Che reti dobbiamo lasciare? Dove dobbiamo andare?


Mt 4,12-23  La predicazione di Gesù e la chiamata dei primi discepoli.
La 3a domenica dell’anno liturgico è dedicata alla “Parola di Dio”. La Parola di Dio è Dio che si rivela a noi e ci parla in Gesù. E cosa dice Gesù? Lo vediamo nel vangelo di oggi.
Il Vangelo inizia dicendo che Gesù torna in Galilea, ma non si ferma a Nazareth dove era cresciuto e dove vivevano tutti i suoi parenti, ma scende a Cafarnao. Sappiamo che normalmente, quando era a Cafarnao, stava nella casa di Pietro, casa che si può visitare ancora oggi proprio ai bordi del lago, alla periferia del villaggio. Perché Gesù ha cambiato residenza? Probabilmente perché se fosse rimasto a Nazareth non avrebbe potuto predicare liberamente. Gli abitanti di Nazareth, vivendo in un paese rurale abbastanza isolato, erano molto chiusi e tradizionalisti, non avrebbero accettato facilmente la nuova immagine di Dio che Gesù voleva rivelarci. Conosciamo l’episodio di quando rifiutano il suo messaggio e vogliono buttarlo giù dalla rupe del paese, ma anche un secondo episodio in cui, scandalizzati da quanto Gesù sta predicando, credendolo pazzo, inviano alcuni a prenderlo.  Da questi riferimenti si capisce che la loro immagine di Dio è quella di un Dio rigido che punisce i peccatori, che protegge solo i Figli di Abramo, che ci chiede di essere forti e imporci sugli altri, ecc. Cafarnao, al contrario, era un luogo di passaggio, vicino al confine, formato da gente con mente molto aperta, abituata a vivere con molti stranieri e quindi con modi di fare più liberi.
Matteo ci dà un’altra spiegazione. Lui dice che Gesù si trasferisce lì per realizzare l’unica profezia dell’AT che parla della Galilea. L’abbiamo ascoltata: “Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce …” Questa citazione è presa dal libro del profeta Isaia. Essa parla del tempo in cui il re degli Assiri aveva invaso la Galilea distruggendo tutto. Il buio, la tenebra di questa distruzione verrà sopraffatta dal sorgere di una grande luce. Isaia parlava della liberazione politica, un re della dinastia di Davide che avrebbe liberato queste terre. L’evangelista rilegge questa profezia e la applica all’arrivo di Gesù che è la luce che rischiara la tenebra del mondo e di una religione vissuta in modo errato.
Qui Gesù inizia a predicare e a dire: “Convertitevi perché il Regno dei cieli è vicino”. Convertirsi non vuol dire cambiare qualcosa, ma lasciare il modo vecchio di pensare basato sulle logiche del mondo e accogliere il modo di pensare di Gesù. La nostra società ha come sue priorità il procurarsi le cose materiali, i soldi, l’eros; più in basso ci sono valori come la famiglia, gli amici, e molto più giù la religione, Dio, eccetera. Per Dio la scala di valori è esattamente capovolta. Nel regno di Dio grande è colui che si mette all’ultimo gradino per servire non per servirsi.
In questa circostanza inserisce la chiamata dei primi discepoli. “Mentre camminava in riva al mare Gesù vide Simone, chiamato Pietro e Andrea suo fratello mentre gettavano le reti; disse loro seguitemi”. Una scena semplice ma carica di significato. Non sta parlando della vocazione dei preti o delle suore ma della vocazione a essere discepoli cioè cosa deve fare chi vuole accogliere la proposta di entrare nel mondo nuovo di Gesù.
Gesù è descritto mentre passeggia e Pietro mentre lavora, una scena di vita quotidiana. Gesù si fa vivo nella quotidianità, è lì che ci incontra, è lì che dobbiamo scoprire la nostra vocazione.
