L'indirizzo di Dio
Dio, dov'è? (Gv 14, 23-29)
Lungo i secoli, abbiamo trasformato la religione in un’osservanza. In passato per molte persone essere Cristiani consisteva nel catechismo da imparare a memoria, i cinque precetti della Chiesa, i dieci comandamenti, i sacramenti da ricevere a date stabilite, le tante regole circa i digiuni, le astinenze, le indulgenze; si parlava troppo poco di Gesù, della sua vita, del comandamento dell'amore. In un certo periodo, era persino proibito alle persone di leggersi la bibbia per conto loro.
Essere Cristiani voleva dire “fare”, obbedire, non “essere”.
Per fortuna ora tutto è cambiato. Solo che, al crollo di tutto l'apparato legalistico e di precetti, non è corrisposta la formazione della coscienza di essere amati da Dio e di poterlo amare. Non abbiamo insegnato alla gente cosa questo amore significhi in realtà, per cui le chiese si sono svuotate e la gente ha perso interesse alla religione e ad ogni discorso spirituale.
Il materialismo ora presente in tutte le ideologie politiche e sociali e nelle teorie psicologiche, pone il benessere fisico ed economico al vertice della scala dei valori. La gente si trova, quindi, con un vuoto interiore esistenziale e non sa come riempirlo. La filosofia di vita di oggi è basata su due pilastri portanti: da una parte si ricerca il “tutto e subito”, dall'altra ogni cosa o meta è segnata da temporaneità e mutabilità. Non esistono più valori assoluti ed eterni perché non sono commerciabili.
Gesù, nel Vangelo di oggi, ci offre un approccio totalmente diverso alla vita: Lui ci indica di partire dalla sua presenza in noi. Con l'Incarnazione egli ci ha mostrato quanto serio sia Dio su questo argomento; Egli non ha disdegnato di farsi uno di noi, anche fisicamente. Ma ora che egli è tornato in cielo, dopo la resurrezione e ascensione, ci dice che abita ancora in ciascuno di noi, la sua presenza è vera e può fare veramente la differenza nella nostra vita perché può riempire il vuoto esistenziale che ci portiamo dentro. Esiste però una condizione: noi dobbiamo accettarlo, perché Lui non forzerà mai la sua presenza in noi.
Ma cosa vuol dire che Lui “abita in noi”? Che Dio ci ami lo sappiamo bene, almeno in teoria, ma “dimorare” vuol dire qualcosa di più. Qui Gesù non dice che Dio ci ama dall’esterno, ci segue, guarda quello che facciamo e magari ci dà anche una mano, ci manda ogni tanto un regalino come fa un amico che vive in un altro paese e viene ogni tanto a bere il caffè a casa nostra. No! Qui c'è molto di più. Qui si dice chiaramente: verremo e prenderemo dimora: la Trinità prende casa dentro di noi, si stabilisce lì a tempo pieno, ne diventa la padrona, è Lei che da ora in poi porta avanti le cose.
Giovanni aveva già usato il verbo dimorare al capitolo 1, quando dice che il Verbo si fece carne e venne ad abitare in noi. Da qui capite bene cosa vuol dire: Gesù è diventato uno di noi, ha assunto la nostra natura, ha condiviso con noi tutto: gioie, dolori, fatiche, speranze.
Il suo sguardo su di noi non è né quello di un ammiratore o uno spettatore, né di un amico, e neppure di un co-inquilino, ma di un membro della famiglia, famiglia in cui Lui è il Padre, il capo.
La dimora è il luogo dove normalmente passiamo la maggior parte del nostro tempo, vi teniamo le cose preziose, e anche quando siamo assenti, il nostro cuore è là e non vediamo l’ora di tornarci. Pensiamo a tutte le volte che durante la giornata noi agiamo come se Dio non esistesse, come se tutto quello che facciamo dipendesse solo da noi. Pensate alle volte in cui ci lamentiamo perché le cose non vanno come vorremmo e magari pensiamo che Dio si è dimenticato di noi. Ma Gesù aveva detto: “Se anche una madre si dimenticasse del figlio appena generato, io non mi dimenticherò mai di voi”. La sua presenza è reale, come quella dell’Eucarestia. Forse allora il problema non è che Lui sia assente, ma che noi non lo lasciamo lavorare.
