordinato di lapidare tali donne”.

Mi piace l’atteggiamento di Gesù. Io mi sarei messo a gridare contro di loro chiamandoli ipocriti e mostrando l’ipocrisia nel loro modo di pensare. Gesù sa benissimo che l'obiettivo della disputa non è la donna ma lui stesso. I Farisei gli hanno portato la donna solo per tendergli una trappola: sentire la sua sentenza e in base a questa accusarlo, o di andare contro la legge, o di rinnegare tutta la sua predicazione sulla misericordia. Quindi, Lui sta zitto, si abbassa, quasi piegato dalla sofferenza interiore di vedere tanta ipocrisia e tanto falso fervore. Poi si mette a scrivere per terra, non importa cosa, ma il fatto di farli aspettare, di non dare subito la risposta che vogliono, li fa innervosire e li destabilizza dalla pedana sicura che si erano costruiti con il loro piano. E poi contrattacca: da lì, dal basso, a fianco della donna dice: “Se qualcuno è senza peccato scagli la prima pietra”, come se volesse dire: giudicate anche me, se volete, ma prima però giudicate voi stessi. Io credo che nessuno dei Farisei presenti avesse commesso adulterio, non è quello il punto di Gesù. Secondo la legge giudaica per condannare un peccatore bastava avere due testimoni che fossero persone oneste, cioè che non avessero secondi fini o guadagni nel fare l’accusa. “Chi è senza peccato”, quindi, vuol dire “chi ritiene di essere un testimone onesto senza secondi fini, senza secondi guadagni, senza scheletri nell'armadio, scagli pure la prima pietra”. Ha rigirato il processo. Ha rimandato a loro la palla del giudizio ma chiede che partano da un'analisi di se stessi. Ora sotto accusa non è più l'errore della donna, e neppure la possibile sentenza di Gesù, ma l'integrità morale di tutti i presenti. Chi avesse scagliato la pietra si sarebbe dichiarato giusto, ma si sarebbe anche sottoposto al giudizio di chissà quante persone che potevano rinfacciargli ogni tipo di errore.

Gesù non guarda al peccato; non sta dicendo che la donna ha fatto bene, ma guarda alla persona che ha di fronte e la vuole salvare. La misericordia di Gesù non è un negare l'esistenza dell'errore, neppure uno sminuirne il valore o la portata, non è un perbenismo o un atteggiamento di lassismo morale, è un porre al centro la persona con le sue debolezze ma anche con la sua dignità di figlia. È un dare una seconda possibilità perché l'amore e la relazione sono più importanti di tutto quello che potremmo aver fatto.

Voi avete mai sbagliato? Come vi siete sentiti in quei momenti? Non desideravate essere perdonati, avere una seconda possibilità? Non è forse vero che provavate vergogna, paura di essere scoperti, giudicati? Non provavate forse il desiderio di incontrare qualcuno che invece di accusarvi vi incoraggiasse a rialzarvi e ricominciare? È da quei sentimenti che dobbiamo partire quando ci troviamo di fronte a un fratello che sbaglia. Non si può concepire la misericordia se non si parte dalla nostra stessa debolezza, dai desideri contraddittori in lotta dentro di noi, che, forse raramente si traducono in peccato, ma spesso rimangono repressi dentro di noi e ci tolgono la serenità di vita, la chiarezza del giudizio e ci portano a giudicare gli altri in modo spietato. È questa la scienza di Dio tanto difficile da capire per noi uomini.

La domanda che il vangelo di oggi ci pone per la nostra conversione quaresimale, non ci chiede se siamo adulteri o no, ma se alle volte ci lasciamo prendere dal bisogno di giudicare gli altri, di condannarli, di impugnare la legge e la tradizione per difendere le nostre idee e buttar giù gli altri. Siamo sicuri che questa falsa rettitudine non sia per caso dettata dall'insoddisfazione di sapere che c'è tanto in noi che non va bene e che cerchiamo di coprire con gli sbagli degli altri?

Fra due settimane ci troveremo di fronte alla Croce di Gesù. Da lassù, Lui ci dice: Lasciatevi avvolgere dalla mia misericordia. Io sono qui per voi. Accettate tutte le vostre debolezze, gli errori, le contraddizioni e le paure, e portatemele qui. Non fate lo sbaglio di nascondervi dietro gli errori degli altri.

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