Per ascoltare, non solo sentire

Per ascoltare, non solo sentire (Gv 10,27-30)

Il vangelo del giorno di Pasqua ci parlava del “vedere” come condizione per credere, e abbiamo capito che il vedere da solo non basta, deve essere vagliato dall’amore (Maddalena, Giovanni, Pietro). Poi la domenica successiva si è parlato di un altro gesto umano: il “toccare”; anch’esso, per diventare condizione del credere, deve essere fatto con amore (Tommaso). Oggi vogliamo riflettere su un terzo verbo: “Ascoltare”. Esso si differenzia dal semplice sentire. Quest’ultimo di solito avviene spontaneamente, ma quando è accompagnato dall’amore, allora si trasforma in “ascoltare”. Era successo alla Maddalena che aveva sentito tante voci e queste l’avevano disturbata, ma quando sente Gesù che la chiama per nome, lo riconosce. È il messaggio centrale del Vangelo di oggi: “Le pecore ascoltano la mia voce e mi seguono”.

Se il vedere ci rende credenti e il toccare ci rende testimoni, l’ascoltare ci rende discepoli. Per gli Ebrei, il rapporto tra Dio e il suo popolo non era caratterizzato dalla visione ma dall’ascolto; la preghiera più comune era lo Shemà Israel (Ascolta o Israele). Dio era l’irraggiungibile, nessuno lo poteva vedere, e se qualcuno toccava una cosa sacra, era degno di morire. In Gesù, Dio è venuto tra di noi, ha rotto queste barriere, si è fatto vedere dalla gente, ha parlato perché ascoltassero i suoi insegnamenti e ha toccato i malati. Dio quindi è entrato in comunicazione con noi attraverso i nostri sensi.

Venendo più direttamente al vangelo di oggi, vediamo che nei discepoli l’ascolto si sviluppa in 3 momenti: Essi lo ascoltano, lui li conosce, essi lo seguono.

1- Ascoltare. Ci sono tante voci che parlano, noi le sentiamo tutte, ma dobbiamo imparare a riconoscere la sua per “ascoltarla” con attenzione. Come distinguerla da quella delle altre? Dal discernimento dello Spirito che agisce dentro di noi. Dobbiamo comprendere se le nostre passioni, i desideri, i propositi che ci animanovengono da Dio o dal mondo; se ci portano a Dio o ci allontanano da Lui; se ci rendono più simili a Cristo o meno.

2- Conoscere. Gesù conosce le sue pecore. Questo è un verbo usato in ambiente matrimoniale. È il dono di sé all’altro; è comunicazione, scoperta reciproca. Gesù non solo è venuto a vivere tra noi e ha condiviso la nostra condizione, ma ha toccato e si è lasciato toccare, cioè è entrato in rapporto diretto. Gesù quindi usa il verbo conoscere per mostrare la piena comunione di vita tra Lui e le pecore che lo hanno scelto, indica che Dio è innamorato di noi.

3- Seguire. È il verbo tipico dei discepoli. Per seguirlo, noi dobbiamo chiederci: dove sta andando Gesù? La sua meta è il Calvario, il luogo del dono totale di sé, il dono della sua vita. La direzione è ben tracciata: il Pastore diventa l’agnello mansueto che sarà sacrificato per la nostra salvezza. Quando qualcuno voleva offrire un sacrificio di espiazione veniva ammazzava un agnello; Gesù risparmia le sue pecore e offre se stesso.

Il messaggio di Gesù è attraente. È bello sapere di avere un Maestro così buono, ma la sua azione non si ferma lì, Lui ha preparato qualcosa in più per noi: “Io do loro la vita eterna”. Al posto della nostra vita Lui offre la sua e a noi dà la Vita Eterna. Cosa significa? Qui ancora una volta ci troviamo a combattere con la scarsità di termini della traduzione italiana del testo. La parola usata per indicare la vita non è quella della vita biologica (Biòs), ma è vita in senso ampio, spirituale, sopra-naturale (Zoè). Parlare di “Vita eterna” non vuol dire una Bios che non finisce mai, ma la Zoè dell’Eterno, cioè ci fa partecipare della vita di Dio stesso e ci mette in comunione con0 Lui. Allora essa non è un premio che riceveremo nel futuro, cioè alla fine della vita biologica perché questa sia allungata, ma la vita dell’Eterno che è già dentro di noi fin dalla nascita e che si sviluppa in noi man mano che noi aderiamo alle sue promesse. Quando la vita biologica finisce, l’altra esplode ed entra nella pienezza della sua condizione, ma era già presente fin dall’inizio. Noi non “diventeremo” figli di Dio, noi lo siamo già.

Per rafforzare questo concetto, Lui prosegue: “e non andranno perdute in eterno”. Se la vita è quella biologica, allora Gesù ha torto perché noi, ogni giorno vediamo persone che muoiono, ma se la vita è, come abbiamo detto, quella spirituale che partecipa della natura divina, Egli non lascerà perire (andar perduto) nessun briciolo di ciò che qui facciamo di bene, cioè l’amore. Noi siamo aggrappati alle nostre cose (quelle materiali), ma nessuna di esse ci seguirà dopo la morte, l’unica cosa che ci porteremo dietro sarà l’amore perché esso è ciò che ci permette di condividere già qui in terra la vita (la natura) di Dio. Parlando per paradosso, le cose che ci accompagneranno di là non sono quelle che ci teniamo strette, ma quelle che doniamo. Quanto più seguiamo gli insegnamenti di Cristo, viviamo per amore, tanto più anticipiamo qui in terra il Paradiso, e niente di questo andrà perduto.

Ci sono molte cose che ci attirano, sentiamo tante voci false che ci vogliono per sé e vogliono staccarci da Gesù. In un altro brano, Gesù aveva parlato di briganti e ladri che vogliono rubare le pecore dal suo ovile. Ebbene Lui ci promette che se “ascoltiamo” la sua voce, non saremo rubati da questi lupi o ladri; oggi, però, abbiamo capito che “ascoltare” è un verbo impegnativo.

Oggi è la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Non è la giornata per pregare che molti si facciano preti o suore, ma perché tutti imparino a riconoscere la voce del Signore, si sentano chiamati per nome e si lascino trascinare dal desiderio di seguirlo.

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