Di fatto poco fa ho detto che c’è una condizione: “Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola”. Facciamo attenzione ad un piccolo particolare: Gesù non ha detto “Se osservate la mia parola (condizione), allora mi amate (conseguenza). Lui ha detto “Se mi amate (condizione), allora osservate la mia parola (conseguenza). Nel primo caso il nostro sforzo è nell’essere obbediente, sforzo umano che una volta va e un’altra no, e che comunque è lasciato alle nostre povere forze. Così facendo perdiamo la cosa più importante, cioè l’amore. Il nostro impegno deve essere nell’amare, nell’innamorarci di Lui; se ci riusciamo, naturalmente faremo solo quello che piace a Lui, per cui osserveremo la sua parola. Innamorarsi è più facile perché non teme alti e bassi, perché è un processo che si autoalimenta e ci dà soddisfazione nel momento stesso in cui ci impegniamo a farlo. Non vi siete mai chiesti come mai facciamo mille propositi e poi non ne manteniamo nessuno, o molto pochi di essi? Perché ci concentriamo sullo sforzo, su noi stessi, invece di concentrarci sul premio, sul risultato da ottenere.
L’amore è la chiave di casa ed è in mano nostra, ce l’ha data Lui e noi possiamo usarla per chiuderlo fuori, o magari chiuderlo in un armadio, o possiamo usarla per aprire le porte e lasciarle spalancate.
Ho detto che amare è in nostro potere, ma voi mi dite che amare Dio è difficile perché Lui ci sembra distante, perché praticamente non sappiamo cosa fare. Voglio citare due frasi di Gesù che ci possano aiutare a capire come amarlo. La prima è quando, parlando dei due comandamenti dell’amore (ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, mente e forze e ama il prossimo tuo come te stesso), Gesù aggiunge che il secondo (ama il prossimo) è uguale al primo. In un altro passo, nel vangelo di Matteo, abbiamo la parabola del Giudizio finale: lì lui dice: “Qualsiasi cosa avete fatto al più piccolo lo avete fatto a me”. Ecco come si fa ad aprire la porta del nostro cuore per lasciar entrare Dio: basta cominciare ad amare chi ci sta attorno, a cominciare dalle piccole cose.
Non abbiamo bisogno né di essere degli eroi, né degli scienziati né dei santi per poter praticare questo tipo di amore; basta vivere con coscienza il momento presente. Quando noi cominceremo ad amare, con gesti piccoli ma concreti, cominceremo a sentire dentro di noi la sua presenza, e lo riconosceremo dal dono che lui ci porta: la pace. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace.
Quando il bambino è vicino a suo padre, affronta tutti i pericoli con coraggio, non perché pensi che il pericolo non c’è più, ma perché sa che papà è lì e papà è più forte. Non siamo di quelli che dicono che pace vuol dire assenza di problemi o lotte, ma piuttosto di quelli che sanno che Dio c’è e alla fine lui vincerà e vincerà sempre nell’amore.
Ciliegina sulla torta. Gesù ci dà un aiuto extra: Ora che sta per lasciarli, promette loro di mandare un’altra guida, lo Spirito Santo, che lui chiama con la parola “Paraclito” che vuol dire esattamente accompagnatore; Lui ci insegnerà la verità su ogni cosa. Spesso noi guardiamo alle cose nel modo sbagliato, ci lasciamo affascinare dall’esteriorità. La menzogna è l’arma più potente del diavolo ed è il peccato più difficile da sradicare dalla nostra vita perché è subdolo, si insinua nella nostra mente. Siamo in una società dai molti messaggi, confusi e contraddittori. Se un Cristiano decide di vivere secondo il Vangelo si trova spesso ad affrontare mille mentalità diverse, idee, e spesso anche dubbi, che lo invitano a scelte opposte. “Chi te lo fa fare? Non perdere tempo in quelle cose, pensa a divertirti! Approfittane, nessuno ti vede! Fanno tutti così! Che male c’è? ecc.” Il mondo ha perso il senso dei valori, del sacrificio, del bene e del male, ma il Vangelo rimane e la nostra coscienza pure, e lì lo Spirito Santo ci parla. Lui ci dà il coraggio di essere fedeli, di fare scelte difficili. È chiaro che per rendere questo lavoro dello Spirito efficace, dobbiamo abituarci a confrontarci con la Parola di Dio, leggerla e interrogarci sulla sua rilevanza nella nostra vita. Inoltre dobbiamo abituarci ad ascoltare la nostra coscienza. Quella di oggi è la società del rumore, dei suoni. La gente ha paura del silenzio e non appena entra in casa accende la radio o la televisione; appena si mette a pregare sente la necessità di riempire la preghiera di parole. La gente ha paura di chiedersi “cosa deve cambiare in me?”
L’invito per noi oggi è di imparare a riconoscere la presenza di Dio in noi e ad ascoltare la sua voce.