Siamo salvati dall'Amore di Cristo

Chi ci separerà dall’Amore di Cristo?

Prendo l’occasione per dedicare questa mia riflessione al capitolo 8 della Lettera di San Paolo ai Romani che per quattro settimane ci accompagnerà come seconda lettura.

Il capitolo 8 rappresenta una vetta nel mondo della letteratura religiosa e spirituale. Nei primi sette capitoli, Paolo fa uno sforzo intellettuale e teologico per spiegare ai suoi lettori che la natura umana è schiava della sua fragilità, ma è schiava anche dalla struttura che gli Ebrei si erano costruiti con la legge. Essa avrebbe dovuto aiutarli a trovare Dio e invece li aveva ingabbiati in una serie di riti che avevano raffreddato il loro cuore e intorpidito la loro volontà. Il capitolo 7 aveva avuto il suo punto più alto nell’affermazione: “Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto … Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?” Sono frasi molto forti e pessimiste che sembrano scaturire da un cuore disperato e invece sono la preparazione al salto della fede, della gioia, della soluzione di tutti i problemi.

Ora Paolo si lascia andare alla poesia, come se d’improvviso si fosse trovato liberato e immerso in un mondo nuovo, bello e sereno.

Questo capitolo si apre subito con un’affermazione perentoria: “Non c’è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. … Ciò che era impossibile alla legge, Dio lo ha reso possibile mandando il suo Figlio in una carne simile a quella del peccato.” Il nostro destino, una volta che siamo stati conquistati da Gesù, è la figliazione adottiva: noi siamo fratelli del Figlio, invitati a sedersi alla mensa stessa di Dio. Tutti quelli che sono guidati dalla Spirito di Dio sono Figli di Dio.

È all’interno della nostra miseria che redenzione, la filiazione trova il terreno dove prendere forma. Questo però può avvenire perché “Se veramente accettiamo di partecipare alle Sue sofferenze potremo partecipare alla Sua Gloria”.

A questo punto dobbiamo metterci in silenzio e ascoltare attentamente perché potremo sentire il gemito di chi attorno a noi soffre per la situazione attuale. L’arrivo del peccato nel mondo ha prodotto distruzione e sofferenza in tutto il creato, e se noi poniamo un orecchio attento, potremo sentire 3 tipi di “gemito”, 3 espressioni di questa sofferenza. Da chi sono prodotti?

Prima di tutto dalla natura, dal creato. La natura, come fosse una persona, è sottomessa all’uomo dal momento della creazione, è distorta e soffre fin dall’inizio a causa del peccato dell’uomo, schiava dei suoi capricci, devastata, inquinata e resa sterile dall’ egoismo. L’uomo agisce come un dittatore, disprezzando il piano originale della creazione e spezzando l’armonia del creato.

Essa continua ad abbruttirsi, e geme, ma non si rassegna poiché ha qualcosa da attendere, e conserva la speranza che si apra una nuova era, il tempo in cui l’uomo verrà sciolto da questa condizione di peccato e allora anche lei sarà liberata. La creazione, al giorno della gloria dove nell’uomo sarà visibile l’immagine del Figlio di Dio, avrà la sua parte di gloria e di libertà: vibrerà all’unisono della gloria dell’uomo, in un modo che rimane per noi misterioso.

Quindi, la creazione geme, non di disperazione, ma d’impazienza, o meglio, per le doglie del parto, come le chiama San Paolo, poiché sa, sente, che la sua schiavitù cesserà e che i suoi dolori partoriscono un mondo diverso, realmente fatto per l’uomo in amicizia con Dio.

Il secondo gemito è quello dell’uomo. Più egli s’immerge nel rumore della vita folle, sfrenata che sembrerebbe garantirgli gioia e potere, più si sente interiormente vuoto, si rende conto che queste cose esteriori non lo soddisfano. Esse sono temporanee, passeggere, instabili ed ingannevoli, mentre egli è fatto per qualcosa di più alto, di eterno. Allora il suo gemito è quello di chi invoca la liberazione dalla caducità e dalla schiavitù del peccato, sapendo che tutto questo è possibile in Cristo. Qui troviamo la famosa frase: “Nella speranza siamo stati salvati”. Essa ha dato lo spunto per l’enciclica di Papa Benedetto: “In spe salvi”. Dio, con la sua grazia ci ha concesso di sperimentare, almeno in parte, la beatitudine alla quale siamo destinati, allora il nostro è un gemito di impazienza, di attesa che si realizzi in noi, in pienezza, l’adozione a Figli.

Ma abbiamo anche un terzo gemito e questo è il gemito di Dio stesso, ovvero del suo Spirito. Dio soffre? Fisicamente no, ma Egli è Padre, un padre amante che vede la sofferenza dei suoi figli e non vede l’ora di liberarli per poterli riabbracciare in pienezza. La distanza è causata dalla nostra debolezza è insormontabile per noi, ma “Lo Spirito di Dio viene in soccorso alla nostra debolezza. Da soli, non sappiamo neanche cosa chiedere, ma Lo Spirito stesso intercede per noi con insistenza, con gemiti inesprimibili”. Qui è tutta poesia, ci sembra di poter vedere l’uomo inginocchiato, che con vergogna balbetta qualche parola di perdono e lo Spirito Santo che sussurra all’orecchio del Padre qualcosa che solo loro possono comprendere a pieno, un linguaggio ancora troppo distante da noi limitati dall’egoismo, ma che esprime in pienezza la natura stessa di Dio, il suo essere Amore.

