Cosa rendeva contento Gesù?
Oggi il Vangelo ci presenta una bella preghiera di Gesù. Per non cadere nel sentimentalismo esterno ma comprendere la profondità di queste parole dobbiamo guardare a cosa sta succedendo in quel momento. Dato che questa non è una predica ma una presentazione del brano mi ci soffermo un momento. I capitoli 11 e 12 del vangelo di Matteo descrivono un momento difficile per Gesù. Per poter lavorare più liberamente e con più profitto Gesù si era trasferito a Cafarnao. All’inizio aveva avuto un’accoglienza entusiasta; lì vi erano molti discepoli del Battista che ne aveva parlato bene ed essi avevano cominciato a seguire Gesù. Gli Scribi e i Farisei erano dubbiosi ma la gente semplice era entusiasta. Poi il clima è cambiato. Molti non capivano il messaggio che Gesù stava proponendo: perché bisognava accogliere i piccoli, i poveri, i lebbrosi, andare a cena dai pubblicani? Il primo ad avere dei dubbi era stato lo stesso Giovanni il Battista che dal carcere gli mandò qualcuno a chiedere spiegazioni (11,2). Gesù gli rispose di non scandalizzarsi, i segni che stava compiendo parlavano per lui.
All’inizio le folle erano venute da Gesù con favore perché cercavano i prodigi, le guarigioni, ma quando Lui aveva cominciato a parlare di conversione del cuore, cambio di stile di vita, loro avevano cominciato a lasciarlo (11,16). La gente vuole un Dio che li favorisca e faccia andare bene le cose della vita, non uno che gliela complica, quindi quando si conosce meglio ciò che richiede essere veri cristiani e si vede che c’è bisogno di impegno, rinuncia alle comodità, esso ci interessa sempre meno.
Tra le persone a cui non interessavano i miracoli di Gesù c’erano i ricchi, gli Scribi e i Farisei che erano i saggi, i dotti dell’epoca. Essi erano preoccupati solo della loro posizione di potere e influenza che riuscivano ad esercitare pretendendo di essere i custodi e gli interpreti ufficiali della Legge. Si erano sempre sentiti sicuri della loro scienza ed eventualmente si aspettavano che anche Gesù si sarebbe appoggiato a loro, ma non era accaduto così e ora si sentivano minacciati da Gesù. Allora cominciarono ad accusarlo di lavorare per Beelzebul (12,24). È il momento in cui Gesù pronuncia il “Guai a te Cafarnao e guai a te Corazim” (11,20).
Nemmeno i suoi parenti sembravano credere in lui, e vengono addirittura da Nazareth per riportarlo a casa e lui dovrà dire: io ora ho una nuova famiglia, non basata sul sangue ma sull’adesione alla mia parola (12,46).
Scusate il lungo excursus dei capitoli 11 e 12 ma è proprio in questo momento che Gesù ha questa commovente preghiera. Noi, quando vediamo che le cose non vanno come dovrebbero, ci scoraggiamo e cominciamo a lamentarci, Gesù, invece, benedice il Padre. Benedire vuol dire gridare la propria espressione di gioia. Tramite la preghiera e la sua unione con Dio, ha capito che in quella situazione si sta realizzando un disegno di Dio. Ciò che sta accadendo rientra nel disegno del Padre quindi ha un valore positivo. Se nella preghiera anche noi imparassimo a distaccarci da noi stessi, non nel senso che la preghiera debba essere astratta e avulsa dalla realtà che viviamo, ma nel senso che il nostro modo di vedere le cose è troppo influenzato dalle preoccupazioni, ma chiediamo la grazia di vedere le cose come le vede Dio, allora avremmo un’esperienza di gioia, di pace su quello che sta accadendo.
Nella sua preghiera Gesù chiama Dio: “Padre”, (Gesù usa questo appellativo 181 volte, tutte le altre persone, quando parlano di Dio, usano altri titoli). È il Padre perché è colui che dona e basta, che vuole solo che si accolgano i suoi doni perché solo accogliendo i doni di Dio si è felici. È l’appellativo usato dai bambini: “Abbà”.
Poi lo chiama “Signore del cielo e della terra”. È “Pantocrator”, chi tiene in mano le sorti del mondo e della storia. Non vuol dire “Onnipotente” nel senso come lo pensiamo noi. Spesso col titolo di onnipotente ci siamo creati l’idea che Dio possa fare tutto quello che vuole, buono e cattivo allo stesso modo. No! Dio ha in mano la storia ma la gestisce sempre e solo secondo il suo principio di “amore, rispetto e libertà”.
Ci sono 2 ragioni per benedire il Padre:
1) ha nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti. Cosa? Il fatto che Egli ama tutti i suoi figli senza distinzioni tra buoni e cattivi. Questo i saggi del tempo di Gesù non lo possono accettare, non lo possono capire perché sono schermati dalla loro “sapienza”. Poi c’è il fatto che a Lui non interessano i sacrifici e gli olocausti; è Lui che dona tutto. Anche queste cose i saggi non le capiscono, la loro mente è offuscata dalla falsa sapienza fatta di calcoli e interessi.
