Gesù è per gli irrequieti, non per i pigri

 Le dinamiche della Vocazione

In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.

Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.

Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

 Il brano di oggi presenta le dinamiche tipiche della vocazione cristiana attraverso l’esperienza dei primi tre discepoli di Gesù. Il primo e il terzo li conosciamo perché Giovanni ne riporta il nome, e cioè Andrea e Simone (Pietro) suo fratello. Il secondo rimane ignoto. Qualcuno pensa che sia lo stesso Giovanni che non vuole far apparire il suo nome, altri pensano che sia Filippo che verrà menzionato subito dopo. Molto probabilmente, però, Giovanni non mette il nome perché vuole dirci che ognuno di noi può mettersi al posto di questo discepolo. Le dinamiche che ora presenterà non sono valide solo per quei tre vissuti 2000 anni fa, ma sono vere per ciascuno di noi.

Veniamo ora a spiegare queste dinamiche. A Giovanni piace sempre giocare con le parole. Oggi, con voi, voglio fare una doppia analisi del testo del Vangelo a partire dai giochi che Giovanni fa ripetendo in continuazione gli stessi concetti. Analizziamo 2 giochi di parole.

1) Il primo gioco di parole lo troviamo nella sequenza di 3 verbi: essere in movimento (seguire, venire, passare), osservare (vedere, fissare lo sguardo), dire. Questa dinamica la vediamo ripetuta ben 5 volte in 7 righe di testo.

  •  Gesù passa, Giovanni lo vede e dice ai discepoli;
  •  I discepoli vanno, Gesù li vede e dice;
  •  Gesù dice loro “venite e vedete”;
  •  Andrea va e vede Pietro e gli dice;
  •  Gesù vede Pietro venire e gli dice.

La dinamica è sempre la stessa e sottolinea due atteggiamenti indispensabili per incontrare Gesù e sentire la sua parola: l’essere in movimento e l’osservare. Sembra un rincorrersi di azioni: il movimento provoca lo sguardo, lo sguardo provoca la testimonianza.

Il movimento finale, non scritto ma intuitivo, sarà invece spiegato nel vangelo di domenica prossima. Esso è il più importante e non è fisico: è la “conversione”. Da quel momento i tre e specialmente Pietro diventano discepoli, cioè tutta la loro vita prende una direzione diversa perché ora essi hanno compreso il vero senso del loro esistere.

Questi sono verbi fondamentali per ogni cristiano: l’essere in movimento, osservare, ascoltare la testimonianza, convertirsi. Non esiste un cristianesimo per persone sedute o passive. Credere non è pura nozione, è necessariamente un mettere in moto tutta la vita per seguire Cristo, aderire al suo stile di vita, al suo programma e questo non ci può lasciare tranquilli perché le richieste di Gesù sono molto impegnative.

Quest’anno, durante le domeniche, sentiremo spesso brani tratti dal vangelo di Marco; ebbene questo vangelo è impostato come un diario di viaggio, un viaggio fisico, quello di Gesù attraverso la Galilea fino a Gerusalemme, ma soprattutto un viaggio di vita dal nostro vecchio “io” con il suo modo di pensare e agire comodo e chiuso, al nuovo “io”, quello rinnovato dalla grazia, dall’azione dello Spirito Santo, dal desiderio di configurare tutto noi stessi sul modello di Cristo.

Il movimento, però, avrà successo, non sarà un andare a vuoto, solo se accompagnato dal secondo verbo, l’osservare. Attenzione, non si parla di un semplice “vedere”, ma di “fissare lo sguardo”, cioè vedere a fondo, al di là dell’esteriorità, andando alla verità più profonda, alla natura stessa delle cose. Fissare lo sguardo vuol dire che tutte le altre cose perdono di valore, perché lo sguardo non si muove più da dove è fissato; da ora tutto è visto attraverso Dio,  con i Suoi occhi. Tutto prende un senso nuovo se riletto alla luce della Parola di Dio, cioè di quello che Gesù ci dice ogni volta che ci accostiamo alla sua Parola.

Questa è un’esperienza che ha cambiato profondamente la vita dei 3 discepoli citati, li ha trasformati da semplici pescatori a “pescatori di uomini”.

2) Il secondo gioco di parole lo troviamo nel ripetersi 3 volte del verbo “Tradurre”:

  • Rabbì, che tradotto significa Maestro;
  • Messia, che si traduce Cristo;
  • Cefa, che significa Pietra.

Possiamo chiederci: perché Giovanni si preoccupa di scrivere delle parole aramaiche per poi tradurle per i lettori? Non poteva semplicemente mettere la traduzione greca come fanno gli altri evangelisti, come fai lui stesso in tutto il resto del Vangelo? Questo avviene tre volte nel breve spazio di 5 righe.

Qui Giovanni vuol introdurre un argomento molto importante nel discorso della vocazione ed è il concetto di “mediazione”.

