Per fare la differenza nel mondo di oggi
Incontro amici Don Orione.. Milano 2020
Ho voluto iniziare questo nostro incontro con alcune espressioni dell’Inno
alla carità di San Paolo e come lo ha visto Don Orione.
Oggi ci troviamo a vivere in una società sempre più complessa e mutevole
che da una parte sembra dare certezze di sicurezza: la tecnologia ci rende
sempre più efficienti, la medicina riesce a curare malattie che solo una decina
di anni fa sembravano inguaribili, la vita si è allungata ecc. Eppure, di
fronte a tutti questi progressi si riscoprono sempre di più fragilità umane,
non solo in alcuni categorie di persone particolari come gli anziani o gli
ammalati o i bambini, ma nella maggioranza della gente, tra i giovani come pure
tra gli adulti; tra gli ignoranti come tra i professionisti; tra quelli
indifferenti alla religione come tra i consacrati.
Sembra che le certezze del passato non siano più in grado di dare delle
risposte alle problematiche di oggi e i così detti “valori” assumono contorni
sempre più sfuocati e inafferrabili.
Di fronte a questi cambiamenti ci potrebbe essere la tentazione di
scoraggiarsi o di abbandonarsi al pessimismo e al passivismo. Don Orione, che
cominciava già a subodorare alcuni cambiamenti, diceva: «Cristo avanza al grido angoscioso dei popoli: Cristo viene portando sul
suo cuore la Chiesa, e, nella sua mano, le lacrime e il sangue dei poveri; la
causa degli afflitti, degli oppressi, delle vedove, degli orfani, degli umili,
dei reietti.
E dietro a Cristo si aprono nuovi
cieli: è come l'aurora del trionfo di Dio. Sono genti nuove, nuove conquiste, è
tutto un trionfo non più visto di grande, di universale carità, poiché l'ultimo
a vincere è Lui, Cristo, e Cristo vince nella carità e nella misericordia.
L'avvenire appartiene a Lui, a Cristo,
Re invincibile; Verbo divino che rigenera; Via di ogni grandezza morale; Vita e
sorgente viva di amore, di progresso, di libertà e di pace ... ».
In un’altra occasione aggiungeva: «Rinnoveremo
noi e tutto il mondo in Cristo, quando vivremo Gesù Cristo, quando ci saremo
realmente trasformati in Gesù Cristo. Ma questo calore, il vigore di una più
alta e copiosa vita spirituale, come potremo noi darlo, come trasfonderlo negli
altri, se non lo vivremo prima noi? E come potremo viverlo, se non attingendo a
quella sorgente divina, che è Cristo? ».
Anche Papa Giovanni XXIII sentì che grandi cambiamenti erano in atto e convocò
il Concilio Vaticano II proprio per discutere su come adattare la vita e
l’azione della Chiesa ai tempi nuovi. Gli insegnamenti del Concilio fanno
ancora fatica oggi ad entrare nelle strutture della Chiesa. Tutti i Papi
successivi, in un modo o nell’altro, hanno dato il loro contributo a che la
Chiesa potesse rimanere alla testa dei tempi anche se è diventata famosa la
frase del Cardinal Martini detta poche settimane prima di morire: «La Chiesa è rimasta indietro di duecento
anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque
la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. [...]
Solo l’amore vince la stanchezza».
Papa Francesco è tra i papi recenti quello che più di tutti si è impegnato
con coraggio a portare dei cambiamenti nella Chiesa. Nel discorso tenuto a
tutti i membri della Curia Vaticana, in occasione dell’ultimo Natale, diceva: «In passato si era in un’epoca nella quale
era più semplice distinguere tra due versanti abbastanza definiti: un mondo
cristiano da una parte e un mondo ancora da evangelizzare dall’altra. Adesso
questa situazione non esiste più. Le popolazioni che non hanno ancora ricevuto
l’annuncio del Vangelo non vivono affatto soltanto nei Continenti non
occidentali, ma dimorano dappertutto, specialmente nelle enormi concentrazioni
urbane che richiedono esse stesse una specifica pastorale. Nelle grandi città
abbiamo bisogno di altre “mappe”, di altri paradigmi, che ci aiutino a
riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti: Fratelli e
sorelle, non siamo nella cristianità, non più! Oggi non siamo più gli unici che
producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. Abbiamo pertanto bisogno di
un cambiamento di mentalità pastorale, che non vuol dire passare a una
pastorale relativistica. Non siamo più in un regime di cristianità perché la
fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non
costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene
perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata».
Noi come orionini ci mettiamo nella scia dei desideri e dei rinnovamenti di
Papa Francesco dando il nostro contributo con la carità.
Permettetemi di chiamarlo “amore”, anche se in Chiesa si è sempre
utilizzato il termine “carità” per non confonderlo con il modo in cui molti
oggi parlano di amore.
Quello che abbiamo ascoltato da San Paolo e da Don Orione deve ispirarci a
vivere tutto attraverso l’amore, con tutte le caratteristiche che lo
contraddistinguono: paziente, benigno, ecc. Solo questo tipo di amore riuscirà
a cambiare il mondo, ma lo dobbiamo vivere in tutti gli ambienti, da quelli più
intimi della nostra famiglia a quelli più allargati del posto di lavoro, della
parrocchia, dei gruppi in cui siamo attivi, degli incontri con gli amici, ecc.
Nella confusione dei messaggi contraddittori e fuorvianti in cui siamo
immersi, la società ha bisogno di vedere chiaramente dei testimoni di qualcosa
di diverso, di bello, di credibile. Questo è il nostro compito. Non si tratta
di buonismo, ma di diventare “segni di contraddizione”, “pietre d’inciampo”. Le
nostre opere, ma soprattutto voi all’interno delle nostre opere avete questo
compito.
