Gesù è presentato al Tempio e indirizzato al Calvario
Gesù è presentato al Tempio e
indirizzato al Calvario.
(Lc 2,22-38)
Nel Vangelo di oggi ci troviamo di fronte a una bella scena famigliare
che ha però conseguenze che si aprono sul mondo intero. Secondo Luca siamo al
termine degli episodi di Natale, Giuseppe e Maria si recano al Tempio per
compiere un atto che era richiesto dalla legge di Mosè: riscattare il figlio primogenito. Cosa vuol dire? Mosè, ricordava
quanto era successo in Egitto, la notte prima di lasciare il paese, notte in
cui Dio aveva ucciso tutti i primogeniti nella terra egiziana ma aveva salvato
quelli degli Ebrei perché in ogni famiglia fu offerto un agnello al loro posto,
allora aveva posto questa norma di riscatto per ricordare al popolo quanto
avvenuto quella notte. Di solito chi era ricco e poteva permetterselo offriva
un agnello, chi era più povero offriva una colomba, simbolo della pace al
termine del diluvio universale. Giuseppe, però, offre due colombe invece di una
perché Gesù è il primogenito di Maria ma anche di Dio. C’è però qualcosa che
sorprende: Luca non usa il verbo
“riscattare” come c’è nella legge, ma il verbo “offrire”. Maria e Giuseppe
non riscattano Gesù, ma lo offrono e lì comprendono a pieno e confermano la
loro vocazione di custodi e educatori di Gesù. Il figlio non è loro, è di Dio.
La tentazione che tutti i genitori hanno è quello di impossessarsi dei figli
per realizzare i loro progetti. È una tentazione grande, i figli sono di Dio, e
devono realizzare il progetto che Dio ha preparato loro, non quello che i
genitori hanno nella loro mente.
Gesù è offerto al Signore cioè al Padre. Come Dio, il sacrificio della
colomba non può bastare. Gesù non è salvato dalla colomba che hanno offerto per
lui, ma dalla colomba è inserito nella storia e in questa storia egli offre se
stesso per salvare tutti. Noi siamo dedicati a Dio perché Dio ci ha salvati. Qui è già anticipato il sacrificio vero del
Calvario. Lì Cristo non verrà sostituito, ma si offrirà per tutti. I figli
di Israele furono salvati dall’agnello immolato ma noi siamo salvati dal Cristo
immolato sulla croce. Ecco la ragione per cui Cristo non può essere una cosa
indifferente nella nostra vita.
Quindi qui in
questa bella scena della sacra famiglia che sale al tempio c’è tutto il
passato, il presente e il futuro della loro storia e così è per noi che
vogliamo seguire l’esempio di questa santa famiglia. È Simeone stesso che ci
ricorda questo collegamento tra il tempio e il Calvario quando nel lodare il
bambino ne predice il futuro di salvatore ma a Maria dice: “A te donna una
spada trapasserà l’anima; questo avviene quando vede morire il suo figlio sul Calvario.
Al momento in cui i
nostri genitori ci hanno presentati al Signore nel nostro battesimo, anche noi siamo stati inseriti nella storia della
salvezza, non di nome ma di fatto e di fatto abbiamo accettato tutte le sue
conseguenze, belle, di gloria, ma anche di sofferenza perché Cristo ha sofferto
per noi e ci ha salvati attraverso la sua sofferenza.
A questo punto
conviene spendere una parola per due aspetti importanti del vangelo di oggi:
prima di tutto le persone di Simeone e Anna e poi il discorso sulla “spada”.
Giuseppe, Maria e
Gesù salgono al tempio, il luogo ufficiale della religione, il luogo dove
lavoravano i sacerdoti, ma la scena della profezia sulla vita di Gesù è fatta tramite un laico, un anziano saggio, uomo
di preghiera, ma laico, cioè senza nessun legame con i sacerdoti. A lui lo
Spirito Santo dà l’incarico di parlare a Maria e annunciarle il messaggio più
importante della storia: il destino del suo figlio e il suo coinvolgimento in
esso. Subito dopo la profezia viene ribadita da una donna anziana, Anna, vedova, quindi una persona di nessun
valore sociale, e per di più appartenente alla tribù più piccola e
insignificante della storia di Israele, la tribù di Aser. Inoltre nella
spianata del tempio ci sono tante persone: perché solo questi due sanno
riconoscere Gesù? Tutti vedono la famiglia col bambino, Simeone e Anna vedono
nel bambino il Messia. Il testo dice di Simeone che era “giusto”, persona retta
alla ricerca della verità; inoltre era “pio” cioè uno che cerca di non andare
mai fuori strada. Ha occhi puri che riescono a vedere Dio, vedono aldilà di quello
che appare, questo è possibile solo a chi è giusto e pio. Egli ha vissuto
nell’attesa del compimento della promessa di Dio. Questa sua attitudine ha permesso che in lui agisse lo Spirito Santo.