  • Già nella prima lettura abbiamo sentito che il giovane Samuele “sente” la parola di Dio ma non la comprende, ha bisogno di andare dal sacerdote Eli per ben tre volte prima che costui gli sveli che quel che sente è la voce di Dio e lui deve imparare ad ascoltarla. La vocazione di Samuele avviene attraverso la mediazione del sacerdote Eli.
  • L’incontro tra i primi due discepoli e Gesù avviene attraverso la mediazione di Giovanni il Battista;
  • L’incontro tra Simone e Gesù avviene attraverso la mediazione di Andrea;
  • Più avanti avremo che l’incontro tra Natanaele e Gesù avviene attraverso la mediazione di Filippo.
  • Inoltre, la conoscenza di cosa sta effettivamente avvenendo nelle tre scene presentate dal vangelo, avviene attraverso la traduzione/spiegazione di quelle tre parole.

Giovanni deve decodificare ai discepoli cosa sta succedendo: sono davanti al Messia non a un profeta qualsiasi; deve, poi, decodificare ai credenti cosa succede a Pietro: non gli viene semplicemente cambiato il nome ma diventa il fondamento; Eli deve decodificare a Samuele quello che sta succedendo: quella che sente è la voce di Dio che gli parla. Questo meccanismo di mediazione è importante per noi. Noi arriviamo al Signore perché c’è qualcuno che ci porta da Lui. Abbiamo bisogno della mediazione di altri, abbiamo sempre bisogno di un ponte, ma dobbiamo saper scegliere le mediazioni giuste.

Perché ha scelto che ci sia qualcuno che ha un ministero di presentare e spiegare la sua Parola? Perché il Signore non parla in maniera chiara e diretta a ciascuno? Perché non c’è una relazione tutta sua specifica per ognuno, una specie di filo diretto, un contatto tipo telefonico?

Non incontriamo Dio senza gli altri. Non metto in dubbio l’importanza e il valore della preghiera personale, ma qui non si tratta solo di comunicazione verbale. Perché per avere cose tanto importanti, come i sacramenti, devo rivolgermi ai preti? Perché ho bisogno di condividere la mia fede, la mia preghiera con gli altri, specialmente nei momenti più importanti? Non sarebbe meglio avere connessione diretta con Dio, io Lui e basta? No! Non solo, per amare Dio devo amare gli altri come Lui stesso ci ha insegnato, ma, addirittura, ho bisogno degli altri per arrivare a Dio. Non posso amare Dio se il prossimo non mi aiuta.

Oggi assistiamo a una deriva individualistica che si fa sempre più forte, dove ognuno ha bisogno di essere speciale, di fare quello che gli pare, di essere autonomo. Si parla di villaggio globale, di super comunicazione, di poter conoscere tutto e tutti con pochi click di computer, ma siamo sempre più soli e ci teniamo ad esserlo. Ormai l’aspetto comunitario sta sparendo e si stanno creando isole. Gesù ci dice che non mi serve incontrare Dio se non ho incontrato il prossimo, perché io ho bisogno di amare e di essere amato.

A me dà fastidio dover dipendere da un altro, dover chiedere aiuto, ma è importante che io non sia un’isola. È importante che io sia disturbato dagli altri, salvato dagli altri; è importante che io li ascolti, li capisca. Per fortuna ci sono gli altri. Questa è la comunione. Abbiamo bisogno di essere aiutati.

In conclusione cosa ci dice questo vangelo dell’incontro di Gesù con i suoi primi discepoli?

1) Questo incontro non ha cambiato l’aspetto fisico, la salute, l’intelligenza, la capacità di capire le cose, il carattere degli apostoli; sappiamo bene che durante tutto il periodo in cui sono rimasti con Gesù, hanno continuato ad essere dubbiosi, paurosi, emotivi, ecc. Quello che è cambiato è stata la priorità delle cose, lo scopo della vita, le motivazioni che determinano le scelte quotidiane.

2) Di sicuro noi oggi abbiamo una salute migliore di quella dei discepoli, una conoscenza migliore, strumenti migliori, ma forse ci manca il fare l’esperienza di fissare lo sguardo su Gesù, di incontrarlo nella vita pratica e lasciare che questo incontro cambi le nostre priorità. Io credo che i nostri occhi sono ancora troppo rivolti su noi stessi, troppo preoccupati a proteggere la nostra tranquillità, la nostra comodità, la nostra sicurezza, la nostra posizione sociale, ma queste non hanno niente a che fare con la vita di Cristo, anzi, spesso diventano un ostacolo nel vivere a pieno il nostro essere cristiani, allora diventiamo delle mezze persone, piene di compromessi, piene di mezze scuse, ma mai contente.

3) È solo quando riusciamo a stare in mezzo agli altri con sincerità e semplicità che possiamo fare una vera esperienza di Gesù e la nostra vita cambia.

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