Permettetemi allora una parola riguardo al valore delle nostre opere. Qui ci
troviamo all’interno del Piccolo Cottolengo, istituzione conosciuta e
apprezzata in tutta la città, ma quel che dico vale anche per realtà più
piccole, anche per i semplici centri della Caritas che abbiamo in parrocchia,
il centro ascolto e qualsiasi lavoro che facciamo a favore dei più poveri. A
cosa servono queste strutture? Solo a beneficare chi è nel bisogno? Anni fa Don
Flavio, in una sua lettera, raccogliendo il pensiero di Orione espresso in vari
momenti sui suoi piccoli Cottolengo, diceva che le nostre opere beneficiano 5
categorie di persone.
1. Gli ospiti o
chi viene in cerca di aiuto, quelli che la società chiamerebbe gli “Utenti”.
Questo è il gruppo a cui è più facile pensare. La casa è stata costruita per
loro, a loro viene indirizzato ogni sforzo. È importante che essi trovino qui
una qualità di servizio che non è solamente quella tecnico-medica, ma che
richiede anche qualità di servizio, di rapporti umani ecc. Di tutte queste
tematiche siete più che esperti perché è uno dei temi forti delle recenti e
attuale gestione religiosa provinciale.
2. I parenti
degli ospiti. Anche per questo gruppo è facile capire il tipo di aiuto che
ricevono. Assistere i loro cari a casa è sempre il desiderio di tutti ma molti
veramente non lo possono fare per la mancanza di spazi, di strutture, di
competenze, e spesso anche di tempo. Qui trovano non solo un punto di appoggio,
ma anche qualcuno con cui confrontarsi, dottori o infermieri, i sacerdoti o le
suore, e anche i parenti di altre persone che condividono la stessa situazione
di vita.
3. Coloro che
vi lavorano o lo visitano come volontari. In questa categoria ci sono molti di
voi, forse tutti. Mi ci metto anch’io. L’incontro con una persona che vive una
situazione diversa dalla mia, specialmente se è una situazione di precarietà o
di difficoltà, è sempre una benedizione che viene dal Signore nel senso che in
tale incontro abbiamo la possibilità di porci molti interrogativi, di
verificare le nostre convinzioni circa i valori umani e religiosi. Ogni volta
che incontriamo un fratello o una sorella, incontriamo Cristo, specialmente se
questo fratello/sorella ha bisogno del nostro aiuto. È Cristo che incontro e
che aiuto e Cristo non mancherà di ripagare con tante grazie quello che
facciamo a Lui. Inoltre Cristo vuole aiutare la persona che ho di fronte perché
la ama in modo particolare e ha deciso di farlo attraverso di me; sono uno
strumento privilegiato nelle mani di Dio per diffondere il suo amore. Infine,
anche solo dal punto di vista umano, sono continuamente in una situazione di
chiedere a me stesso come valuto la vita, la salute, la felicità, quali sono le
mie priorità, sono esse davvero così importanti? Vivere con qualcuno che
richiede continuamente il nostro aiuto ci aiuta a superare il nostro egoismo,
la nostra pigrizia.
4. Chi, pur non
essendone coinvolto, viene a conoscenza dell’opera, anche qualora fosse un non
credente. Ci sono persone che non hanno mai pensato o non vogliono pensare alla
sofferenza. Altre che non ritengono necessario fare qualcosa per chi soffre.
Altri ancora hanno idee sulla vita, sull’accoglienza, dettate dall’egoismo o
dalla paura e comunque lontane dagli insegnamenti del Vangelo. Passando qui
davanti, leggendo qualcosa su di noi, vedendo qualcosa in televisione, non
possono non essere provocati a una riflessione, a un rendersi conto che queste
realtà esistono, che prima o poi potrebbero toccare anche loro in qualche modo.
Il mondo perfetto non è quello in cui non esiste la malattia o il dolore, ma
quello in cui il malato e il sofferente trovano il sostegno adeguato alla loro
situazione.
5. La società e
i governanti. Quando la Chiesa, specialmente per mezzo delle congregazioni
religiose, iniziò ad occuparsi di bisognosi, fossero essi ammalati o disabili o
bambini senza scuola o senza famiglia, donne sfruttate eccetera, lo fece
principalmente perché la società del tempo non era in grado di dare risposte
adeguate. Oggi, grazie a Dio, i vari governi, almeno nelle nazioni del così
detto Occidente, offrono ai loro cittadini tutte le strutture di cui essi hanno
bisogno. Qualcuno allora pone la questione: Visto che gli ospedali o le scuole
dello stato offrono lo stesso servizio e alle volte anche con attrezzature
migliori delle nostre, ha ancora senso la nostra presenza? La risposta è :
“Senza dubbio, sì”. Noi siamo chiamati non solo a dare il servizio, ma
soprattutto a evangelizzare attraverso il servizio e in questo caso
l’evangelizzazione sta non tanto nelle attrezzature ma nelle scelte dei valori
di base, nel come poniamo le priorità, nel curare la qualità dei rapporti
umani, nel rendere presente un certo messaggio e anche una provocazione
religiosa. Questo non lo si può dare per scontato in molte strutture pubbliche.
Chiudo questa prima parte sottolineando che l’Opera Don Orione lavora e
lavora bene nel mondo non perché ha 900 religiosi o 650 suore sul campo, ma
perché ci sono migliaia di dipendenti, di volontari, di benefattori che ci
sostengono in tanti modi. Allora la genuinità del nostro lavoro e la fedeltà al
nostro carisma non sarà garantito solo da noi ma soprattutto da tutti voi.