2) C’è poi il rovescio positivo. Chi coglie questa rivelazione? I “piccoli”. Non gli ignoranti, perché ci potrebbero essere dei sedicenti sapienti che hanno studiato il catechismo e la bibbia, ma sono ignoranti e interpretano tutto a loro comodo, quindi in modo errato. Chi può accogliere la rivelazione in modo pieno sono i piccoli, i semplici. Questo messaggio è una rivelazione, non il frutto di un ragionamento o di un calcolo. “Sì, o Padre, perché questo è piaciuto a te così”. Siamo lontani dalle logiche del mondo.
Ora si rivolge proprio a quei piccoli a cui è dato di cogliere la rivelazione del Regno.
La gente semplice ha il cuore aperto per cui anche loro soffrono per gli abusi dei grandi e per l’opposizione che viene fatta a Gesù. Queste persone le vede stanche e oppresse e dice loro: “Venite a me”. Non dice “venite dietro di me”, come aveva fatto coi discepoli invitandoli a seguirlo. Qui dice “venite a me” come l’innamorato che invita l’amata a riposarsi tra le sue braccia. Chi li opprime? I sapienti che li opprimono con i loro comandi, leggi prescrizioni, cose che loro neanche toccavano con un dito.
La Parola di Dio non è una prescrizione che opprime ma un aiuto per vivere felici. Tutto quello che viene da Dio porta gioia, quello che porta angoscia e tristezza non viene da Dio. Se ci rendiamo conto che molte delle cose che facciamo, tradizioni, eccetera, non ci rendono felici, ma ci rendono inquieti, schiavi, forse sono diventate umane, sbagliate e bisogna liberarsene. Gesù dice: “Io vi darò riposo”.
“Prendete il mio giogo”, non il giogo della legge che ogni Israelita doveva portare. Nel libro degli Atti, cap. 15, San Pietro dice: “Perché tentare Dio imponendo sul collo dei discepoli un giogo che non siamo mai stati in grado di portare neanche noi”. I Cristiani hanno un solo giogo, quello che anche Gesù ha portato, la legge dell’amore. È un giogo “dolce e leggero”. Dolce, cioè che si adatta bene a chi lo porta. Si adatta perché la nostra natura di figli di Dio è fatta per questo. Quando iniziamo ad amare sul serio ci accorgiamo che siamo fatti per questo.
“Imparate da me che sono mite e umile di cuore”. Il cuore di Gesù che è il cuore di Dio è mite. La parola “mite” indica l’uomo mansueto che non cede mai alla tentazione di reagire con violenza. Ma non è un uomo rassegnato. Gesù ha vissuto conflitti traumatici, ma non si è tirato indietro dall’affrontare chi presentava un mondo sbagliato, ha pagato molto caro per le conseguenze di questi conflitti, ha pagato con la vita, ma non ha mai usato violenza e vendetta.
Poi è “umile”, il che significa “colui che abbassa la testa”, si piega, è sempre pronto a ricevere gli ordini. Gesù è colui che ha servito, va chino perché è servo dell’uomo.
Se ci lasciamo guidare dallo Spirito per avere un cuore come quello di Gesù, dobbiamo chinare il capo e servire chi ci chiede.
Nella prima lettura di oggi abbiamo sentito il profeta Zaccaria che parla dell’arrivo di un re “umile”. Egli annuncia la strada che porta alla pace. Noi crediamo che la pace si possa imporre solo usando la forza, la violenza, allora la prima cosa che facciamo è di cercare di spazzare via i nemici e i loro errori, fare giustizia. La strada della punizione, difficilmente porta alla pace. La “vera pace” è uno di quegli argomenti che il vangelo dice è nascosto ai sapienti e ai dotti ma è dato a stanchi e oppressi, quelli che hanno bisogno di essere sollevati. Quando ci si sente forti, le nostre scelte sono quelle della violenza, quando ci si sente deboli, stanchi, si inizia a intuire la vera via della pace, che è l’umiltà, la piccolezza. Non si nega la giustizia, ma tutto può essere detto in una maniera mansueta. Per cercare la pace, bisogna usare qualcosa che conduce pace nell’altro, non il rimprovero, la rabbia, l’umiliazione, eccetera.
L’unica vera via della pace è l’atteggiamento pacifico. Abbiamo bisogno di prendere il “giogo” di Cristo, la legge dell’amore, che diventa leggero quando si capisce che è portato prima di tutto da Dio.
La via della pace non si inventa, si accoglie, non è per coloro che sono così intelligenti da risolvere i problemi, ma per chi è così umile da lasciarsi salvare. È una pace che solo Cristo sa dare perché è la sua vita, una vita in cui si sa con certezza a chi si è consegnata la nostra esistenza. Questa vita è un dono da accogliere. Dobbiamo smettere di concentrarci sul riuscire ma farci piccoli, stare di fronte a lui poveramente perché è agli umili che il Signore si rivolge con bontà e misericordia.
Non dobbiamo cercare la realizzazione delle nostre grandi idee, ma accogliere con semplicità i nostri limiti, stare lì in rapporto con Dio accogliendo l’idea che abbiamo bisogno di essere salvati.
Riguardo a quest’ultima parte, vale poi sempre ciò che ho detto spiegando il vangelo della festa del Sacro Cuore e che potete rileggere qui:
https://orestereligiouslife.blogspot.com/2020/06/affaticati-e-oppressi-ma-nel-cuore-di.html