Simone chiamato Pietro: se vi ricordate il vangelo di Giovanni ci racconta che Simone, Andrea e Giovanni erano scesi al fiume Giordano a incontrare il Battista e lì incontrano anche Gesù. Proprio in quell’occasione Gesù aveva dato a Simone il nuovo nome di Pietro. Quindi conoscevano già Gesù, e avevano già fatto l’esperienza del battesimo di Giovanni il Battista cioè un cammino di penitenza e di conversione. Ora, in riva al mare, lo ri-conoscono e quindi non esitano a seguirlo. Gesù non si presenta come uno sconosciuto. Noi riusciamo a capire la nostra vocazione a due condizioni: La prima è se abbiamo già fatto l’esperienza di cercarlo e di incontrarlo. Dobbiamo essere gente che ha il desiderio di incontrare Gesù, che lo ricerca nella preghiera, anche se poi lo incontriamo nella vita pratica: la preghiera fa da sottofondo necessario a questo incontro. Il secondo presupposto è il fare un cammino di conversione: riconoscere le nostre mancanze e cercare di cambiare. Gesù suggella questo desiderio cambiandoci il nome, cioè dandoci una nuova identità. A Simone ha dato il nome di Pietro, roccia che indica la sua vocazione a divenire il fondamento della Chiesa, a noi dà il nome nuovo di “figli amati”. Quando noi scopriamo che l’amore di Gesù va al di là delle nostre mancanze rispondiamo più volentieri e con più entusiasmo a colui che ci fa la proposta di entrare a lavorare per il suo piano di salvezza.
Dopo aver chiamato Pietro e Andrea chiama anche Giacomo e Giovanni; si ricostruisce il gruppo originario che avevamo visto vicino al Giordano.
Cosa fanno coloro che accolgono la chiamata di Cristo? Abbandonano la loro professione? No! La vocazione non ci toglie dal mondo ma ci inserisce in una famiglia, la Chiesa, con un ruolo nuovo, quello dettato dalla vocazione stessa e dalla sua missione. Le amicizie e le conoscenze non spariscono ma assumono più valore, quello della condivisione dell’unico ideale. Da vari episodi del vangelo si vede che Pietro continuerà a svolgere il suo lavoro, ma il modo in cui lo svolgerà e l’obiettivo per cui lo farà sarà un altro. Lo stesso deve valere per noi, dopo che ci siamo convertiti. Prima tu facevi il tuo lavoro bene, in modo leale, giusto, onesto, per realizzare la tua vita, per essere felice, per fare carriera, per avere successo, eccetera. Ora, quando entri nel Regno di Dio, la tua professione acquista un altro significato. L’obiettivo non è più fare le tue ore, avere lo stipendio, avere spazi di riposo organizzati, eccetera. Cosa ti guida è la felicità dei fratelli che, grazie al tuo lavoro, vengono beneficati. Cosa posso fare oggi perché il mondo sia più sereno, felice, le persone possano ricevere un’esperienza di pace e bontà. L’importante non sono più le competenze ma il modo di relazionarsi, il motivo finale che spinge le scelte, ecc.
Pietro continua ad avere ed usare la barca, e continua a pescare. La sua vocazione di discepolo è compatibile con la sua vita famigliare e lavorativa. Si tratta di fare le stesse cose ma con priorità e motivazioni diverse. Un’ultima cosa interessante è che Pietro lo aveva conosciuto al Giordano e aveva già cambiato il suo nome ma solo ora, dopo alcuni mesi, gli dà la vocazione. Gesù ci chiama quando vuole Lui, quando ne ha bisogno: noi dobbiamo essere pronti a riconoscerlo.
Per cui il dire che “lasciate le reti lo seguirono” non indica che cambino professione ma che cambiano modo di lavorare, mettono Cristo come priorità e come filtro per tutte le decisioni lavorative.
Cari fratelli e sorelle tutti noi abbiamo una vocazione, non solo quella di essere Cristiani, ma anche quella di testimoniare la fede che abbiamo. Questa fede dobbiamo testimoniarla non in cose eccezionali ma nella quotidianità e nel lavoro. Non siamo chiamati a fare cose diverse ma a fare le stesse cose di sempre con un nuovo stile e con nuove motivazioni, con una mente più aperta, capace di cogliere il modo “diverso” in cui Dio si presenta a noi. Dio poi si servirà di noi per mandare messaggi di salvezza alle varie persone che incontreremo.

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