E qui inizia la seconda parte del capitolo, il cantico dell’amore di Cristo.

Come lo Spirito non ci abbandona nella nostra ignoranza e intercede al posto nostro, così Cristo non ci abbandona nel nostro peccato e intercede per noi. Ecco allora le parole: “Sappiamo che Dio fa sì che tutto concorra al bene di coloro che lo amano”. Senza dubbio, le difficoltà e i problemi sono connessi con i nostri errori, la nostra incapacità, ma non possiamo mai mettere in dubbio l’azione risanatrice di Dio in ogni situazione. I nostri vecchi dicevano che Dio sa scrivere dritto sulle righe storte. Le prove e le sofferenze ci purificano, fanno cadere tante nostre false sicurezze; gli sbagli ci rendono umili; le perdite ci fanno capire quali sono le cose importanti. Nessuna delle sofferenze di Cristo è andata perduta, così è delle nostre, se vissute in Cristo.

Ora abbiamo il cantico di liberazione. Ne conosciamo vari nella bibbia. Nel libro dell’Esodo abbiamo il cantico del popolo di Israele proclamato dopo aver passato il Mar Rosso e aver visto i suoi nemici travolti dalle acque; abbiamo poi il salmo 125: Il Signore ha fatto grandi cose per noi”, scritto forse per celebrare il ritorno dalla schiavitù di Babilonia. Questo della lettera ai Romani, però, rappresenta il punto più alto, perché la liberazione che otteniamo in Cristo è quella definitiva. “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”. Non dimentichiamo che Dio ha dato Suo Figlio per noi, come potrebbe negarci qualsiasi altra cosa di cui abbiamo bisogno?

Il linguaggio usato da Paolo, oltre che essere altamente poetico, è ispirato al linguaggio giuridico. Siamo in un processo e si parla di giudizio e di condanna. Per secoli abbiamo rappresentato Dio come un giudice che manda all’inferno i cattivi a causa dei loro peccati e i giusti in paradiso per le loro opere buone. La prospettiva di Paolo è molto diversa: Dio è colui che giustifica, che dà ogni cosa. Il giudice è Gesù, e giudica dalla croce. Potrà Egli forse condannare coloro per salvare i quali è morto? Lui che intercede per noi e giustifica, potrà forse accusare? “In tutto siamo più che vincitori in virtù di colui che ci ha amato”.

Chi ci separerà dall’amore che Dio ha per noi?” Qui Paolo fa una lista di problemi e difficoltà che ha sperimentato nel suo apostolato e che anche noi sperimenteremo nella nostra vita se seguiamo il Signore con sincerità e coraggio. Esse non possono sminuire l’amore che Dio ha per noi. Se sono ammalato, non vuol dire che Dio mi ama di meno.

È interessante vedere come questa lista sia composta tutta di cose esteriori, infatti, è solo la nostra mancanza di fede che può indebolire il nostro fervore, solo noi possiamo fare del male a noi stessi.

Poi, come per dare più forza alla sua affermazione, ripete la lista dei possibili intoppi che incontreremo nel nostro cammino verso l’unione con Dio e questa volta nell’elenco inserisce anche cose positive: vita, angeli, potenze, ecc. perché tutto può diventare ostacolo e tentazione se contrapposto a Dio.

 

Molti religiosi, pur vivendo i tre voti, affrontano una sfida sottile. Si può facilmente dire che non hanno mai commesso alcun peccato contro di essi, ma allo stesso tempo, non li hanno mai vissuti come dovrebbe fare una vera persona consacrata.

È anche vero che se una persona prende sul serio le sfide poste dal comandamento dell'amore e dalla sua vocazione, sicuramente dovrà affrontare lotte, rinunce, opposizioni e, talvolta, persino persecuzioni.

Conosciamo la pagina del Vangelo sull'agonia di Gesù nel giardino del Getsemani. La lotta spirituale interiore di Gesù, che si manifesta anche a livello fisico, deriva dal confronto tra il desiderio di essere fedele alla sua missione e le molte emozioni, che ha sentito come ogni persona umana. Sapeva che sarebbe morto e ne ha avuto paura; desiderava fortemente rimanere qui sulla terra per continuare il suo lavoro; probabilmente sentiva anche il dubbio di aver fallito nella sua missione. Sicuramente in quel momento di preghiera nel giardino, tutte queste idee gli sono passate per la mente. Alla fine è il suo amore per il Padre che gli consente di compiere l'ultimo atto supremo di obbedienza e di accettare l'idea che il progetto debba proseguire.

Ecco il senso delle parole di Paolo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore”.

Dalle bassezze del mondo e della sua fragilità, descritta nei primi capitoli, ci siamo innalzati alla sommità della Trinità. Noi seguaci di Cristo dobbiamo concentrarci qui, permettere a questo amore infinito di entrare e riempire il nostro cuore. Se siamo pieni dell’amore di Dio, “TUTTO” andrà per il meglio, se, invece, ci stacchiamo da Lui e andiamo per conto nostro, “TUTTO” diventerà un ostacolo.

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