Noi dobbiamo essere come Simeone, gente che crede nelle parole di Gesù che
disse: “Le porte degli inferi non prevarranno”, “Io sarò con voi fino alla fine
dei tempi”. Ci crediamo davvero che queste promesse si realizzeranno? L’attesa
però non può essere passiva. Per tutta la vita Simeone si è consigliato con Dio
e lo Spirito Santo gli ha fatto capire che non sarebbe morto prima di aver
visto il Signore. Mosso dallo Spirito egli accoglie tra le braccia il bambino.
Tutto questo ci indica che per
consegnare Cristo bisogna prima desiderarlo, poi coglierlo tra le braccia. Tutti
noi siamo strumenti nelle mani di Dio per portare il suo annuncio al mondo. Ci
sono migliaia di persone a cui noi possiamo parlare di Dio, persone che i
sacerdoti non riuscirebbero mai a raggiungere, magari anche perché queste non vengono
in chiesa o perché, pur venendoci, non si fidano dei sacerdoti. Ma ci siete
tutti voi che queste persone le incontrate come amici, parenti, colleghi di
lavoro, vicini di casa ecc. Riusciremo a fare questo se abbiamo l’atteggiamento
di Simeone di cercare con la preghiera e accogliere con la vita quel Gesù che
si presenta a noi nei momenti e nei luoghi più inaspettati.
E qui veniamo al
discorso sulla “spada” che
trafiggerà l’anima di Maria. Raramente ci troviamo a testimoniare Gesù in
momenti di gloria, spesso, invece, siamo chiamati a testimoniarlo in momenti
difficili e di sofferenza. La sofferenza è parte integrante dell’apostolato, se
vissuto in spirito di fede. Il piano di Dio in noi non si realizza mai in
maniera completamente piana. Non esiste
vita cristiana senza difficoltà. Bisogna accettare le prove come parte del
piano divino. Perché?
- Prima di tutto perché abbiamo bisogno di purificarci, di crescere, e crescere è sempre doloroso, vuol dire
rinunciare alla parte di bambino che è ancora in noi e vorrebbe sempre giocare
senza prendersi responsabilità.
- Inoltre abbiamo bisogno di accrescere la nostra fede e la nostra dipendenza da Lui per essere sicuri di
fare la sua volontà e non la nostra. A S. Paolo che in un momento di sofferenza
aveva chiesto al Signore di togliergli la spina nella carne che lo affliggeva,
Dio risponde: “Ti basta la mia grazia, perché nella tua debolezza si manifesti
la mia gloria” 2 Cor 12,9.
- Infine dobbiamo ricordare che anche chi ci sta attorno e lavora con noi, ha bisogno di purificarsi.
Spesso sono persone lontane dal modo di pensare di Dio e quindi fanno fatica ad
accettare il messaggio che portiamo e, a volte, anche lo contrastano
apertamente.
L’accettazione delle sofferenze e delle prove del nostro cammino
spirituale è importante e necessaria, e deve derivare dal fatto che ci siamo
fidati di Dio; fedeli fino in fondo come Maria. C’è un bellissimo canto che
dice “Offri la vita tua come Maria ai piedi della croce e sarai servo di ogni
uomo, servo per amore, sacerdote dell’umanità”.
Dove ci porterà il nostro
apostolato? Materialmente parlando non lo sappiamo:
oggi siamo qui domani in un luogo molto diverso; ma spiritualmente siamo sicuri
che ci farà passare dal Calvario e ci condurrà al Sepolcro. Ancora una volta
Maria è l’esempio di chi è rimasto fedele fino in fondo.
C’è scritto chiaramente che Maria e Giuseppe rimasero perplessi per
queste parole. Avevamo sentito la stessa frase anche al momento della visita
dei pastori. Tante cose Maria non ha capito nella sua vita: certe frasi di
Gesù, certi suoi atteggiamenti, la sua morte. Papa Giovanni Paolo II disse che
Maria sul Calvario è “amorevolmente consenziente al piano di Dio”. Ecco perché
è definita corredentrice. Quante volte noi rimaniamo perplessi di fronte a
tanti avvenimenti della vita, specialmente quelli che non vanno d’accordo con
il nostro modo di pensare. Dio non segue le logiche umane perché sono troppo
ristrette. Un atteggiamento di fede è quello che riesce a vedere in ogni
avvenimento, buono o cattivo, la presenza di Dio, e la possibilità per Dio di
ricavarne del bene.
Troviamo poi Maria nel Cenacolo con gli Apostoli a Pentecoste e senza
dubbio ha accompagnato la prima comunità cristiana aiutando i discepoli nella
loro riflessione sulla vita di Gesù.
S. Teresa del Bambin Gesù dice: “Troppo spesso presentiamo Maria come
inabbordabile, invece che imitabile. Viveva di fede come noi”.
Concludo richiamando 3 punti
1- Siamo parte di
una storia grande, la storia della salvezza.
2- Tutti siamo
chiamati a testimoniare questo annuncio di salvezza, preti o laici.
3- La fede e la
preghiera ci danno la forza di superare ogni avversità perché in ogni momento
possiamo vedere Dio all’opera che saprà ricavare il bene dalle nostre
sofferenze.